Il Tribunale di Roma, come reso noto dalla Garante dei detenuti di Roma Valentina Calderone, non ha convalidato il trattenimento di Seif Bensouibat presso il Centro di permanenza per i rimpatri dell’educato algerino che da giovedì era rinchiuso nel Cpr romano. Si attende l’uscita dal Cpr romano di Ponte Galeria, ma sul suo futuro in Italia ci sono ancora grosse ombre, essendo ancora in piedi il processo di espulsione e di revoca dello status di rifugiato.
Seif Bensouibat, 38 anni, è un cittadino algerino e il suo arrivo in Italia è datato 2013. Qui ottiene lo status di rifugiato politico e inizia a lavorare come educatore nel liceo romano Chateaubriand, una prestigiosa istituzione scolastica di lingua francese. Non viene segnalato alcun problema, i rapporti con i colleghi sono ottimi e Bensouibat ottiene un contratto di lavoro a tempo indeterminato. Contratto che però si interrompe nel febbraio 2024, quando viene licenziato.
Il problema sta in alcuni post pubblicati da Bensouibat in una chat privata che condivideva con amici e colleghi. In uno con toni forti accusa Israele e i paesi occidentali per il genocidio in corso, sottolineando che prima o poi l’avrebbero pagata. In un altro è ritratto il portavoce dell’organizzazione radicale palestinese Hamas. In un altro ancora fa un parallelo tra la resistenza palestinese e la liberazione dell’Algeria, il suo paese, scrivendo che quelli che venivano chiamati terroristi sono poi diventati eroi nazionali con l’indipendenza.
“Ho caricato le foto sull’onda dell’emozione dopo aver visto delle immagini dei bambini morti nel conflitto a Gaza”, spiega Bensouibat, che subito si scusa per il tenore dei post. Quando li pubblica, Israele ha già ucciso 25mila persone a Gaza, mentre alla Corte internazionale di giustizia è iniziato il dibattimento per stabilire se condannare il paese per genocidio. Qualcuno nella chat segnala i suoi contenuti, la cosa arriva fino alla dirigenza del liceo Chateaubriand. Che lo licenzia. Ma la cosa non finisce lì.
La Digos si presenta a casa dell’uomo, che è incensurato, e la perquisisce alla ricerca di armi, esplosivi e altre cose che possano legarlo al terrorismo. Non viene trovato niente. Il 5 febbraio il permesso di soggiorno di Bensouibat come rifugiato politico viene sottoposto a revoca. Su di lui viene aperta un’indagine penale per minaccia aggravata e istigazione e propaganda finalizzata alla discriminazione. “I suoi post vengono associati al fenomeno del terrorismo di matrice religiosa, dei lupi solitari e dell’auto-addestramento attraverso internet”, spiega a Domani Flavio Rossi Albertini, il suo avvocato.
Nel frattempo in questi mesi la vita di Bensouibat prosegue normalmente, tranne per il lavoro che non c’è più. Finché il 16 maggio avviene una nuova irruzione in casa sua, questa volta da parte della polizia. All’uomo viene revocato lo status di rifugiato politico: deve essere espulso dall’Italia. Viene portato nel Centro per il rimpatrio (Cpr) di Ponte Galeria, uno dei più grossi buchi neri della democrazia italiana, quei lager di Stato dove la gente si cuce la bocca e si spezza le gambe pur di uscire, dove l’ultimo suicidio è avvenuto solo due mesi fa, dove vengono negati diritti e libertà di base. Tanto che, dalla società civile alla politica, il coro è quasi unanime (tranne a destra) per la sua chiusura.
“Non capisco niente, sono stordito, ho il cuore che batte a mille e il cervello che non smette di pensare. Mi sento trattato come un animale, un sacco nero da buttare via”, queste sono le prime parole che Seif Bensouibat dalla sua cella nel Cpr di Ponte Galeria a Roma ha rilasciato a Fanpage
“Giovedì hanno bussato alla mia porta, erano agenti di polizia che mi hanno detto che dovevano darmi una notifica. Mi hanno chiesto di seguirli, ma non mi hanno detto dove mi avrebbero portato”, racconta. “Io ho un cane a casa, con cui vivo da tanti anni. Avrebbero potuto dirmi che quella notte non sarei tornato a casa, avrei lasciato più acqua e più cibo al cane, invece non mi hanno detto niente. Sapevo solo che avrei dovuto ritirare una notifica all’ufficio immigrazione”. Ma la notifica che gli viene data è una notifica di espulsione dal territorio nazionale. Bensouibat passa qualche ora nell’ufficio immigrazione di via Patini, e poi viene direttamente trasferito nel Cpr di Ponte Galeria.
“Dentro il Cpr tutti mi chiedono che ci faccio qui, sono tutti stupiti che io sia stato chiuso qui dentro. Io mi sento tradito dalla terra che dieci anni fa mi aveva accolto, mi sento perseguitato, vittima di una grande ingiustizia. Sono un essere umano ma qui non valgo niente. Mi hanno tolto tutto, il mio lavoro, la mia casa, il mio cane. Sono stato accusato di cose gravi, hanno rovinato la mia immagine, cosa vogliono farmi di più?”.
“L’unica cosa che non mi hanno ancora tolto è la dignità e la vita, ma ho paura che qui dentro la perderò, e so che accadrà se mi rimanderanno in Algeria”, conclude.
Il Tribunale di Roma, come reso noto dalla Garante dei detenuti di Roma Valentina Calderone, non ha convalidato il trattenimento presso il Centro di permanenza per i rimpatri dell’educato algerino che da giovedì era rinchiuso nel Cpr romano. Si attende l’uscita dal Cpr romano di Ponte Galeria, ma sul suo futuro in Italia ci sono ancora grosse ombre, essendo ancora in piedi il processo di espulsione e di revoca dello status di rifugiato.
Dopo 4 giorni rinchiuso nel Cpr di Ponte Galeria, Seif Bensouibat è tornato libero. Il giudice di pace non ha convalidato il trattenimento dell’ex educatore del prestigioso liceo privato di Roma Chateaubriand, finito al centro di una assurda vicenda giudiziaria per dei post pro Hamas in una chat privata. «Sono stati tre giorni in condizioni terribili – ha detto Bensouibat all’uscita da Ponte Galeria- io per fortuna sono stato qui poco, c’è gente chiusa da mesi».
RIMANGONO molti dubbi sui motivi di una misura tanto estrema come la detenzione in un cpr, «assolutamente improponibile fino a quando il Tribunale non si esprime sulla revoca dello status di rifugiato», come spiegano i legali Arturo Salerni e Flavio Rossi Albertini che hanno presentato ricorso. «È incomprensibile questa accelerazione così improvvisa dalla Questura, sono funzionari esperti che conoscono la normativa – dice Salerni – è stato un passaggio sopra le righe in rapporto ai fatti contestati». Gli avvocati specificano che si trattava di «espressioni non pubbliche, senza neanche il carattere propagandistico, senza elementi associativi né predisposizione a compiere atti di violenza, una reazione al momento magari non misurata ma più di questo non è». Di certo ogni passaggio di questa storia è stato fuori misura: dopo il commento considerato filo Hamas su una chat privata, a gennaio l’abitazione dell’educatore è stata perquisita dalla Digos, subito dopo è stato licenziato dalla scuola dove lavorava da 10 anni e infine, giovedì scorso, è stato prelevato da casa e portato in un centro di detenzione per migranti. Bensouibat ora rimane indagato per «propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa» e rischia ancora di essere espulso per quello che si configurerebbe, eventualmente e sarebbe già eccessivo, come reato di opinione.
«È TUTTO sproporzionato rispetto a un momento di sconforto su quello che stava e sta succedendo a Gaza, ma su questo argomento ci sono nervi scoperti», dice ancora Salerni. I legali confidano nel Tribunale di Roma: «La revoca della protezione internazionale dovrebbe essere un fatto straordinario, si espongono a pericoli persone che dovrebbero essere protette dal nostro ordinamento».
È intervenuta anche Amnesty International parlando di «decisione grave». Per quello che gli inquirenti considerano un pericoloso filo terrorista, si è mossa in questi giorni la comunità scolastica del costoso liceo francese di Roma che sabato scorso si è unita al presidio ai cancelli di Ponte Galeria.
GENITORI e studenti hanno attivato due raccolte firme on line. «È stato sempre apprezzato da bambini e da genitori, esprimiamo tutta la nostra solidarietà a Seif in questo incubo che sta vivendo e chiediamo che possa beneficiare di tutti i suoi diritti previsti dalla legge (immigrazione, libertà di espressione e lavoro) – si legge nella prima – Il rischio di espellere un rifugiato politico nel Paese è un’azione sproporzionata che mette in serio pericolo la vita di un giovane». Anche gli alunni scrivono, «era sempre gentile, prendeva sul serio e a cuore il suo ruolo di educatore, non ha mai espresso opinioni politiche, non si è mai comportato in modo inappropriato e non ha mai fatto commenti discriminatori su nessuno». «Vi chiediamo di unirvi a noi, con urgenza, nella difesa della sua persona, della sua dignità».
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