Sentenza Diaz: De Gennaro non si smentisce niente scuse per la "macelleria messicana"
No! De Gennaro supplisce all’afasia della politica perché la politica ora è lui. Sottosegretario del terrificante governo Monti dopo essere stato il Negroponte italiano, capo di tutti i servizi segreti. Prova dolore, così dice, ma non chiede scusa. Ci fa caso immediatamente Giuiliano Giuliani, padre di Carlo, 23 anni undici anni fa quando fu ucciso da un proiettile di un carabiniere durante gli scontri innescati dalla quarta forza armata – anche con armi improprie – e senza alcuna legittimità. Una sentenza ha rinviato gli atti in procura ma nessun magistrato s’è preoccupato di capire perché un corpo armato possa arrivare a compiere quella mole di reati in poche ore. Quanto all’omicidio di Carlo, un altro magistrato, pur avendo visto un film – come decine di migliaia di altre persone – in cui l’estintore spuntava solo dopo che la pistola era stata impugnata da killer dall’uomo della Benemerita, ha stabilito che l’uomo con la pistola si stava difendendo. Nemmeno un processo pubblico per il più grave fatto di ordine pubblico da trent’anni in qua. Da allora Haidi e Giuliano esplorano ogni strada per reclamare un processo. Ovvio che a Giuliano salti subito agli occhi « il solito cerimoniale – delle parole di De Gennaro – nulla di autenticamente sentito. Ripeto non ci sono le scuse e manca una ammissione di responsabilità». Il padre di Carlo ammette che non si sarebbe aspettato «qualcosa di diverso».
«Sono dichiarazioni che esprimono lo stato d’animo di un uomo che ha sempre lavorato nelle istituzioni», dice invece il senatore dell’Idv Luigi Li Gotti, già sottosegretario alla Giustizia nel governo Prodi, ossia uno di quelli che bloccò la richiesta di una vera commissione parlamentare d’inchiesta com’era scritto nel programma di quell’infelice governo.
Da parte delle vittime della Diaz non si può che constatatre la «mancanza di vergogna di Gianni De Gennaro». D’altronde se le parole hanno un significato, ha ragione Lorenzo Guadagnucci, giornalista pestato quella notte, quando dice «che lo lasciano parlare di stato di diritto come se non fosse stato proprio lui il massimo responsabile dell’ordine pubblico durante la più grave violazione di massa dei diritti umani che si sia vista in Europa negli ultimi decenni (fonte: Amnesty International)». Eppure il tecnico bancario Monti dovrebbe intuire che De Gennaro è stato «tecnicamente il protagonista di un fallimento: la disastrosa gestione del G8 di Genova sarà ricordata nei libri di storia come una delle pagine più nere e più imbarazzanti – anche sul piano internazionale – della polizia italiana. Il dottor De Gennaro è stato anche protagonista della mancata collaborazione della polizia nelle inchieste scaturite da quei fatti.
Incalza, a questo punto, Vittorio Agnoletto, cui è stata negata la possibilità di essere parte civile ma che era portavoce del Genoa social forum, l’obiettivo della guerra delle polizie a Genova. «Le parole di De Gennaro sono opposte a quelle che ci si dovrebbe aspettare da un uomo che ha giurato di servire le istituzioni e che oggi rappresenta il governo; sono parole molto più simili a quelle di un capobanda che, dopo aver subito una sconfitta, resta consapevole dell’enorme potere di cui ancora dispone e manda messaggi precisi ai suoi interlocutori, agli uomini di governo. I quali possiamo esserne certi, si affretteranno ad adeguarsi e anche questa volta non oseranno chiedergli di farsi da parte.
Checchino Antonini