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Sport e razzismo. C’è davvero qualcosa che non va

A giudicare dal numero e dalla varietà dei casi, c’è davvero da interrogarsi su cosa stia accadendo realmente nel mondo dello sport. Sembra assurdo e paradossale, ma più se ne parla e, probabilmente, peggio è. Più si parla di mezzi di contrasto efficaci contro il razzismo negli stadi e più aumentano cori e striscioni. Più si moltiplicano le iniziative da parte dei club sportivi per sensibilizzare famiglie e supporters al tema delle discriminazioni e dell’odio razzista e più aumentano gli insulti.

Ma quanto è radicato il razzismo nello sport italiano? Quanto lo è nel calcio in particolare? Molto, a giudicare dai numerosi casi che si rincorrono nelle cronache. Un problema non di poco conto che riguarda tanto l’ambiente professionistico che quello dilettantistico.

Una delle ultime notizie ha del surreale. Eppure, sebbene gravissima, ha circolato poco sulla stampa nazionale. La società Airone Football Club 1983 di Calderara di Reno su Facebook ha segnalato un tabellino che riporta il risultato di una partita di calcio della categoria juniores, giocata sabato nel bolognese (in trasferta a Pianoro con lo Sporting Pianorese 1955), dove un marcatore, autore di una delle quattro reti, non viene chiamato con il suo nome ma la dicitura riporta «negro».

E non si tratta di Paolo Negro, ex difensore della Lazio, divenuto famoso suo malgrado per la celebre autorete del 17 dicembre 2000 nel derby contro la Roma, né di un suo parente o omonimo. Ma di un deliberato atto che sostituisce il cognome di un calciatore dalla pelle scura con l’epiteto razzista. Nel comunicato diffuso dalla società Airone Football Club si legge: “Qualcuno dello Sporting Pianorese, evidentemente non l’ha presa bene e ha pensato bene di vendicarsi segnalando al sito Tuttocampo.it, dove vengono riportati i tabellini delle partite dilettantistiche, i marcatori della partita nella maniera che si vede nella foto. Un modo per prendersela con il nostro centravanti di colore, reo di avere segnato e di essere un giocatore fortissimo e avversario difficile da affrontare. È comprensibile che la sconfitta addosso possa bruciare e le scintille in campo sfociare in rabbia, ma vomitare odio razziale addosso agli avversari è un segnale bruttissimo”. La Società Sporting Pianorese 1955 ha immediatamente stigmatizzato l’accaduto e ha preso le distanze dall’episodio. Tuttocampo.it ha rimosso il contenuto e bloccato il responsabile.

Per fortuna.

Ma seguendo la cronaca di questi giorni è possibile leggere di altri casi, tutti gravissimi: da quello del nazionale italiano di rugby Maxime Mbandà, giocatore delle Zebre di Parma, insultato per strada (e che ci ricorda anche la vicenda recentissima di Eniola Aluko, noi ne abbiamo parlato qui) al grido di “Va negro di merda, tornatene al tuo paese’ (vedi qui), per passare agli insulti ricevuti al PalaTerme, al termine della partita fra Montecatimni e  Borgosesia, dal giocatore di basket Joseph Vita, quando qualcuno degli avversari gli ha gridato «Vai via scimmia» (vedi qui), o a quelli rivolti dagli spettatori sugli spalti ad un diciassettenne durante il derby tra il Peschiera e il Castelnuovosandrà (“Quel negro proprio non mi piace”, vedi qui).

E sono giorni caldissimi anche tra i vertici della Lega Serie A. Dopo le dimissioni del presidente Gaetano Micciché, scoppia un altro spinoso caso con protagonista l’amministratore delegato Luigi De Siervo. Il quotidiano La Repubblica ha pubblicato nei giorni scorsi un audio registrato durante il consiglio dello scorso 23 settembre in cui, tra le varie cose, si è parlato anche del razzismo negli stadi italiani. Interpellato sull’argomento da Paolo Scaroni, presidente del Milan, De Siervo avrebbe dichiarato: “Ti faccio una confessione Paolo, non la mettiamo a verbale. Ho chiesto ai nostri registi di spegnere i microfoni verso le curve. Non sentirete nulla in TV. L’ho chiesto io”. De Siervo, una volta che l’audio è stato pubblicato, ha rilasciato alcune dichiarazioni allo stesso quotidiano cercando di giustificarsi. L’audio sotto accusa risale oltretutto ad un periodo ben preciso: a quelle settimane di inizio campionato macchiate dagli insulti e dagli ululati negli stadi: Dalbert preso di mira in Atalanta-Fiorentina, Kessie in Verona-Milan e Lukaku a Cagliari.

Un’escalation preoccupante, che un mese fa ha toccato l’apice con il pallone scagliato in curva da Balotelli durante Verona-Brescia (noi ne abbiamo parlato qui). Episodi che hanno fatto discutere, ma dopo i quali non è arrivata quasi nessuna sanzione. O quantomeno nessun segnale forte.

Lo sport non è più quell’isola felice dove tutte le differenze vengono meno e dove regna il “fair play”: lo sport, in tutte le sue discipline, sta purtroppo diventando lo specchio della nostra Italia. E nuovamente ci dobbiamo chiedere:

ma davvero oggi il colore della pelle può fare ancora la differenza? Davvero anche lo sport, che dovrebbe essere un ambiente sano e immune ai germi razzisti, è stato irrimediabilmente contagiato?

Una cosa è certa: non sarà di certo spegnendo i microfoni che si eliminerà il razzismo negli stadi.

Sarebbe un ennesimo pessimo tentativo di voler nascondere la polvere sotto il tappeto.

da Cronache di ordinario razzismo