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Stati Uniti, desolazione e polizia: capovolgere la ruota una volta per tutte

Intervista a Clark Randall giornalista e attivista statunitense. Nato a St. Louis, Missouri, inizia a scrivere durante le proteste di Ferguson del 2014, che porteranno Black Lives Matter all’attenzione internazionale. Vive a Berlino dal 2019 dove lavora come giornalista. I suoi scritti si concentrano su un’analisi dei nodi strutturali del “racial-capitalism e dei suoi risvolti nelle politiche abitative e sociali delle grandi metropoli.

Vieni da St Louis, Missouri, a poche miglia da Ferguson, dove Black Lives Matter ha mosso i primi passi nelle rivolte del 2014. Come descrivi la realtà di St. Louis e i suoi movimenti?

St. Louis è un posto desolante. Quasi un secolo di smantellamento urbano e sociale, meticolosamente pianificato, e la costante fuga di capitali, richiederebbero delle misure radicali che purtroppo non sono ancora state prese. La principale linea di conflitto in città si muove tra l’elitè politica, a braccetto con l’elitè economica, e le sue politiche di trasferimento della ricchezza dal basso verso l’alto, dalle comunità marginalizzate e razzializzate alle classi privilegiate. Un politica fiscale opprimente insieme ad una imperante precarizzazione esistenziale, le scuole sottofinaziate ed una polizia corrotta rendono la città desolante. Le rivolte di Ferguson hanno portato a delle vittorie, sopratutto nel campo della politica elettorale: Cori Bush è la nostra rappresentate al Congresso, Tishaura Jones il nostro nuovo sindaco e Rasheen Aldridge il rappresentate di St Louis nel congresso del Missouri, tutte figure nate e cresciuto nei movimenti cittadini. Ma concentrarci sulle vittorie elettorali ci porterebbe a delle considerazioni sbagliate.

Pochi giorni fa Daunte Wright è stato assassinato dalla polizia del Brooklyn Center Police Department. Nel 2021 sono già oltre 300 le persone uccise da uomini in divisa. È cambiato qualcosa dalla morte di George Floyd?

Ovviamente non è cambiato davvero nulla. Non ci sono state vittorie di alcun tipo, se non puramente simboliche e retoriche. In alcune città si sta cercando di sottrarre fondi alla polizia in vari modi, ma senza una forte spinta dalle strade e dai quartieri saranno soltanto operazioni simboliche e inconsistenti. La polizia si è dimostrata irrecuperabile e senza nessuna possibilità di riscattarsi. Non saranno sicuramente gli investimenti in “de-escalation tactics”, bodycam o addestramenti contro il bias razziale della polizia a migliorare le condizioni del paese. Il linguaggio proprio della polizia è quello del razzismo e della violenza, e non c’è modo di riformarla. Non si possono eliminare i suoi tratti violenti e razzisti essendo essi i fondamenti su cui è posta da oltre un secolo. Nessuna ipotesi riformista può funzionare. Bisogna tagliare i fondi alla polizia, disarmarla, scioglierla e in extrema ratio sostituirla, mentre si provvede a una massiccia redistribuzione di ricchezza, capitale e potere.

Cosa ti aspetti dal processo Chauvin che si terrà a Minneapolis?

Le aspettative sono inesistenti. Presumo che verrà rilasciato, o al massimo con una pena insufficiente.

Quali pensi siano gli elementi di continuità e discontinuità tra la presidenza Biden e quella Trump?

Il principale elemento di continuità è riconoscere che ogni presidente degli Stati Uniti d’America è il leader del più violento e sanguinoso impero della storia moderna. Né Trump né Biden possono essere un intralcio negli ingranaggi dell’impero. Non dobbiamo farci ingannare dalla retorica democratica di Biden, né quando parla di tagliare i finanziamenti ai regimi sauditi in risposta al genocidio nello Yemen, né quando promette di ridurre le truppe stanziate in Medio Oriente. Molte persone non riescono ad accettare quanto Trump e Biden siano vicini, piuttosto che le loro differenze. Basta considerare le sanzioni economiche, dove la politica di Biden continuerà ad utilizzare lo strumento preferito di Trump, in Iran, a Cuba, o in Venezuela dove Biden continua a riconoscere la legittimità del governo-burattino di Juan Guidò. Certo, ho votato per Biden, penso sia migliore di Trump, ma entrambi servono allo stesso scopo.

Come pensi si stiano riorganizzando i suprematisti bianchi e le fazioni dell’ultra-destra dopo la sconfitta di Donald Trump?

È evidente che si stiano ormai riorganizzando in massa, un processo di lunga durata, che inizia all’indomani dell’elezione del presidente Obama nel 2008. Si stanno preparando per uno scontro frontale, una guerra civile. Dobbiamo essere tutti pronti sul piano dello scontro frontale, militare, e preparati alla prospettiva di una guerra civile di lunga durata. Le modalità saranno quelle della guerriglia in tutto il paese, soprattutto nei suoi luoghi più critici.

Come commenti la sconfitta dei sindacati contro Amazon in Alabama?

È centrale. Amazon dà lavoro a tantissime persone in tutto il paese. Utilizzano forza-lavoro emarginata, spesso senza cittadinanza, ultra ricattabile che viene immessa in un sistema di gamification del lavoro. Un sindacato sarebbe stato un grande avanzamento, abbiamo bisogno di provarci ancora in maniera più efficace e aggressiva per raggiungere questo risultato fondamentale.

Quale futuro immagini per il movimento negli Stati Uniti? Quali pensi saranno le opportunità e quali le difficoltà che si dovranno affrontare?

Penso che questo sia un momento di eccedenza, c’è molta energia. Le persone si stanno battendo, stanno lottando nelle strade proprio mentre noi stiamo parlando. Le difficoltà sono tantissime, anche troppe per poterle nominare. La grande opportunità da cogliere sta in tutte quelle persone che non vogliono riformare il sistema, ma vogliono abbatterlo. Vogliono capovolgere la ruota una volta per tutte. Non posso dire come andrebbe fatto, quali sono le traiettorie da portare avanti, ma so che la risposta si può trovare solo dentro i movimenti e la loro spinta a cambiare il mondo.

In conclusione, da questa prospettiva dell’Atlantico, come pensi che attivisti, militanti, movimenti possano essere solidali con chi si rivolta in USA?

In realtà penso che ci sia bisogno di un processo a doppio senso: da un lato continuando a immaginare mezzi e iniziative con cui lə compagnə europeə possono aiutare ad amplificare i movimenti d’oltreoceano come BLM, dall’altro deve necessariamente svilupparsi la capacità nei movimenti statunitensi a prendere consapevolezza dei movimenti internazionali. A Berlino sono scese in piazza oltre 20.000 persone per protestare contro l’omicidio di George Floyd. Purtroppo non è accaduta la stessa cosa in America in risposta alla strage di Hanau. In America si deve prendere coscienza che drammi come questi influiscono e si ripercuotono su ognuno di noi. Per il momento quindi penso che sia necessario creare nuove reti e moltiplicare le connessioni, tra i movimenti negli Stati Uniti e ciò che succede in Europa. Immaginare una nuova militanza che vada oltre i confini.

Intervista a cura di Vito Saccomandi per GlobalProject