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Siano i territori a dettare l’agenda politica delle istituzioni

Lettera di Luigi Spera dal carcere di Alessandria. In occasione della manifestazione che si terrà  a Messina contro il ponte sullo Stretto, pubblichiamo la lettera inviata da Luigi ai compagne/i di Antudo in cui condivide con le sue riflessioni su guerra, repressione e mobilitazione no ponte.

da antudo.info

Ciao a tutte e tutti,

vi scrivo dalla mia cella, dopo aver visto ed ascoltato in TV stralci del discorso che Benjamin Netanyahu ha tenuto a Washington al Congresso degli Stati Uniti d’America, in una Capitol Hill blindata mentre fuori migliaia di manifestanti accorsi ad esprimere il loro dissenso venivano arrestati.

Mi è parsa la perfetta rappresentazione della distanza abissale che esiste in Occidente tra istituzioni e territori.

Un criminale di guerra, un genocida accolto come un eroe ed applaudito dal congresso statunitense in un clima di ferocia e repressione nei confronti di una partecipata contestazione organizzata da cittadine e cittadini americani ed israeliani, radunati sotto al palazzo del potere che tutto rappresenta fuorché i territori che governa.

Nel suo intervento, applaudito lungamente da un manipolo di parlamentari entusiasti, il premier israeliano terrorista e responsabile della morte di quasi 40000 palestinesi, ha ripetuto di continuo che è in corso una lotta dei buoni contro i cattivi e che Israele come gli Usa è dalla parte del bene, in un processo di “civilizzazione” dei territori abitati dai palestinesi. Ha poi concluso chiarendo cosa si intenda per “civilizzazione”, chiedendo aiuti militari più rapidi e armi più potenti.

D’altronde proprio nelle stesse ore in cui Netanyahu si trovava a Washington e si accingeva a fare il suo discorso di civiltà, era in corso già da 48 ore un raid dell’esercito israeliano a khan Younis che ha ucciso 130 civili, ha fatto 44 dispersi e centinaia di feriti. Un raid effettuato con bombardamenti aerei e cannonate dei mezzi corazzati. I premier israeliano ha anche dichiarato però che «la vittoria è in vista e che la sconfitta di Hamas da parte di Israele sarà un duro colpo per l’asse del terrore iraniano».

Si ripropone il mantra della vittoria imminente e dell’assenza di una vera propria resistenza organizzata dal popolo palestinese.

Verrebbe da chiedersi allora perché diverse aree della Striscia di Gaza, che erano state dichiarate dall’esercito Israeliano “zone ripulite” e da cui si erano ritirati i soldati dell’IDF siano tornate a essere teatro di combattimenti.

È proprio il caso di Khan Younis, come anche di Gaza City e i suoi dintorni, o del campo profughi di Jabalya.

Nel caso di Khan Younis la prima operazione sferrata a inizio anno era terminata in aprile. Dopo aver causato centinaia di morti tra i civili  la città era stata dichiarata “ripulita” dall’esercito sionista, erano stati fatti addirittura rientrare i civili evacuati da Rafah dove erano in corso altri combattimenti. Adesso tornano i carri armati per una nuova offensiva. Insomma i territori palestinesi, a differenza delle istituzioni di Israele, ci raccontano con i fatti che la resistenza è tutt’altro che sconfitta. I suoi combattenti scompaiono, riappaiono tendendo imboscate e fuggono per riorganizzarsi. E ciò avviene nonostante l’entità sionista abbia un’efficiente industria bellica ed importi armi sempre più potenti dagli Stati Uniti (armi più o meno legali, sembra che dai deposti Usa in Europa siano partiti rifornimenti di bombe a grappolo vietate dalle convenzioni internazionali).

Nonostante la resistenza palestinese sia stretta in assedio da tutti i fronti, la vittoria israeliana è ancora fortemente in discussione.

Addirittura il portavoce delle “forze di difesa” israeliane ha di recente dichiarato dal campo: «l’idea che sia possibile distruggere Hamas è gettare sabbia negli occhi del pubblico».

Ce lo dicevamo già nelle riunioni dell’assemblea di solidarietà con il popolo palestinese a Palermo lo scorso Dicembre, che questo sarebbe stato un conflitto tutt’altro che rapido, poiché invadendo la striscia di Gaza l’IDF avrebbe dovuto misurarsi con la resistenza dei territori palestinesi e con le sue tecniche di guerriglia che avrebbero giocato con il fattore temporale a loro favore. E così è stato! Hanno pagato un prezzo altissimo ma continuano a non arrendersi all’oppressione e al genocidio in atto.

Contemporaneamente dagli Stati Uniti all’Europa, dall’Australia al Medio Oriente, migliaia di manifestazioni, mobilitazioni, cortei in sostegno della lotta di liberazione di Gaza hanno invaso le strade, le piazze e gli atenei delle principali città.

Questo ha dato un grandissimo supporto al popolo palestinese, ha dato forza alla sua resistenza e ha fatto sì che la narrazione dei colonizzatori sionisti e degli stati che li appoggiano non fosse l’unica.

È necessario ancora oggi mobilitarsi e tornare al più presto nelle università per esprimere la nostra solidarietà alla Palestina e a tutti i popoli oppressi, per dichiarare – ancora – guerra alla guerra imperialista e per far sentire la voce dei territori contro il monopolio istituzionale dell’informazione e del sapere.

Nel frattempo in Francia, a Parigi, con le Olimpiadi e l’enorme marchingegno di speculazione economica ad esso correlato si mette in atto l’ipocrita pantomima della fratellanza tra gli stati.

Anche lì, le istituzioni, comprese quelle sportive, in uno scenario geopolitico mondiale devastato dai conflitti bellici, ci raccontano di una pacificazione di facciata retta in piedi però, ancora una volta, da una immane militarizzazione dei territori.

Con il movente dell’antiterrorismo lo stato francese schiera per le strade di Parigi migliaia di mezzi, militari e agenti di polizia armati in assetto da guerra per una vera e propria mega esercitazione bellica in ambiente urbano.

Anche tornando nei confini nazionali dello stato italiano emerge forte la discrepanza tra le priorità delle istituzioni del governo Meloni ed i bisogni e necessità degli abitanti dei territori, proprio mentre questi reclamano a gran voce messa in sicurezza e cura. Basti guardare alla tragedia avvenuta proprio qualche giorno fa a Scampia, in una delle tante periferie abbandonate delle nostre metropoli, e all’immediata risposta degli abitanti che organizzati in comitati si mobilitano già da anni per il recupero del loro quartiere. O al ritorno puntuale ogni estate della cosiddetta “emergenza incendi”. Solo qualche settimana fa due vigili del fuoco a Matera hanno perso la vita nel tentativo di mettere in salvo dei cittadini asserragliati nella loro abitazione avvolta dalle fiamme.

Due vigili del fuoco, due lavoratori, non due eroi, costretti a prendere servizio in una ormai cronica carenza di organico e di mezzi in cui versa già da anni il Corpo nazionale. Il governo, con il suo ministro degli interni responsabile di tali carenze strutturali, ritiene che basti chiamarli “eroi” per ripagare la loro generosità, tipica di chi ha scelto di fare questo mestiere.

Mentre i territori reclamano servizi sociali, aumento dei salari e delle pensioni, occupazione, sanità pubblica, soluzioni all’emergenza abitativa, le istituzioni centrali in continuità con l’agenda Draghi, rispondono con l’aumento della spesa militare fino al 2% del PIL, gestendo il Pnrr a garanzia dei grandi monopoli, decurtando stipendi e sussidi ed approvando un “ddl sicurezza” fortemente limitativo delle libertà politiche. O ancora finanziando i progetti relativi alle grandi opere inutili come il ponte sullo Stretto di Messina, in un territorio come quello siciliano dove mancano autostrade, reti ferroviarie, in cui manca l’acqua nelle abitazioni e nelle aziende agricole, in cui la rete di distribuzione idrica pubblica non viene manutenuta da decenni e ci fa perdere quasi il 50% delle risorse disponibili.

Anche per tutto questo dobbiamo continuare a mobilitarci, a partire dal corteo contro il ponte e per la chiusura della Stretto di Messina SPA del prossimo 10 agosto. Portiamo in piazza le nostre, di priorità. Che siano i territori a dettare l’agenda politica delle istituzioni e non il contrario. Vi abbraccio forte e spero di essere presto presente nuovamente tra voi. Luigi

Ps. Comunque alle Olimpiadi tifo per Abu Sal, pugile palestinese della palestra El Barrio di Ramallah. Viva Boxe contro l’assedio! Viva lo sport popolare!

 

 

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