Come saremo dopo la crisi del Covid-19? Come potrebbero cambiare il nostro stile di vita, il nostro lavoro, la scuola dei nostri figli, la nostra socialità, le nostre abitudini? Chi prova a rispondere a tutte queste domande non può non tener conto degli scenari internazionali, senza smarrire la concentrazione sulla situazione italiana; “Quale Idee per il dopo” immaginando insieme che cosa accadrà al mondo dopo il Coronavirus. Pensatori, scienziati, filosofi, sociologi, antropologi, architetti, economisti, imprenditori – tutti interconnessi per proiettare una scenografia, per aiutarci a comprendere come sarà la “nuova normalità”
Cosa succederà dopo?
Superato il picco dell’emergenza sanitaria, si dovrà ripartire e fronteggiare l’emergenza economica causata dal virus. Serviranno idee per ripensare la società, per capire come tutto questo impatterà su economia, potere e politica, per comprendere l’impatto che il Covid-19 avrà su di noi, come collettività e come individui (Tribù o Villaggio globale?). Futuro, società, leadership, lavoro, mobilità sono le parole chiave da cui partire, per ragionare su come potremo vivere, e convivere, con il coronavirus.
Uno spazio da indagare dove poter trattare gli elementi più pratici della “nuova normalità”, per capire come cambieranno i vari aspetti della vita quotidiana e i modelli di business di quei settori particolarmente penalizzati dalle limitazioni dovute al virus: dai trasporti al tempo libero, dagli impegni sociali alla cura della persona, ai viaggi.
Il primo report sulla vita sociale nel dopo-Covid19, intitolato “We’re not going back to normal”, ovvero ‘Non torneremo alla normalità’, non è un vero e proprio studio approfondito dei ricercatori del celebre MIT (Massachusetts Institute of Technology) ma il resoconto giornalistico della rivista Technology Review , una ipotesi di scuola, basata su proiezioni di dati inglesi . Ha il peso che ha, ma è un testo quantomeno ben fatto e stimolante.
L’ipotesi di base è che le misure di ‘distanziamento sociale’ imposte dai governi stiano cambiando la nostra vita radicalmente, soprattutto in Occidente, anche perché sarebbero destinate a durare, in misura vieppiù temperata, per almeno 18 mesi. Il che vorrà dire, al di là delle risorse pubbliche che saranno assorbite dalla radicale trasformazione (si auspica) dei sistemi sanitari, assisteremo un’impennata della cosiddetta “shut-in-economy”, ovvero letteralmente l’economia chiusa: mangeremo il più possibile cibo a km0, compreremo sempre più servizi domestici, andremo in vacanza soprattutto vicino a casa, torneremo a privilegiare mezzi di trasporto leggeri come la bicicletta. E ancora: i cinema e i teatri, quando riapriranno, venderanno posti distanziati, come i treni in questo periodo; in palestra si andrà solo su appuntamento e a numero chiuso; le riunioni si terranno in sale più grandi con sedie distanziate…
Al di là di queste facili previsioni, l’analisi si sbilancia a ipotizzare che il Grande fratello della prevenzione e della mappatura dei contagiati, stile Israele o Singapore, possa diventare un sistema stabile, su scala mondiale, quantomeno a partire dalla ripresa dei viaggi aerei, che ovviamente piace al techno-entusiasta, così come invocato come lecito dai social-moralisti, ma inquieta molti di noi, in particolare gli spiriti liberi. Ci adatteremo, così come abbiamo accettato di toglierci le scarpe e farci scannerizzare per entrare negli aeroporti dopo l’11 settembre; adesso ci punteranno spesso anche la pistola-termometro alla fronte. Amen.
Il Covid-19 lascerà con sé sul terreno una vittima illustre: la privacy. A fin di bene, si intende
Il motivo è che, a furia di parlare di privacy e di regolamento generale sulla protezione dei dati, il famigerato Gdpr, ci eravamo illusi che il diritto alla protezione dei dati fosse un diritto-tiranno, secondo la terminologia sui diritti fondamentali assoluti che ha adottato nei suoi studi la Presidente della Corte Costituzionale, Marta Cartabia.
Un diritto in grado di reggersi in piedi da solo, sulla base dei richiami contenuti nelle norme fondamentali europee e indirettamente negli articoli 2, 15 e 21 della Costituzione.
Ed invece, dopo un decennio di espansione del diritto alla protezione dei dati, è bastato un mese per far capire a tutti che, se nella nostra Costituzione un diritto alla privacy non è espressamente previsto, un motivo ci sarà.
Lo ha ben capito il governo che, dopo aver sospeso di fatto il diritto alla protezione dei dati personali in materia fiscale con la legge di bilancio (la profilazione algoritmica dei contribuenti è partita dal 1 aprile), ha nuovamente derogato alle norme in materia di protezione dei dati personali con l’articolo 14 del Decreto Legge 9 marzo 2020, attraverso il quale ha dotato la protezione civile dei poteri straordinari in materia di privacy che preparano di fatto la svolta “coreana” sul controllo dei cittadini, per motivi di sicurezza e di salute.
Deroga che il governo ha di fatto esteso anche alle Regioni, dotando il sistema della protezione civile nel suo complesso – e non solo l’articolazione statale propriamente detta – della facoltà di adottare i poteri straordinari in materia di privacy, e non solo.
Motivo per il quale, tra l’altro, sarà difficile contestare le scelte per così dire “originali” che le singole Regioni stanno facendo – non solo in termini di privacy – attraverso atti secondari in grado di incidere pesantemente sulla vita dei cittadini.
Per blindare i nuovi poteri, il governo ha realizzato un atto avente forza di legge, un decreto-legge appunto, garantendo così la copertura costituzionale alla sua azione e la conformità del proprio operato a quanto previsto dalle disposizioni europee del Gdpr. Inoltre si è messo al riparo da sorprese, visto che il decreto legge è sì da convertire ma nessuno mai oggi in Parlamento – vista l’emergenza – si sognerà di cambiare di una virgola.
Per completare il sistema “coreano” di controllo mancavano due tasselli: il primo è l’utilizzo massivo dei droni ai fini di controllo dei cittadini. L’Enac, l’Ente Nazionale per l’Aviazione Civile, in deroga alle disposizioni vigenti, ha autorizzato infatti con una nota inviata al Ministero dell’Interno, dei Trasporti e della Giustizia, e a diverse articolazioni di polizia locale, il controllo dei cittadini attraverso i droni, sul territorio comunale.
Le forze dell’ordine possono usare anche i droni per controllare gli spostamenti dei cittadini e verificare eventuali violazioni delle norme emesse per contenere il contagio. Lo ha deciso l’Enac, l’ente di controllo del volo, che in un’ordinanza indica sia i dispositivi che possono essere utilizzati sia le modalità “per il contenimento dell’emergenza epidemiologica coronavirus“. La polizia locale potrà condurre i controlli, come previsto dai dpcm dell’8 e 9 marzo, “con sistemi aeromobili a pilotaggio remoto con mezzi aerei di massa operativa al decollo inferiore a 25 kg”.
Il secondo (non ancora compiuto) è l’estensione dell’utilizzo dei dati di traffico telematico e telefonico ottenuti dai provider internet (la cosiddetta data retention), ad oggi consentita solo per la scoperta e repressione dei reati – anche in funzione preventiva – per ragioni legate al controllo dell’epidemia.
Se ne è avuto un assaggio con i dati di spostamento “catturati” dalle celle della telefonia cellulare, elaborati dalla Regione Lombardia che però sono anonimi e non presentano problematiche di privacy.
In una manciata di giorni la privacy, da baluardo di libertà di una generazione ipertecnologica, è divenuta un fastidio da superare al più presto, oggetto di fisime, come le ha chiamate la star di questi tempi difficili, il professor Roberto Burioni.
A lui e a tutti coloro che oggi invocano interventi repressivi, anche se giustificati dagli eventi, dovremmo ricordare quello che la star di altri tempi difficili, l’attrice Judy Garland, soleva dire: “Non ho mai guardato attraverso un buco della serratura senza trovare qualcuno che stava a sua volta guardando.”
La possibilità di adottare fonti aperte a fini di controllo, o qualsiasi informazione proveniente da fonti diverse, anche in contesti differenti dalla repressione dei reati farà probabilmente il resto.
D’altra parte a nessuno sfugge il filo logico che lega tutto ciò alla robotica, genomica, sharing economy, cybersicurezza e Big Data individuate come le industrie del futuro, con un enorme potenziale di sviluppo davanti.
Se siamo capaci di affrontare con spirito umanista questa tempesta potremo capire quale impatto possa avere sulle nostre vite di domani.
Ogni nuova industria che nasce porta con sé una serie di conseguenze, positive e negative. La tecnologia e la globalizzazione hanno reso molte operazioni che compiamo quotidianamente molto più semplici ed economiche ma hanno anche portato molte persone a perdere il loro posto di lavoro e all’allargamento delle povertà. Amazon ha rivoluzionato il commercio, rendendo disponibile ad aziende e consumatori tanti prodotti a un prezzo inferiore, con un servizio di spedizione molto veloce, con ritmi di lavoro da ipersfruttamento e la conseguenza inevitabile di molti negozi destinati alla chiusura o alla riqualificazione.
Cina e Corea del Sud stanno rappresentando un esempio di come contrastare con la tecnologia l’emergenza del Covid-19: la Cina ha messo in isolamento sia i contagiati sia i probabili contagiati, limitando drasticamente i movimenti di persone dentro e fuori il Paese, la Corea del Sud ha raggiunto buoni risultati anche senza misure così draconiane
In Cina attraverso “Alipay Health Code”, sviluppato per il Governo cinese e attivo sulle piattaforme Alipay e WeChat, ampliamente utilizzate nel Paese (Alipay ha 900 milioni di utenti in tutta la Cina): l’App attribuisce agli utenti un colore in base allo stato di salute e alla cronologia dei viaggi effettuati
Generalmente, le persone che hanno il codice verde possono viaggiare in modo relativamente libero; il codice giallo indica che il titolare deve essere in isolamento domestico e il codice rosso indica che l’utente è un paziente Covid-19 confermato e deve essere in isolamento forzato
Il sistema Alypay Health Code inoltre condivide le informazioni con la polizia, stabilendo “un modello per nuove forme di controllo sociale automatizzato che potrebbero persistere molto tempo dopo la fine dell’epidemia
Lo stesso sistema utilizzato per contenere il coronavirus tiene sotto controllo anche alcune minoranze etniche e religiose in Cina. In particolare, i musulmani uiguri sono stati tenuti a presentare ampie informazioni biometriche allo Stato, tra cui impronte digitali, registrazioni vocali, scansioni del viso, DNA e gruppo sanguigno.
Anche la Corea del Sud si è distinta per l’uso massivo di big data: Dopo aver somministrato centinaia di migliaia di tamponi ai cittadini (anche 15.000 al giorno), chi è risultato positivo al test è stato “spiato” dalle autorità sanitarie coreane attraverso i dati medici resi pubblici dal Korea Centers for Disease Control, il GPS dello smartphone, le carte di credito, le telecamere di sorveglianza. Incrociando queste informazioni, è stato possibile rintracciare le persone che erano entrate in contatto con Covid-19 ed isolarle a seconda delle condizioni di salute e dell’esito del tampone
L’app più usata in Corea è quella diffusa da Google Play Store (a differenza della Cina l’universo Google qui non è proibito) e si chiama “Corona 100m” perché avvisa l’utente se si avvicina a 100mt da una zona in cui è stato presente una persona affetta da Covid-19
In Italia ci si sta muovendo, con le dovute precauzioni, in questo campo. Cercando di imparare dalle lezioni provenienti dall’estero e di destreggiarsi all’interno della severa legislazione sull’uso dei dati personali. A ben vedere il GDPR – il regolamento della Ue sulla protezione dei dati personali – permette l’utilizzo dei dati quando “per motivi di interesse pubblico nel settore della sanità pubblica, quali la protezione da gravi minacce per la salute a carattere transfrontaliero o la garanzia di parametri elevati di qualità e sicurezza dell’assistenza sanitaria e dei medicinali e dei dispositivi medici” (GDPR, art. 9 co. 2).
Il Commissario straordinario per l’emergenza, Domenico Arcuri, ha affidato l’appalto di servizio gratuito alla società Bending Spoon Spa attraverso apposita ordinanza. L’app si chiama “Immuni” ed è stata selezionata da una task force di 74 esperti tra le 319 risposte al bando del programma “Innova Italia”. Tra i criteri c’era la volontarietà della sua installazione da parte degli utenti tuttavia se “Immuni” non sarà abbastanza diffusa sul territorio rischia di essere un flop, come è successo a Singapore dove l’app di contact tracing è stata scaricata da solo il 18% della popolazione e attivata dalla metà di loro. Gli altri criteri per il suo utilizzo, indicati dalla Commissione Europea in una apposito documento diretto a tutti gli Stati membri, si riassumono nella temporaneità dell’utilizzo, nel rispetto della normativa europea sulla privacy e nell’uso della tecnologia bluetooth per evitare l’invasività delle geolocalizzazioni, preferibile al GPS ma anche meno efficace.
L’app si compone di due parti: un registro sullo stato di salute della persona – diario clinico – ed un tracciamento dei contatti – contact tracing – che consentirà al software di riconoscere e tenere memoria dei dispositivi con cui lo smartphone del paziente è entrato in contatto. Nessuno dei dati (salvati sui telefoni o su un server individuato dal Ministero per l’Innovazione) verrà raccolto o diffuso prima che il paziente, se affetto da covid-19, abbia deciso di dare il consenso al loro utilizzo. Ad utilizzare tali dati, che verranno comunque anonimizzati attraverso tecniche di cifratura (non comprenderanno quindi anagrafica o numero di telefono), saranno la Protezione civile e la comunità scientifica, prioritariamente quella sanitaria se consideriamo le recenti dichiarazioni di Paola Pisano, ministra per l’innovazione: “la ricerca scientifica è fondamentale per sconfiggere il coronavirus, ma deve essere veloce: per questo deve avere dati il più possibile precisi”. (Corriere, 18 marzo 2020).
Nell’attesa di questo applicativo si sono poi sviluppate iniziative locali come nel caso della Lombardia in cui è diffuso da tempo l’utilizzo dell’app “AllertaLOM” sviluppata dalla holding regionale Aria Spa. L’app propone di entrare nel progetto “Cercacovid” (attualmente ha coinvolto circa 675.000 utenti) attraverso un questionario su caratteristiche (età, condizione medica, ecc), abitudini durante l’isolamento (tragitto per andare in ufficio, smart working, ecc), eventuali sintomi (perdita di gusto e olfatto, ecc) ed ha le stesse finalità di un triage a distanza che permette di individuare il numero dei veri contagiati ed i quartieri in cui si sta diffondendo di più il virus. Analogamente il Lazio ha adottato una specifica app LAZIODRCOVID (Lazio Doctor Covid) che contiene tutte le informazioni sulle iniziative regionali legate all’emergenza ed un questionario di autovalutazione
Abbiamo ragione di pensare che il cambiamento socio-economico che questa epidemia sta comportando si traduca in un peggioramento delle libertà individuali. Per far questo è necessario non restare a guardare come le cose si evolveranno ma agire concretamente. In Europa come in Cina vale quello che profetizzava Giorgio Agamben sullo Stato di eccezione (G. Agamben, 2003) che, alimentato da un clima di paura e di “ragioni di sicurezza”, si contrappone allo Stato di diritto ma che non deve e non può diventare la norma. Se ne avessimo la capacità dovremmo cercare di convertire questa situazione, per quando drammatica, verso cambiamenti positivi che comprendano giustizia sociale e processi democratici.
La decretazione d’emergenza su ordinanze e divieti – sovente senza alcuna logica – hanno fatto esplodere il virus della tracotanza e dell’ipertrofia dell’IO, di uomini in divisa in azione con molta più discrezionalità di quanta già ne avessero da far apparire i decreti di sicurezza di Salvini come ammennicoli di un ordinamento giudiziario profilato per uno stato di polizia con look sudamericano.
Ora in un ambiente cotto a puntino e totalmente impaurito e terrorizzato rimane complicato chiamare all’organizzazione e alla lotta, in un tempo di crisi e recessione che sta arrivando. L’impossibilità di fare riunioni, assemblee, manifestazioni, presidii, picchetti in uno spazio pubblico ma soprattutto fisico. L’apparato di repressione adotterà motivazioni sanitarie per impedire qualsiasi forma aggregativa di protesta contro normative palesemente ingiuste.
Se qualcuno fosse tormentato da peraltro ragionevoli dubbi riporto sinteticamente le 10 regole che Il grande intellettuale statunitense Noam Chomsky elaborò inerenti il controllo sociale, ovvero, strategie utilizzate per la manipolazione del pubblico attraverso i mass media:
1) La strategia della distrazione
2) Creare problemi e poi offrire le soluzioni
3) La strategia della gradualità
4) La strategia del differire.
5) Rivolgersi al pubblico come ai bambini.
6) Usare l’aspetto emotivo molto più della riflessione..
7) Mantenere il pubblico nell’ignoranza e nella mediocrità..
8) Stimolare il pubblico ad essere compiacente con la mediocrità.
9) Rafforzare l’auto-colpevolezza.
10) Conoscere gli individui meglio di quanto loro stessi si conoscano.
Negli anni ’50 i rapidi progressi della scienza hanno generato un divario crescente tra le conoscenze del pubblico e quelle possedute e utilizzate dalle élites dominanti.
Grazie alla biologia, la neurobiologia, e la psicologia applicata, il sistema ha goduto di una conoscenza avanzata dell’essere umano, sia della sua forma fisica che psichica.
Il sistema è riuscito a conoscere meglio l’individuo comune di quanto egli stesso si conosca. Questo significa che, nella maggior parte dei casi, il sistema esercita un controllo maggiore ed un gran potere sugli individui, maggiore di quello che lo stesso individuo esercita su sé stesso.
Giuseppe Pelli – Osservatorio Repressione
Grazie per l’artcolo, molto dettagliato e ricco di spunti di riflessione.
Nella speranza che si riesca a breve a ridare giusto peso e valore ai vari aspetti essenziali dell’esistenza e a non sacrificare sull’altare della paura, i nostri valori fondamentali.
Grazie per l’artcolo, molto dettagliato e ricco di spunti di riflessione.
Nella speranza che si riesca a breve a ridare giusto peso e valore ai vari aspetti essenziali dell’esistenza e a non sacrificare sull’altare della paura, i nostri valori fondamentali.