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Speciale Rosarno

Ma come fa Maroni a dire quello che dice? Ci crede oppure fa finta e poi, quando è lontano dai microfoni, si mette a dare di gomito e a ridere? Se per una volta perfino un Bersani, quella pasta d’uomo che guarda al centro, gliene ha cantate quattro, vuol proprio dire che il buon Roberto, l’avvocato e tastierista della Lega che si occupa della nostra sicurezza, le ha proprio sparate grosse.
Dire che quello che sta succedendo a Rosarno è colpa della tolleranza è una barzelletta, anzi una spudorata violazione del buon senso. Tolleranza? Da un anno e mezzo, il governo, di cui Maroni è uno dei ministri chiave, smantella i campi nomadi, scheda Rom e Sinti, blocca i migranti in alto mare e li rimanda in Libia, affidati alle cure di quel simpatico difensore dei diritti umani di Gheddafi, il grande amico di Berlusconi. E che dire del pacchetto sicurezza e di quei sindaci della Lega che invitano i cittadini a denunciare i clandestini? E degli innumerevoli gesti di disprezzo e razzismo, della propaganda xenofoba ufficiale e ufficiosa, della persecuzione a ogni livello di chi non ha i documenti in regola e anche di chi ce l’ha? Le condizioni di vita degli stranieri impiegati nell’agricoltura stagionale sono schiavistiche per i vescovi e persino per «Farefuturo». Che si tratti di sovversivi?
La pura e semplice verità è che la tolleranza in questo paese c’è per il lavoro schiavistico, per il caporalato, per i salari da fame, per le condizioni in cui sono costretti a vivere i migranti, per l’assoluta privazione dei loro diritti. Qualcuno si è mai preoccupato di allestire alloggi decenti per i lavoratori stagionali? Di proteggerli dalla mafia o dalla camorra, come a Castel Volturno? Se tutti i quattrini spesi nella gigantesca bufala della sicurezza fossero stati usati per accogliere e aiutare i lavoratori stranieri (di cui si occupa solo il volontariato), a Rosarno non sarebbe successo nulla, anche mettendo nel conto i colpi di pistola sparati da qualche canaglia o mafioso che sia. Nelle dichiarazioni dadaiste di Maroni c’è tutta la linea politica di un governo che esclude, reprime, espelle, soffia sul fuoco e magari riscuotere il premio elettorale dell’insofferenza diffusa.
Il vero miracolo è che non sia successa prima. È incredibile il grado di sopportazione dei lavoratori stranieri. Ma prima o poi questi fatti si ripeteranno. E allora i nodi cominceranno a venire davvero al pettine. Compresa l’ambiguità di tanta parte dell’opposizione nelle questioni della cittadinanza, delle migrazioni, dell’ordine pubblico, della sicurezza. Perché quello che non si è voluto capire, nel centrosinistra degli ultimi vent’anni, è che sui diritti umani fondamentali – che si sia al governo o all’opposizione – si transige solo al prezzo di un’irrimediabile degradazione della vita sociale.
E oggi recuperare una cultura dei diritti significa stare dalla parte dei lavoratori di Rosarno e dei loro fratelli oppressi nel paese e in queste ore a rischio di vita e sotto attacco razzista.

Alessandro Dal Lago da il manifesto

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A Rosarno esiste un gioco chiamato «andare per marocchini», altri lo chiamano «il gioco della Nazionale». Per partecipare bisogna andare in gruppo sugli scooter con i bastoni – appunto lungo la via Nazionale – sfrecciare accanto ai migranti che la percorrono a piedi di ritorno da lavoro, prendere la mira e picchiarli, proprio come i giocatori di polo con la palla. C’è anche una variabile: c’è chi sale sui cavalcavia armato di sassi e fa il tiro a bersaglio. Ieri l’altro tre ragazzi a bordo di una macchina scura ridevano e urlavano, poi hanno iniziato a sparare con fucili ad aria compressa. E’ in questo contesto che vivono i migranti di Rosarno.
Abbiamo conosciuto la storia dei migranti di Rosarno nel 2005, è un ragazzino rosarnese di 16 anni a raccontarcela per la prima volta. Inizia a raccontare una storia surreale: migliaia di neri vivono in una condizione di schiavitù. Sapevamo dello sfruttamento dei migranti nell’agricoltura, ma quella storia aveva dell’incredibile. Andammo di domenica, con due macchine. Nei giorni feriali alle 5 del mattino vengono prevelati e portati in campi inavvicinabili. Siamo entrati così in un inferno chiamato Rosarno, che nessuno oggi può dire di non conoscere. Perciò adesso che i migranti con coraggio e disperazione hanno deciso di ribellarsi – mentre la bomba di Reggio Calabria passa nel (quasi) disinteresse generale – non vogliamo parlare di quello che c’era dentro la Cartiera (e nelle ex fabbriche che l’hanno sostituita), ma attorno alla Cartiera.
Quella domenica la cosa più impressionante non furono paradossalmente le condizioni di vita dei migranti, ma un vecchio alla guida di un’Ape che, passando da lì, con un gesto automatico sputò in direzione della Cartiera e urlò: «Cornuti! Mmerda!». Poi girò lo sguardo e vide noi, dei volti bianchi, delle facce non di Rosarno, stranieri anche noi. E si sentì spiazzato. Ci raccontarono che quello di sputare era un’abitudine giornaliera. Perché? C’è razzismo a Rosarno. E non bisogna nascondersi, come fa il commissario prefettizio dicendo che il ferimento «non è riconducibile a razzismo». Bisogna invece provare a disinnescarlo, in un territorio fatto di emigranti e di lavoratori delle campagne: chi sfrutta oggi, veniva a sua volta sfruttato negli anni 60. E c’è un altro cortocircuito che va disinnescato: «Il problema degli immigrati va riallacciato a quello della ‘ndrangheta. C’è uno sfruttamento pilotato da parte della criminalità e questo a causa dell’assenza dello Stato, che deve tornare a intervenire», spiega don Pino Demasi, vicario della diocesi di Oppido-Palmi e referente di Libera in Calabria. Il sistema delle cosche è perfetto: i boss richiedono la manodopera, mettono a disposizione i mezzi e si arricchiscono nell’ombra. E, pur avendo dei business molto più redditizi, non lasciano Rosarno e le sue campagne: il potere di sopraffazione è lì che va mantenuto.
Che la situazione fosse esplosiva era chiaro da tempo: il 12 dicembre 2008 due giovani italiani a bordo di una Panda sparano e feriscono due ivoriani. Già quel giorno i migranti erano scesi in piazza per protestare. Già in quelle ore s’era mostrata tutta l’indifferenza dello Stato. Oggi succede di più: i rosarnesi in piazza chiedono agli africani di andare via, qualcuno spara dalla sua terrazza.
C’è un intero sistema al collasso. Rosarno esiste nell’indifferenza generale. Nel frattempo questi fantasmi dalla pelle nera mandano avanti l’industria degli agrumi. Rosarno è probabilmente il luogo in cui la Bossi-Fini ha dato i suoi frutti più amari. E’ la sublimazione di un sistema perverso che il ministro Maroni che parla di «troppa tolleranza» continua irresponsabilmente ad alimentare. Rosarno è lo specchio dell’inadeguatezza della classe dirigente calabrese che si riempie gli occhi del modello Riace e non fa nulla per replicare quella felice esperienza altrove. Tra qualche settimana i lavoratori di Rosarno non serviranno più. L’anno prossimo ne arriveranno altri. E la ruota ricomincerà a girare.

Celeste Costantino daSud

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Noi diciamo che le parole del ministro Maroni, l’accusa rivolta ai migranti – perché di questo si tratta – di essere, letteralmente, causa del proprio male, sono abominevoli. Lo sono moralmente e politicamente. Il ministro degli Interni sa che il lavoro di raccolta di agrumi e ortaggi nelle campagne siciliane, calabresi, pugliesi, campane viene svolto dai lavoratori stranieri, per lo più extracomunitari; conosce le condizioni di sfruttamento, di inaudito servaggio in cui quel lavoro si svolge; sa della miserabile paga che “remunera” quella durissima fatica; ha certo adeguata nozione delle baraccopoli, delle bidonville , che ricordano le favelas più degradate del pianeta, dove si svolgono gli scampoli di vita che quelle persone riescono a sottrarre al massacrante lavoro quotidiano. Il ministro sa anche altre cose. Per esempio che lo Stato ha nei fatti appaltato alla ‘ndrangheta la gestione del mercato del lavoro locale, acconsentendo o subendo che su quell’attività l’organizzazione criminale lucri il pizzo e amministri, come in una zona franca, la più arbitraria e sordida violenza. E che ribellarsi a questo stato di cose non è dato, se non mettendo a repentaglio la propria incolumità o la propria vita. Il ministro dovrebbe poi sapere – ma invece ignora o, piuttosto, finge di ignorare – che la legge razzista varata per disciplinare il fenomeno migratorio impedisce, in realtà, la regolarizzazione di un migrante intenzionato a svolgere onestamente il proprio lavoro e che è stata respinta ogni strategia di emersione fondata sul riconoscimento del permesso di soggiorno a chi trovi il coraggio di denunciare il proprio sfruttatore. Al ministro Maroni, ligio all’ imprinting xenofobo della sua parte politica, non interessa che lo Stato si allei con i migranti per promuovere un percorso di integrazione e di cittadinanza condivisa. Meglio chiudere gli occhi e agire con la forza della repressione quando la sofferenza di quella povera gente supera ogni soglia di sopportabilità ed esplode, come a Rosarno, con la furia disperata di chi si sente abbandonato e comprende di non avere più nulla da perdere. Allora, ecco comparire lo Stato. E cosa fa lo Stato? Spazza via i migranti, come rifiuti umani, li deporta, lontano dall’epicentro degli scontri. Dove invece la caccia all’uomo di pelle nera continua. Domani cosa sarà di loro? Dica la verità, signor Ministro, a lei non importa niente. Per questo si permette di pronunciare irresponsabili parole, che forniscono alibi, alibi istituzionali, a continuare la mattanza. Complimenti.

Dino Greco da Liberazione

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Calma, calma. Non è successo nulla, è solo finita la stagione del raccolto. E’ finita a San Nicola d’Arco nella Piana del Sele e sta finendo nella Piana di Rosarno. Anche la raccolta delle arance e dei mandarini a gennaio ormai avanzato si va avvicinando alla conclusione. Ormai gli immigrati regolari e irregolari, cittadini di stati membri dell’unione e cittadini – come usa dire – extracomunitari non servono più. A San Nicola d’Arco già il mese scorso si è provveduto a uno sgombero con la scusa delle illegalità compiute da qualche immigrato per sbattere via in malo modo centinaia e centinaia di onesti lavoratori.
A Rosarno invece non c’è stato bisogno di alcuna montatura: si è immediatamente passati alla pratica dell’obiettivo. Era prevedibile una reazione esasperata dei lavoratori immigrati dopo che dei criminali avevano sparato a due di loro. Dico reazione esasperata non tanto per commentare il carattere della reazione quanto per spiegare il perché di quel tipo di reazione.
Esasperata è la reazione di chi è senza speranza, di chi non ne può più e di chi sa di non essere difeso da nessuno – men che meno dallo Stato – e che è destinato a veder solo peggiorare la propria situazione. Al danno non segue la beffa ma un danno ancora peggiore di quello di prima. I giornali avranno raccontato in dettaglio le condizioni di estrema miseria e squallore nelle quali questi lavoratori sono costretti a vivere. A volte dagli articoli sembra che squallore e miseria siano una loro scelta. Eppure se i salari per il loro duro e onesto lavoro fossero regolarmente pagati – e poi se le politiche sindacali alle quali hanno diritto fossero applicate e se le politiche sociali relative all’accoglienza degli immigrati, previste peraltro dalla legge, fossero effettivamente praticate – essi vivrebbero ben diversamente.
Si dice solitamente che questi immigrati clandestini (e buona parte non lo sono) forniscono la manodopera per la criminalità organizzata. Per quel che riguarda i fatti di Rosarno e Gioia Tauro il ministro Maroni è arrivato a dire che per loro colpa degli arrivi dei clandestini la criminalità organizzata si è sviluppata in Calabria. La frase non merita commenti. Questi lavoratori – e forse va sottolineato che di lavoratori di tratta – stanno qui per rendere produttiva e competitiva una agricoltura anche e soprattutto grazie ai loro infimi salari.
La cosa che più preoccupa naturalmente è che per la prima volta, o forse una delle prime volte, è saltato quel sotto-equilibrio meridionale fatto di tolleranza e di reciproca benevolenza tra i locali e gli immigrati.
Fin che questi stavano al loro posto andava tutto bene. Gli immigrati nella loro miseria più totale lavoravano, i caporali taglieggiavano, i produttori agricoli guadagnavano. Ma neanche questo basta. Qualcuno ha voluto cercare la rissa, determinare lo scontro, portare gli immigrati alla risposta esasperata. Ricucire sarà difficile: ognuno ha le sue ragioni, tranne ‘ndrangheta, padroni e caporali. I locali, solo in minima parte inseriti nel processo di sfruttamento si sono visti ricambiare la loro tolleranza con manifestazioni esasperate e gli immigrati, oppressi e super sfruttati, hanno compiuto una classica rivolta contadina.
A soffiar sul fuoco in tutto questo è Maroni che attribuisce la situazione al presunto lassismo della politica migratoria (e all’ingresso di clandestini), tralasciando un piccolo particolare: cioè che la politica migratoria, soprattutto nei suoi lati peggiori, è frutto del pensiero e della pratica dei governi di destra, ispirati in questo campo in primo luogo dalla Lega. Lascia poi davvero stupiti il fatto che si individuano le radici della crescente forza della ‘ndrangheta nella immigrazione. Se la priorità che il governo vuole dare alla repressione della ‘ndrangheta è questa stiamo freschi!
Infine, per quel che riguarda la questione della immigrazione clandestina: le dichiarazioni di Maroni sono del tutto coerenti con una pratica che è iniziata già da prima della messa in atto della Bossi-Fini: quella che nel nostro Paese si conduce da anni non è la lotta contro la clandestinità ma la lotta contro i clandestini. La mancanza di difesa sindacale, il trovarsi sempre a rischio di deportazione, il doversi nascondere e l’assenza di futuro per i clandestini sono alla base della esplosione di giovedì. Purtroppo si vede poca luce per il futuro. In realtà non è vero che non è successo nulla.

Enrico Pugliese da Liberazione

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