Per il rapporto “Space” siamo tra i peggiori prima di Macedonia del nord, Romania e Francia. Il nostro paese primeggia anche per la percentuale di reclusi non condannati in via definitiva con il 34,5% rispetto a una media europea del 22,4%
Il tasso di detenzione complessivo in Europa è diminuito del 6,6% tra il 2016 e il 2018, ma l’Italia figura tra i Paesi dove la detenzione è aumentata, con l’aggravante del sovraffollamento e del numero dei detenuti in attesa di giudizio superiore alla media europea. Parliamo delle statistiche penali annuali del Consiglio d’Europa per il 2018 ( Space), rese pubbliche nella giornata di ieri. Questa diminuzione del livello europeo conferma una tendenza iniziata nel 2012 quando il tasso di detenzione, indicatore principalmente determinato dalla durata delle pene detentive, ha iniziato a scendere. La riduzione in 27 amministrazioni penitenziarie nel 2018 è stata accompagnata da una diminuzione della durata media della detenzione, scesa da 8,8 a 8,2 mesi (- 6,8%) in tutta l’Europa. Al contrario, la percentuale di detenuti in custodia cautelare è aumentata dal 17,4% al 22,4% della popolazione carceraria totale.
I paesi in cui il tasso di detenzione è diminuito maggiormente sono stati la Romania (- 16%), la Bulgaria (- 15%), la Norvegia (- 11,6%), la Finlandia (- 9,9%) e la Macedonia del Nord (- 9,7%), seguiti da Armenia (- 8,7%), Lettonia (- 8,4%), Lussemburgo (- 7,1%), Estonia (- 5,7%) e Cipro (- 5,5%). Dall’altro lato, i tassi di detenzione sono aumentati maggiormente in Islanda (+ 25,4%), Italia (+ 7,5%), Paesi Bassi (+ 5,9%), Danimarca (+ 5,8%) e Montenegro (+ 5,5%). Dalla iconografia messa a disposizione dal rapporto Space, il nostro Paese risulta il quarto Paese europeo con più detenuti rispetto ai posti disponibili al 31 gennaio del 2018.
Ma non solo. Il rapporto Space evidenzia anche che l’Italia primeggia, tra i grandi Paesi europei, per la percentuale di detenuti non condannati in via definitiva, ovvero il 34,5% rispetto a una media europea del 22,4%. In numeri assoluti si tratta di 20mila persone, di cui quasi la metà sono in attesa di un primo giudizio, mentre gli altri hanno fatto appello o sono entro i limiti temporali per farlo. L’altra caratteristica delle carceri italiane è l’alta percentuale di detenuti condannati per reati legati alla droga. In Italia sono il 31,1% rispetto a una media europea del 16,8%.
Da ribadire che si tratta di dati che risalgono al 31 gennaio del 2018, ma prendendo in considerazione solo il sovraffollamento, va ricordato che recentemente il Garante nazionale delle persone private della libertà nella sua relazione in Parlamento lo ha confermato. Infatti, secondo gli ultimi dati aggiornati al 26 marzo, i posti regolamentari disponibili nei 191 istituti di penali italiani sono 46.904, ma ci sono 60.512 persone.
Quindi 13.608 detenuti in più, con un sovraffollamento del 129%. Per quanto riguarda il tasso di detenzione, invece, la novità rispetto ai dati del Consiglio europeo risiede nel fatto che il numero di persone finite in carcere è diminuito: sono 887 in meno, quindi l’aumento del sovraffollamento è dovuto alla minore possibilità di uscita. Cosa significa? Meno ricorso alle misure alternative. I motivi sono molteplici, dalla situazione culturale del momento che porta i magistrati a concederle di meno, fino ad arrivare all’aspetto della marginalità sociale nel momento in cui diversi detenuti non hanno requisiti materiali per poter beneficiare delle misure alternative alla detenzione.
Ma c’è la questione della riforma dell’ordinamento penitenziario. Come ben descritto dall’ultima relazione del Garante nazionale, quel disegno di riforma era compreso nel Piano d’azione messo in atto dal governo per dare seguito agli obblighi imposti dalla sentenza pilota della Cedu “Torreggiani”. Una sentenza che oltre alla ricerca di soluzioni organiche e non emergenziali, per superare il problema del sovraffollamento, imponeva di rimodulare l’esecuzione della pena e la vita detentiva in termini rispettosi di tutti i principi dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti umani. La messa in atto di quel lavoro riformatore è valsa la chiusura della procedura di esecuzione della condanna, decisa dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa l’ 8 marzo 2016. Il destino dei decreti legislativi che dovevano dare attuazione alla riforma ha incrociato le vicende istituzionali e politiche del Paese, subendone prima il rallentamento e poi l’arresto fino alla formazione del nuovo governo, quando è ripreso il percorso legislativo. La vicenda, come ricorda la relazione annuale del Garante, si è infine conclusa il 2 ottobre con l’emanazione di tre provvedimenti con i quali, tuttavia, è stata data attuazione solo a una parte della legge delega, escludendo quelli relativi alla revisione di modalità, presupposti e procedure di accesso alle misure alternative alla detenzione in carcere, nonché alla significativa riduzione di automatismi e preclusioni rispetto a benefici penitenziari e misure alternative.
Per quanto riguarda il numero altissimo dei detenuti per reati legati alla droga emerge un altro problema. Ovvero la prevalenza dei ‘ pesci piccoli’, dal momento che la maggioranza dei detenuti per droga ( 70 per cento secondo i recenti dati del ministero della Giustizia) è in carcere per il solo spaccio, mentre sono molti meno i detenuti accusati di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti. In sintesi i ‘ pesci piccoli’ continuano ad aumentare, mentre i consorzi criminali restano fuori dai radar della repressione penale.
Damiano Aliprandi
da il dubbio