I fatti avvenuti ad Amsterdam lo scorso 7 novembre, relativi agli scontri tra le tifoserie calcistiche dell’Ajax di Amsterdam e del Maccabi di Tel Aviv, e la messa in scena da parte dei media che non tengono conto delle dinamiche che hanno regolato il verificarsi degli eventi, e nemmeno i contesti sociali interessati.
di Vincenzo Scalia da Studi sulla Questione Criminale
A volte gli schemi utilizzati per rappresentare la realtà si trasformano in pregiudizi, in quanto non tengono conto delle dinamiche che hanno regolato il verificarsi degli eventi, e nemmeno i contesti sociali interessati. Ne consegue uno scarto vistoso tra la realtà e la sua messa in scena, che scaturisce in interpretazioni distorte, che fanno leva sull’interesse ad assecondare una rappresentazione dominante. A lungo andare, questo processo di distorsione della realtà, si traduce nella produzione, riproduzione e circolazione di pregiudizi e pratiche discriminatorie nei confronti di individui e gruppi sociali. I fatti avvenuti nella capitale dei Paesi Bassi lo scorso 7 novembre, relativi agli scontri tra le tifoserie calcistiche dell’Ajax di Amsterdam e del Maccabi di Tel Aviv, e la loro messa in scena da parte dei media, esemplificano questa impostazione.
Da un lato i fatti, documentati da foto e video, suffragate dalle testimonianze dei presenti, dei tifosi e persino dai rapporti della polizia di Amsterdam, parlano di tifosi del Maccabi Tel Aviv arrivati ad Amsterdam in assetto paramilitare, armati di oggetti contundenti, pronti allo scontro. Soprattutto, documentano bandiere palestinesi strappate, cori contro la Palestina, tra cui quello, agghiacciante, urlato allo stadio: “a Gaza non ci sono scuole perché non ci sono più bambini”, sommati ad atti di vandalismo in giro per la città. Insomma, un campionario di atti violenti e provocazioni messe in atto dai settori delle tifoserie che cercano lo scontro coi gruppi avversari.
Dall’altro lato, però, i mezzi di informazione occidentali, si impegnano da giorni alacremente a ribaltare le dinamiche dei fatti, se non addirittura ad occultarle, assecondando la lettura del premier israeliano Netanyahu, che parla addirittura di una nuova notte dei cristalli. Eppure ci sono stati solo sei feriti lievi, secondo quanto riportato dalla polizia olandese, senza contare i danni arrecati dei tifosi del Maccabi, notoriamente di destra. Soprattutto, l’Ajax è una squadra che, come il Tottenham a Londra, può contare su una cospicua tifoseria ebraica. Non è perciò casuale che i gruppi di supporter organizzati delle due squadre, siano gemellati. I conti, rispetto a una presunta nuova “notte dei cristalli”, non tornano. Nessuno mette in dubbio che la violenza, prevalentemente reattiva, ci sia stata anche da parte dei tifosi dell’Ajax. Ma cosa è successo in realtà il 7 novembre?
Alessandro Dal Lago (1990) ci spiegava che una partita di calcio è lungi dall’essere un fenomeno all’insegna del decoubertiniano “l’importante è partecipare”, così come viene rappresentata dalle narrazioni dominanti. Sia sugli spalti, sia sul terreno di gioco, si assiste alla produzione di un fenomeno sociale totale, ovvero un evento che elabora e mette in scena le contraddizioni e le fratture che attraversano la società. Il tifo calcistico, in altre parole, rappresenta un potente veicolo di formazione delle identità di classe, politiche, etniche, nonché della loro circolazione. Non a caso la guerra jugoslava cominciò, a metà degli anni ottanta, sugli spalti, quando i tifosi serbi cominciarono a coalizzarsi contro quelli croati, che si unirono contro i bosgnacchi, formando i primi nuclei di quegli squadroni paramilitari destinati a diventare tristemente famosi pochi anni dopo.
Ad Amsterdam, lo scorso 7 novembre, abbiamo assistito a uno scenario analogo. I tifosi del Maccabi hanno infranto la barriera del gemellaggio, ovvero della solidarietà e del sostegno tra tifoserie, in nome del loro nazionalismo, per la prima volta ostentato pubblicamente fuori dai confini nazionali. Probabilmente contavano di fare leva sull’identità ebraica della tifoseria della squadra che fu di Crujiff, di Van Basten, di Davids. In realtà Amsterdam è una città multiculturale, e il caleidoscopio etnico si riflette anche nella tifoseria dei lancieri1, dove è presente anche una forte componente di origine musulmana e araba.
In ogni caso, gli ultras dell’Ajax, non si caratterizzano per l’appartenenza alla destra radicale come quelli del Feyenoord di Rotterdam. L’eterogeneità culturale, la forte presenza araba e musulmana, l’approccio aggressivo e violento da parte dei tifosi del Maccabi, hanno finito per suscitare la reazione dei supporter dell’Ajax, e di parte della popolazione di Amsterdam. La questione palestinese, d’altra parte, ha conquistato da un anno e mezzo la ribalta pubblica internazionale, giungendo anche a provocare prese di posizioni nette da parte di istituzioni internazionali come l’ONU e la Corte Internazionale di Giustizia contro la politica del governo Netanyahu e gli oltre 40.000 morti provocati in un anno e mezzo di rappresaglia.
Tuttavia, la crescente consapevolezza che si diffonde presso l’opinione pubblica internazionale, stride con il mantenimento degli equilibri politici esistenti, allineati sugli interessi e sulla politica estera statunitense, che si traducono in una difesa ostinata, talvolta ottusa, delle atrocità commesse dal governo israeliano, e della presunta democraticità di Israele. Viceversa, le comunità arabe e musulmane rappresentano la polarità negativa della vicenda, in quanto sarebbero popolate da feroci fondamentalisti che alimenterebbero una nuova ondata di antisemitismo. Non a caso, la destra olandese, ha subito parlato della necessità di espellere i musulmani sospettati di collateralità col fondamentalismo.
Se da un lato è vero che gruppi come Hamas ed Hezbollah si caratterizzano per il loro radicalismo islamico, dall’altro lato è anche vero che dobbiamo la loro crescita alla politica israeliana, che ha decapitato le forze laiche e progressiste uccidendone o imprigionando i leaders, con l’avallo degli USA, che dagli anni 70 hanno blandito i fondamentalisti in chiave anticomunista. Inoltre, l’esistenza e la popolarità di Hamas ed Hezbollah, non giustificano il massacro sistematico di civili inermi, né le vessazioni quotidiane a loro inflitte, che vanno dalla fame alla violenza sessuale. Infine, non si può non rivolgere un pensiero all’UEFA. Da anni a Nyon, dove la federazione calcistica europea ha sede, parlano di fair play, coltivano l’immagine del calcio come veicolo di integrazione, promuovono campagne antiomofobiche, antisessiste, antirazziste, pacifiste, ma non si spostano più in là degli slogan. Nessun calciatore ha fatto coming out negli ultimi anni. L’unico che lo fece agli inizi degli anni 80, l’inglese di origine nigeriana Justin Fashanu, venne letteralmente cacciato dallo show business calcistico, fino a commettere il suicidio. Né la UEFA, né la federazione inglese, hanno mai promosso un’iniziativa che lo ricordasse.
Quanto alla politica internazionale, a Nyon, hanno sempre dimostrato di sapere bene da che parte si deve stare. Sin dagli anni novanta, quando la Jugoslavia fu esclusa dalle competizioni, sia delle rappresentative nazionali che di club. Fino ad arrivare all’oggi, con la parola “Peace” che campeggia negli stadi e negli score televisivi, mentre la Russia ha subito un trattamento analogo a quello dei club serbi 30 anni fa. Soprattutto, la UEFA ignora la Palestina, o fa finta di farlo. Ai tifosi dell’Ajax va dato il merito di avere smascherato questo teatrino ipocrita. Sulla scia di quanto insegnava Johan Crujiff, il più grande calciatore olandese di tutti i tempi e uno dei migliori di sempre a livello mondiale, che ricordava che il calcio nasce sulla strada. E prima o poi smaschera l’ipocrisia mercantilista dei fair play. Speriamo che la lezione serva.
- Soprannome dell’Ajax, derivante dal logo. ↩︎
Riferimenti bibliografici:
A. DAL LAGO, A. (1990), Descrizione di una battaglia, Il Mulino, Bologna.
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