L’ospedale Gemelli restituisce gli indumenti “sbagliati”. Mentre la ministra dell’Interno non risponde all’interrogazione parlamentare. La madre, Fatima Sejdovic: «Abbiamo ancora paura, perfino là, nella nuova casa. Ma andremo avanti, perché chiediamo solo verità e giustizia per Hasib»
di Eleonora Martini
Nuovi interrogativi si aggiungono ai tanti ancora senza risposta sul caso di Hasib Omerovic, il 37 enne disabile rom caduto il 25 luglio scorso dalla finestra della propria abitazione, nel quartiere romano di Primavalle, durante una “visita” – non autorizzata – di alcuni agenti della Polizia di Stato e di una poliziotta donna. «Sui vestiti di Hasib ci poniamo un interrogativo, perché quelli consegnati alla famiglia non sono gli stessi che indossava quando è caduto dalla finestra. E poi vogliamo sapere chi e perché ha scattato quella foto di Hasib in terra, inoltrata sul telefono della sorella Erika da una vicina che a sua volta l’ha ricevuta da altri», riassume l’avvocato della famiglia, Arturo Salerni, in una conferenza stampa che il deputato Riccardo Magi ha organizzato ieri a Montecitorio.
QUANDO HASIB è volato giù per otto metri dalla finestra (che fino ad allora non poteva essere aperta per via della tapparella bloccatasi in basso) della sua camera da letto, l’uomo – sordo dalla nascita – «indossava un paio di pantaloni neri lunghi arrotolati fino alle ginocchia, non un paio di shorts come quelli che l’ospedale Gemelli ha fatto recapitare ai familiari, peraltro chiamandoli appositamente un paio di giorni dopo dal ricovero per riconsegnare loro gli effetti personali di Hasib», ricostruiscono l’avvocato Salerni e la sua collega Susanna Zorzi che conosce da molto tempo la famiglia Omerovic/Sejdovic. Anche le scarpe che sono state riconsegnate ai genitori in una busta dell’ospedale Gemelli «non sono le stesse che calzava Hasib quando è atterrato sul selciato, come è ben visibile dalle foto». Sono, puntualizzano i legali, «indumenti che non appartengono ad Hasib ed erano sporchi».
CHI HA SCAMBIATO questi indumenti? Un errore o una messinscena? E soprattutto che fine hanno fatto quelli che davvero indossava Hasib e sui quali gli inquirenti avrebbero potuto forse trovare tracce importanti per le indagini? E ancora: chi e perché ha immortalato Hasib sanguinante in terra con una fotografia che sembra scattata dalla stessa finestra da cui è volato giù? Il manifesto ha potuto verificare sul posto questa possibile interpretazione, entrando nell’appartamento di via Gerolamo Aleandro 24 una settimana fa, quando il Comune di Roma, convinto dalla protesta organizzata dall’Associazione 21 Luglio, ha finalmente concesso una nuova casa popolare in un altro quartiere alla famiglia Omerovic che da giorni viveva nel terrore e aveva abbandonato l’abitazione di Primavalle.
DAL GIORNO DOPO, fortunatamente, l’appartamento degli orrori è stato posto sotto sequestro dal pm Stefano Luciani che coordina le indagini. «Sappiamo che il fascicolo per tentato omicidio e falso non è più contro ignoti – spiega l’avv. Salerni ribadendo di avere completa fiducia nel lavoro della procura -, non sappiamo però quanti e quali nomi siano iscritti sul registro degli indagati. Ad oggi non abbiamo notizia di consulenti nominati per ricostruire la dinamica della caduta».
«HASIB DA ALLORA vive in uno stato di minima coscienza – riferisce Carlo Stasolla, portavoce dell’Associazione 21 luglio che supporta la famiglia – è sedato continuamente, tracheostomizzato, e i medici non sanno prevedere i tempi di ripresa. La freddezza e la distanza con la quale l’amministrazione capitolina è intervenuta tardivamente e senza mai esprimere vicinanza alla famiglia, aumenta la sensazione di paura provata dai genitori e dai tre figli rimasti, due minorenni e una grave disabile».
IN TUTTO QUESTO, l’interrogazione parlamentare per la ministra dell’Interno depositata 20 giorni fa dal deputato Magi è rimasta ancora senza risposta. «È suo dovere rispondere, anche a Camere sciolte, è una mancanza di rispetto istituzionale. In ogni caso – conclude Magi – ripresenterò l’interrogazione anche al prossimo ministro». E forse anche, come gli suggerisce il coordinatore dei Garanti territoriali dei detenuti, Franco Corleone, «di nuovo alla stessa ministra Lamorgese, obbligata a rispondere dall’articolo 61 della Costituzione».
da il manifesto