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Sorvegliare e identificare: i presidi contro le impronte digitali a scuola

I dirigenti scolastici contro il governo e il «decreto concretezza»: «Norma vessatoria incostituzionale, pronti ad azione reattive». La ministra della pubblica amministrazione Giulia Bongiorno: «Critiche fuorvianti: sono strumenti di identificazione tecnologicamente avanzati»

«Ingiustificato, vessatorio e incostituzionale». Le associazioni dei presidi protestano contro le impronte digitali ritenute necessarie dalla ministra della pubblica amministrazione Giulia Bongiorno e dal vicepremier ministro dell’Interno Matteo Salvini (Lega) per accertare la loro presenza in servizio nelle scuole che amministrano. La misura, approvata nel «decreto concretezza» alla Camera, prevede la possibilità della verifica dell’iride e il ricorso alla video-sorveglianza. Vale solo per i presidi e non per gli insegnanti, già sottoposti al controllo del registro elettronico. Nel testo è contenuto solo il principio, in seguito è previsto un decreto che dovrà specificare le modalità di attuazione. Dopo le telecamere nelle scuole previste dal «progetto pilota» chiamato «scuole sicure» questo è un altro passo verso la realizzazione di una società della sorveglianza nella scuola realizzato dal governo Lega-Cinque Stelle. Salvini lo ha presentato attingendo al repertorio della lotta alla «casta» dei dipendenti pubblici: «Una legge di civiltà – ha detto – per combattere assenteisti, fannulloni, timbratori di cartellini, per rispetto di tantissimi dipendenti pubblici che fanno bene il loro lavoro».

I presidi sono stati scelti come cavie di un esperimento ideologico di stigmatizzazione e controllo. Dopo di loro arriveranno gli altri settori dell’amministrazione pubblica. Nelle prime reazioni i rappresentanti della categoria hanno evidenziato un paradosso: sarebbero sottoposti a controlli, per di più invasivi, che non riguardano il personale che amministrano. Lo sostiene Antonello Giannelli, presidente dell’Associazione Nazionale Presidi (Anp) secondo il quale la valutazione – concetto neoliberale centrale nella scuola oggi – va intesa in senso rovesciato rispetto all’idea del governo: «I dirigenti si valutano dai risultati – ha detto non dalla presenza a scuola, anche perché spesso presiedono più plessi».

In una lettera inviata al presidente del Consiglio Conte, e ai due vice Salvini e Di Maio (Cinque Stelle), il sindacato Dirigenti Scuola Confederati ha avvertito sugli «effetti pratici praticamente nulli» e ha parlato di «uno spot elettorale da monetizzare nelle imminenti elezioni europee». La volontà del governo di descrivere i presidi come «satrapi arroganti e incompetenti» è il sintomo di «una sfiducia preventiva o una conclamata ostilità». È stato sottolineato che la normativa non prevede «obblighi sull’orario di servizio», ma una «clausola collegata all’impegno di lavoro». I presidi si dicono pronti a «qualsivoglia azione reattiva». «Essere legittimi rappresentanti del popolo sovrano sembra che oggi esoneri dalla fatica di studiare e documentarsi».
In questo scontro inedito tra un governo e la dirigenza scolastica, mai particolarmente conflittuale in più di vent’anni di riforme, è intervenuta la ministra Bongiorno: «Sono critiche fuorvianti perché non è stato ancora emanato il decreto, si basano su un’erronea lettura della norma». Secondo Bongiorno «i controlli biometrici non sono una misura punitiva». E ha ribadito l’idea che siano stati i «dipendenti pubblici, quelli che svolgono il proprio lavoro con scrupolo e attenzione, a chiedermi l’introduzione». Non proprio un modo per riappacificare i dissidi.

All’osservazione di chi valorizza il ruolo «apicale» della «professionalità», Bongiorno ha risposto che i presidi «fanno parte dei dirigenti pubblici contrattualizzati». Il conflitto sembra essere destinato a durare a lungo. Bongiorno ha sostenuto che «non si introduce l’obbligo di un orario di lavoro, ma l’uso di strumenti di identificazione tecnologicamente avanzati». Precisazione importante: la sorveglianza è il risvolto della valutazione e prevede sia i premi che le punizioni.

Roberto Ciccarelli

da il manifesto