Troppi errori, il governo molla il decreto sulle espulsioni. Figuraccia dell’Unione e di Veltroni. Mezza vittoria della sinistra, che non voleva il provvedimento. I centristi si sono fatti rispettare. Sconfitta e imbarazzo per Amato: aveva minacciato le dimissioni
Colpa di una norma impropria ma anche – per dirla alla Veltroni – dell’ingorgo parlamentare che non consente di correggere la norma e di farla approvare in tempi rapidi al senato. In parole schiette, sulla sicurezza il governo batte in ritirata. Lascerà ‘decadere’ il decreto sulle espulsioni facili, quello che il manifesto aveva chiamato il decreto antirumeni. Così ieri, al termine di una giornata di estenuante dibattito in aula, è toccato al capogruppo del Pd Antonello Soro raccontare quello che stava succedendo. Metterci la faccia, insomma, per spiegare perché il governo ha deciso di lasciar morire il decreto che aveva varato con massima urgenza e che il sindaco Walter Veltroni aveva fortissimamente voluto all’indomani dell’omicidio a Roma della signora Patrizia Reggiani. Finisce tutto in una bolla di sapone: la battaglia della sinistra per renderlo più digeribile, la notte drammatica del 6 dicembre con la fiducia al senato, il ‘no’ della senatrice Paola Binetti a nome della componente ‘teodem’ del Pd. Poi la scoperta dell’errore materiale di una norma antiomofobia mal scritta che cancellava un numero considerevole di processi con reati a sfondo razzista. E infine, e siamo a due giorni fa, l’altolà del Quirinale, che avvertiva la nuora (di destra) perché la suocera (dell’Unione) intendesse la sua «massima attenzione» su un testo che conteneva «riferimenti erronei» e quindi a rischio di promulgabilità: quasi un annuncio di bocciatura. Tutto sbagliato, tutto da rifare? Quasi. Ieri l’ostruzionismo della destra in aula. La ex Casa delle libertà giocava al tiro al piccione sulla maggioranza. Che dal canto suo reagiva mandando debolissimi segnali di vita. Poi la discussione è stata sospesa in attesa delle comunicazioni ufficiali del governo. Stamattina, dopo una riunione dei capigruppo convocata per le 9 e 30, il ministro dei rapporti con il parlamento Vannino Chiti annuncerà la fine ufficiale di questa storia. Il decreto, dunque, sarà lasciato decadere. Non sarà convertito entro fine anno, quindi non diventerà legge.Ma Palazzo Chigi non lascerà «vuoti legislativi». Dunque il testo verrà «reiterato», ovvero ripresentato, anche se non uguale – sarebbe incostituzionale – quindi ripulito dalla norma antiomofobia», come spiega Soro. «Si è già deciso utilmente di inserire nella legge che la commissione giustizia ha già elaborato sulle molestie e all’omofobia, lo strumento con cui è possibile affrontare e risolvere questi problemi. Il combinato di quella legge con un decreto sulla sicurezza, ripulito dalla norma impropria, sarà sicuramente la forma più efficace per sciogliere il nodo». Il combinato prevede che la sinistra guadagni la sua mezza vittoria, facendo approvare le norme antiomofobia nel dl Pollastrini, che domani riceverà l’ok in commissione giustizia, magari senza i voti dei centristi. E che i centristi guadagnino la loro mezza vittoria avendo bocciato di fatto le norme antiomofobiche. Ma non è detto che la soluzione che Soro anticipa rimetta a posto tutti i tasselli. Ieri, mentre la destra da Casini a Gasparri esultava per la figuraccia del governo e lodava il capo dello stato – vero deus ex machina di questa retromarcia – la sinistra si è prudentemente tenuta alla larga dai giornalisti a Montecitorio. Ma i pochi che c’erano, commentavano la vicenda senza ottimismo. «Alla fine per noi è andata bene. Questa soluzione è la ‘meno peggio’ per uscire dalla situazione in cui ci si era infilati», ragiona Elias Vacca, dei comunisti italiani. Ma avverte: «Se il governo intende reiterare le norme per la sicurezza con lo stesso strumento, significa che la lezione non è stata recepita». Stamattina l’annuncio delle esequie ufficiali, dunque, e del finale della vicenda. «Visto che l’imperfezione non è nel decreto legge del governo ma in ciò che il dibattito parlamentare ha portato, spero che il governo possa approntare rapidamente uno strumento legislativo analogo perché ciò di cui c’era bisogno allora c’è bisogno adesso», dice Walter Veltroni, che cerca di allontanare da sé lo spettro della sconfitta. Tace invece il ministro degli interni Giuliano Amato. Trascinato nella fretta del decreto dal sindaco di Roma, è l’unico che non può fingere di aver mezzo vinto. Aveva detto: se non passa il decreto mi dimetto.
fonte: il manifesto
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