I saluti romani ad Acca Larentia, gli applausi di scherno alla condanna di Fiore, i figuranti di Spilimbergo: in quindici mesi di governo Meloni ci sono state tante, troppe occasioni perse per dare un segnale
di Diego Motta da Avvenire
Da Pennabilli a Spilimbergo, dall’elogio della camicia nera alle divise delle Ss indossate da presunti figuranti in una sala cinematografica. Il saluto romano di Acca Larentia è solo l’ultimo episodio di una carrellata che è meglio dimenticare. Non è una riabilitazione o l’ultimo sdoganamento dell’epoca fascista, ma certo fa impressione rivedere questa nostalgia postuma, troppo poco stigmatizzata anche da chi quel mondo lo ha conosciuto da vicino.
In quindici mesi di governo Meloni ci sono state tante, troppe occasioni perse per dare un segnale. Dicembre, ad esempio, è stato un mese emblematico: arriva la sentenza sull’assalto alla sede della Cgil che condanna Roberto Fiore e Giuliano Castellino e viene accolta da applausi di scherno e braccia tese. L’Anpi interviene parlando di «reati gravissimi, perseguibili d’ufficio non soltanto per le ostentazioni apologetiche, ma anche per il luogo dove esse sono state poste in essere». Il risultato? Nulla di fatto. Pochi giorni prima, nel Comune friulano di Spilimbergo, una decina di persone, in abbigliamento da Terzo Reich, entra al cinema teatro Miotto. Si tratta di una rievocazione storica, con quattro figuranti vestiti da militari nazisti, presenti in pubblico durante la proiezione del film “Comandante”: al termine dell’iniziativa, tutti (tra di loro c’è anche un minorenne) sono identificati dalla Digos, che invierà una segnalazione all’autorità giudiziaria. «L’intento era di dare pathos al film» spiegano a mo’ di giustifica da un’associazione locale, dicendo che era prevista anche la presenza di persone con divise degli Alleati e un partigiano, che però non hanno potuto partecipare. Cultura e mondo dello spettacolo restano tra i mondi più permeabili al revisionismo in salsa post-fascista, basti pensare all’intemerata di Enrico Montesano che, nell’autunno 2022, balla indossando la maglietta della “X Mas” con il fascio littorio stampato sul petto. Ma qui siamo nel mondo dello spettacolo. O forse, dell’avanspettacolo.
A dir la verità, che il clima potesse cambiare lo si era già avvertito agli esordi di questa legislatura. «Sono nato con la camicia nera e morirò con la camicia nera», scrisse il sindaco di Pennabilli, un paesino sull’Appennino romagnolo, due settimane dopo le elezioni del settembre 2022, mentre il segretario della Lega di Bologna si faceva fare un tatuaggio sul braccio, con simboli cari all’estrema destra. Per non parlare delle commemorazioni, con il rischio di scivolate continue anche a livello istituzionale. I gruppi di estrema destra si fanno notare alle celebrazioni del 25 aprile, rispondendo a provocazioni dell’estrema sinistra. Scritte capovolte da parte degli ultrà dei centri sociali che ricordano piazzale Loreto, a cui dall’altra parte si replica con slogan che parlano di «sangue versato per non tradire». Il linguaggio duro resta una costante tutta da decifrare. Così, proprio nei giorni di Acca Larentia, CasaPound celebra il consiglio nazionale per «definire le basi dell’azione politica e culturale». È stata l’occasione, ha spiegato domenica una nota ufficiale, «non solo per fare un bilancio dei primi 20 anni del movimento, ma soprattutto per confrontarsi su posizioni politiche e culturali, con l’obiettivo di rinnovare la spinta rivoluzionaria». Non sono distanti le parole con cui Francesco Todde, presidente di Gioventù nazionale Roma, ha spiegato i fatti contestati. «Cercavate lo scandalo del saluto romano, o qualche rito strano per puntare il dito – aggiunge -. Avete trovato, però, una schiera di giovani che ogni anno si ritrova per rinnovare il proprio giuramento nei confronti di chi questa patria l’ha veramente amata».
C’è senza dubbio il desiderio di tornare protagonisti, che si scorge tra le righe, ma gesti, parole e opere di tanti militanti sembrano aver dimenticato pezzi di storia, così come quell’«incompatibilità con le nostalgie del fascismo» sottolineata dalla stessa premier Meloni nell’ultimo anniversario della Liberazione. Ecco perché, forse, prendere una volta di più le distanze dal Ventennio, sarebbe cosa buona e giusta.
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Acca Larentia, le braccia tese e la placenta di chi ci governa
In un ordine mondiale in cui Trump si prepara al ritorno e Milei brandisce la motosega, le schiere ordinate dei fascisti di Acca Larentia sono l’altra faccia delle stravolte masnade vichinghe dall’assalto del 6 gennaio a Capitol Hill
di Alessandro Portelli da il manifesto
Diciamo tutti: è uno scandalo che la Digos intervenga minacciosamente per identificare un cittadino che grida «Viva l’Italia antifascista» e non muova un dito davanti a centinaia di fascisti che manifestano minacciosamente a braccio alzato nelle strade di Roma. Io non ci vedo nessuna contraddizione: l’intimidazione poliziesca (non solo a Milano alla Scala, ma anche a Roma al Colosseo, per un flash mob contro la guerra indetto dal Laboratorio ebraico antirazzista o a piazza San Pietro, pochi giorni fa, a cinque persone con uno striscione per la pace) sta nella stessa logica della truculenta sceneggiata fascista ad Acca Larentia. Certe volte è giusto che gli scandali avvengano, così capiamo qual è la grammatica del nostro tempo.
La prima regola è una regola di vigliaccheria: le forze dell’ordine sono sempre pronte a prendersela col singolo, i cinque, i venti pacifici e pacifisti. Ma quando sono centinaia, e pronti a menare le mani, se ne stanno inerti nel loro angoletto. Il messaggio di quelle braccia tese è proprio questo: facciamo quello che ci pare, saccheggiamo la Cgil, e non ci potete fermare. Provate a liberare il palazzo occupato di CasaPound e ve la dovrete vedere con noi. È, letteralmente, la proclamazione di un rapporto di forza, il segno di dove sta il potere.
La seconda regola riguarda l’impulso profondo delle cosiddette forze «dell’ordine» e dell’ideologia di chi le comanda. Il disordine sta sempre nella spontaneità, mai nell’inquadramento. Di nuovo, la colpa del loggionista della Scala è proprio quella di essere uno: se uno tira fuori la voce quando nessuno dice niente (sia pure per dire quello che tanti pensano, e che teoricamente è l’ideologia ufficiale della Repubblica) è un disturbo, una smagliatura nell’estetica del cerimoniale. Se alzano tutti il braccio a comando, se gridano presente all’unisono, se stanno in fila allineati e coperti, se delegano i pensieri al credere obbedire e combattere, allora sono come noi, specchio rituale di una società disciplinata una volta per tutte.
La terza regola è: finiamola di chiedere ai loro mandanti di prendere le distanze. Giorgia Meloni è una creatura di questa gente, e questa gente è una creatura sua. Se non c’era anche lei insieme a loro, è solo per caso. Sono i suoi elettori, la sua placenta, e lei li rappresenta al vertice delle istituzioni. Ma davvero vogliamo credere che il suo postfascismo «moderato», «atlantico» e «responsabile» possa essere un argine e non un canale di accesso ? Ha ragione Schlein, siamo al 1924: l’anno in cui, tra Giacomo Matteotti e i suoi assassini, Benito Mussolini rivendicò spudoratamente da che parte stare.
L’ultima regola: l’ossessione per l’ordine è a sua volta segno di follia. In un ordine mondiale in cui Trump si prepara al ritorno e Milei brandisce la motosega, le schiere ordinate dei fascisti di Acca Larentia sono l’altra faccia delle stravolte masnade vichinghe dall’assalto del 6 gennaio a Capitol Hill. Fateci caso: è appena passato l’anniversario, forse ieri si celebrava anche questo.
Post scriptum. A me dispiace per quei poveri ragazzi ammazzati ad Acca Larentia tanti anni fa. Quale che fosse la loro ideologia, la loro memoria non merita questo.
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