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Sentenza della Cedu: La sorveglianza di massa è illegittima. No a Stato di Polizia

Le intercettazioni di massa violano i diritti dei cittadini alla privacy e alla libertà di espressione. A stabilirlo, ieri, è stata la Corte europea dei diritti dell’uomo, che si è pronunciata sul ricorso presentato da Big brother watch – organizzazione britannica senza scopo di lucro per le libertà civili e la privacy – contro il Regno Unito, la cui condotta è stata giudicata illegale. La Corte ha infatti stabilito che i programmi di intercettazione di massa svelati dall’informatico, attivista e whistleblower statunitense Edward Snowden violano la Convenzione. L’ex agente Cia, nel 2013, svelò al mondo i dettagli di alcuni programmi top- secret di sorveglianza di massa della National Security Agency ( Nsa), organismo che si occupa della sicurezza nazionale americana. Tra questi il programma di intercettazione telefonica tra Stati Uniti e Unione europea Prism, che consente di accedere ad email, chat, chat vocali e videochat, video, foto, conversazioni VoIP, trasferimento di file, notifiche d’accesso e dettagli relativi ai social, sfruttando il percorso dei dati nel tratto intermedio tra un nodo terminale e l’altro.

Sono stati proprio i documenti forniti da Snowden a far scoprire che l’agenzia di intelligence britannica Gchq ha condotto intercettazioni su scala demografica, riuscendo così a raccogliere i dati di milioni di persone innocenti. Secondo la Corte, un regime di intercettazione collettiva, come forma di difesa dalle minacce del terrorismo e dalla possibilità di sfruttare internet per organizzare le attività trroristiche, non è di per sé illegale, ma in considerazione della natura mutevole delle tecnologie è necessario prevedere tutele specifiche per evitare abusi. In particolare, è necessario prevedere “salvaguardie end- to- end”, il che significa che, a livello nazionale, è necessario effettuare una valutazione in ogni fase del processo della necessità e proporzionalità delle misure prese, con specifiche autorizzazioni per l’effettuazione di intercettazioni collettive sin dal momento della definizione dell’oggetto e della portata dell’operazione. Operazione necessariamente soggetta a supervisione e revisione indipendente ex post, stabilendo i criteri di selezione dei dati raccolti e identificatori specifici del soggetto da controllare, criteri che, in Gran Bretagna, sono stati disattesi, interferendo, dunque, con i diritti della vita privata dei cittadini.

Con tali attività, il governo britannico non sarebbe andato caccia di “obiettivi identificati”, bensì di dati, per decidere solo in un secondo momento chi sarebbe potuto essere un obiettivo. «L’ammissione di intercettazioni collettive non mirate – ha affermato il giudice Pinto de Alburquerque, che ha espresso un’opinione leggermente differente da quella dei colleghi, pur se unanimemente concordi nel riconoscere le violazioni

da parte del Regno Unito – comporta un cambiamento fondamentale nel modo in cui vediamo la prevenzione del crimine e le indagini e la raccolta di informazioni in Europa dal prendere di mira un sospetto che può essere identificato al trattare tutti come un potenziale sospetto, i cui dati devono essere archiviati, analizzati e profilati. Una società costruita su tali fondamenta è più simile a uno stato di polizia che a una società democratica. Questo sarebbe l’opposto di ciò che i padri fondatori volevano per l’Europa quando firmarono la Convenzione nel 1950».

La Corte ha anche ribadito che tale metodo potrebbe comportare una violazione delle fonti giornalistiche, ribadendo che la protezione delle fonti è uno dei cardini della libertà di stampa e, come tale, è inviolabile. Tra i ricorrenti, infatti, c’era anche un’organizzazione giornalistica, alla quale è stata riconosciuta l’interferenza con il diritto alla libertà di espressione. E una qualsiasi interferenza, secondo la Corte, rischierebbe di avrebbe un impatto negativo sul ruolo fondamentale di controllo pubblico della stampa e sulla sua capacità di fornire informazioni accurate e affidabili.

Le tecniche di intercettazione di massa messe in atto dalla Cia, secondo quanto rivelato da Snowden, hanno interessato anche l’Italia, tra i Paesi più spiati e sotto “tutela” da parte dell’intelligence americana. Il caso più eclatante è quello del rapimento dell’imam Abu Omar, vittima di un’operazione di “extraordinary rendition”, per la quale l’Italia è stata condannata proprio dalla Cedu: secondo i giudici, infatti, le autorità italiane erano a conoscenza di tale operazione illegale, cominciata con il rapimento dell’Imam in Italia e continuata con il suo trasferimento all’estero, dove è stato sottoposto a torture. Il governo, sulla vicenda, ha però apposto e confermato il segreto di Stato, assicurando così che i responsabili sfuggissero alle proprie responsabilità, nonostante le condanne inflitte dai giudici italiani, rimaste lettera morta.

Simona Musco

da il dubbio