L’accordo tra governo e amministrazione autonoma è già lettera morta?
di Gianni Sartori
Un paio di settimane fa l’Amministrazione Autonoma della Siria del Nord-Est (Rêveberiya Xweser a Bakur û Rojhilatê Sûriyey) aveva sottoscritto un accordo con Aḥmad Ḥusayn al-Sharaʿ(già al-Jūlānī), principale esponente del nuovo governo in Siria, sostanzialmente costituito dalla coalizione islamista Hayat Tahrir al-Sham (HTS, in passato membro dello Stato islamico e di Al-Qaïda).
Un impegno che prevedeva l’integrazione delle proprie istituzioni nello Stato siriano (nel quadro di un generale processo di ricomposizione e unificazione del Paese).
Ma al momento le procedure sembrano essersi arenate e gli accordi potrebbero risultare lettera morta. Tanto che i curdi (15% della popolazione in Siria) vanno già esprimendo perplessità e muovendo critiche.
In particolare sulla dichiarazione costituzionale che attribuisce al presidente i pieni poteri almeno per cinque anni.
Ed è l’Amministrazione autonoma stessa che – il 30 marzo – ha contestato la legittimità del governo annunciato perché “assomiglia troppo al precedente (quello di Assad nda), in quanto sembra non tener conto della diversità siriana”.
“Un governo – prosegue il comunicato – che non rifletta la diversità e la pluralità del paese non potrà gestire correttamente la Siria”.
Anzi, amministrazioni del genere non fanno altro che “aggravare la crisi, creando nuove difficoltà invece di risolvere le cause profonde del problema”.
Dato che “la ripetizione degli errori del passato non farà altro che aggravare le sofferenze del popolo siriano e non porterà mai a una soluzione politica globale” i rappresentanti dell’Amministrazione autonoma dichiarano pubblicamente di non sentirsi “tenuti all’applicazione e all’esecuzione delle decisioni emesse da questo governo”.
Continuando invece a operare per la costruzione di una Siria “comune e democratica in cui tutti i cittadini godano dei medesimi diritti” e dove nessun gruppo o etnia possa “monopolizzare il potere”.
Mentre invece deve essere garantita “la partecipazione di tutti al processo politico”.
Messaggio chiaro che appariva come l’immediata risposta al discorso pronunciato il 29 marzo da Ahmad al-Chareh con cui ribadiva la volontà di “edificare uno Stato forte e stabile”.
In realtà i vari ministeri sono in larga maggioranza in mano agli arabi sunniti (e a quanto pare molti posti chiave ai familiari di Ahmad al-Chareh). Ci sarebbe anche un ministro curdo, ma – non certo casualmente – è stato scelto al di fuori del Rojava.
Nel frattempo dalla Germania arrivava un appello della Società internazionale per i diritti dell’uomo (Internationale Gesellschaft für Menschenrechte, IGFM), denso di preoccupazione per quanto potrebbe ancora accadere in Siria ai danni delle minoranze (alauiti, curdi, cristiani, drusi…). Di fronte all’aumento della violenza settaria, alla diffusione delle squadre di vigilantes, all’inesorabile islamizzazione (con l’introduzione definitiva della sharia). A scapito ovviamente dei diritti umani.
In riferimento al recente massacro subito dalla comunità alauita (secondo l’IGFM le vittime sarebbero oltre duemila) e all’intensificarsi delle violenze (arresti arbitrari, esecuzioni sommarie, sequestri…) contro le minoranze religiose o etniche.
Riguardo alla progressiva islamizzazione, l’IGFM ha ricordato sia le croci distrutte sulle tombe, sia la proibizione di mangiare e fumare in pubblico imposto a tutti duranti il Ramadan, sia la severa separazione tra donne e uomini nelle scuole e nei trasporti pubblici.
Per cui diventa legittimo temere che in realtà HTS aspiri alla realizzazione di uno Stato islamista con una legislazione fondata sulla sharia.
Fondate preoccupazioni anche per la situazione economica con salari e pensioni non versati da mesi e il forte aumento del prezzo dei generi alimentari.
Inoltre per ampi settori della popolazione l’accesso all’elettricità rimane alquanto problematico.
Da parte sua Aḥmad Ḥusayn al-Sharaʿ appare infaticabile nella ricerca di sostegno a livello internazionale (e in parte sembra anche ottenerlo). Senza per questo trascurare, nel tentativo di consolidare il controllo del paese (o semplicemente per creare “diversivi, distrarre dai problemi interni) di attaccare, colpire le comunità minoritarie meno disposte all’assimilazione. Per esempio i villaggi sciiti sul confine.
Sperando forse di provocare una risposta da parte di Hezbollah che fatalmente porterebbe a interventi non solo diplomatici da parte delle monarchie (sunnite) del Golfo.
Altri problemi sul fronte meridionale con le infiltrazioni israeliane.
Queste per ora sembrano aver conseguito un primo risultato: la divisione interna dei drusi di Sweida (tra chi auspica una “normalizzazione” dell’occupazione israeliana e coloro che invece sono disposti a dialogare con HTS).
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