La strage di Parigi ha già cambiato l’agibilità politica, in Francia e fuori dai suoi confini: da noi in Italia per esempio. Questo, fin da subito, poteva immaginarlo qualsiasi persona attenta.
A due settimane di distanza i risultati sono già davanti ai nostri occhi: a Firenze una scuola occupata il 20 novembre è stata sgomberata dalla polizia e sono stati denunciati 50 studenti.
A Roma l’occupazione del Virgilio, del 26 novembre scorso, vedeva dopo poche ore (alcuni) genitori e la preside schierati nel chiedere l’intervento della polizia.
La preside ha affermato che “nel quadro generale di allerta determinato dal terrorismo, appare del tutto irresponsabile la decisione di un gruppo di studenti di esporre una scuola come il Virgilio – situato a pochi passi da luoghi particolarmente sensibili e non a caso intensamente sorvegliati dalle Forze dell’Ordine – alla frequentazione di estranei”.
Il giorno prima, il 25 novembre, anche al liceo Mamiani gli studenti avevano provato ad occupare: tentativo fallito. La preside nei giorni precedenti aveva informato i genitori di avere ricevuto precise indicazioni dalla prefettura circa «l’assoluta inopportunità di permettere che si svolgano azioni di protesta “fuori controllo” in particolare in una scuola come il Mamiani, molto vicina alle aree della nostra città che in questo momento sono considerate “a rischio sicurezza” — di conseguenza non sarà permesso nessun genere di protesta o contestazione che non sia effettuata nell’ambito della legalità».
Si tratta, all’evidenza, degli stessi argomenti utilizzati dalla preside del liceo Virgilio, per chiedere l’intervento della polizia e lo sgombero della scuola.
Al Mamiani, poi, la preside si era accordata con la digos che aspettava fuori per intervenire in caso l’occupazione fosse riuscita; ci hanno pensato professori, studenti (evidentemente ben catechizzati prima dai genitori informati delle richieste prefettizie) e professori ad impedire l’occupazione.
A Firenze il questore della città ha dichiarato che «dopo l’esperienza dell’occupazione all’altro liceo di Porta Romana abbiamo deciso di non frapporre indugi per riportare la situazione alla normalità. Nei giorni scorsi la dirigente del liceo sgomberato, pur non avendo chiesto formalmente lo sgombero, aveva presentato denuncia alla questura segnalando l’occupazione in atto. L’occupazione è un reato, che ci dà una certa discrezionalità a seconda delle circostanze, del momento, delle condizioni di ordine pubblico, si decide come e quando intervenire».
Da quando una occupazione scolastica è un problema di ordine pubblico? Da quando il prefetto di Roma da indicazioni ai dirigenti scolastici di non permettere “proteste fuori controllo?” come se una occupazione scolastica fosse qualcosa “fuori controllo”.
Ma il nemico non era l’ISIS? Quando e come, invece, gli studenti sono diventati il nemico?
Quel che sta accadendo è abbastanza evidente: “l’emergenza terrorismo” ha prodotto un alibi per tutte le politiche repressive: viviamo in uno stato d’emergenza “reale” non dichiarato. Se in una città come Roma, unica capitale europea praticamente governata dal ministero dell’interno, aggiungiamo l’emergenza terrorismo al giubileo allora forse conviene alzare subito le mani e arrendersi.
Del resto i movimenti denunciano questo già da almeno qualche anno, soprattutto in quest’ultimo di anno, quando qualsiasi conflitto sociale, che fosse emergenza abitativa o altro, trovava come interlocutori non gli amministatori cittadini bensì la prefettura e i reparti della celere.
In Italia, a differenza della Francia, non è stato dichiarato lo stato d’emergenza. In Francia sono state vietate tutte le manifestazioni fino al 25 febbraio prossimo, tanto che la prevista manifestazione di domenica 29 contro il vertice di COP21 si è chiusa con le violente cariche della polizia francese e il fermo di oltre 200 manifestanti. Numeri impressionanti che denotano un clima impazzito, una arroganza del potere che usa a proprio consumo un momento delicato.
In Italia non c’è stato nessun attentato, non dovrebbe esserci la stessa tensione ma i segnali dicono l’esatto contrario. Il clima di terrore che viene creato ad arte è speculare alle politiche repressive. Si nutre di quelle paure per poter attuare tutta una serie di dispositivi di controllo o di repressione di ogni conlitto sociale.
“Sicurezza e libertà” è la parola d’ordine del partito democratico, dove dietro la parola “sicurezza” si nasconde solo l’abdicare la politica alle polizie. Lo slogan, peraltro, presenta un’assonanza allarmante con il grido osceno “Repressione è civiltà” urlato a squarciagola dal poliziotto protagonista del film “un cittadino al di sopra di ogni sospetto”: un’assonanza che testimonia una situazione di fatto.
Prefetti candidati sindaci, prefetti che fanno i sindaci, da Expo al Giubileo commissari straordinari con pieni poteri e pochi vincoli diventano amministatori e sceriffi, neanche fossimo nell’era dei podestà.
Del resto che la polizia avesse assunto una autonomia politica era già palese e il governo Renzi ha soltanto che confermato questa sensazione.
Il problema è che in un paese in cui l’impegno politico è delegato ai like o al culto del leader — che si chiami Berlusconi o Renzi cambia poco — chi si accorge di questa cappa repressiva sono solo quelli che politica la fanno sui territori, suoi luoghi di lavoro, ecc.
Per tutti gli altri queste sono solo le “conseguenze necessarie per salvare la nostra libertà”. Del resto proprio pochi giorni fa, come già a Milano per Expo, Tronca ha firmato un’ordinanza per limitare gli scioperi durante il Giubileo, iniziando proprio dal trasporto pubblico. Tutto questo mentre i lavoratori TPL, linee periferiche appaltate ai privati, stanno scioperando da giorni perché senza stipendio da mesi. Eppure, anche in piena sindrome da emergenza, uno sciopero periferico non sembra rappresentare lo stesso pericolo per i vari Tronca e Gabrielli, così come per i media locali si tratta di notizie marginali. La distanza tra periferia e centro, che sia un centro metropolitano o di classe, è sempre più profonda.
La strage di Parigi ha già cambiato l’agibilità politica, in Francia e fuori dai suoi confini: da noi in Italia per esempio. Questo, fin da subito, poteva immaginarlo qualsiasi persona attenta.
A due settimane di distanza i risultati sono già davanti ai nostri occhi: a Firenze una scuola occupata il 20 novembre è stata sgomberata dalla polizia e sono stati denunciati 50 studenti.
A Roma l’occupazione del Virgilio, del 26 novembre scorso, vedeva dopo poche ore (alcuni) genitori e la preside schierati nel chiedere l’intervento della polizia.
La preside ha affermato che “nel quadro generale di allerta determinato dal terrorismo, appare del tutto irresponsabile la decisione di un gruppo di studenti di esporre una scuola come il Virgilio – situato a pochi passi da luoghi particolarmente sensibili e non a caso intensamente sorvegliati dalle Forze dell’Ordine – alla frequentazione di estranei”.
Il giorno prima, il 25 novembre, anche al liceo Mamiani gli studenti avevano provato ad occupare: tentativo fallito. La preside nei giorni precedenti aveva informato i genitori di avere ricevuto precise indicazioni dalla prefettura circa «l’assoluta inopportunità di permettere che si svolgano azioni di protesta “fuori controllo” in particolare in una scuola come il Mamiani, molto vicina alle aree della nostra città che in questo momento sono considerate “a rischio sicurezza” — di conseguenza non sarà permesso nessun genere di protesta o contestazione che non sia effettuata nell’ambito della legalità».
Si tratta, all’evidenza, degli stessi argomenti utilizzati dalla preside del liceo Virgilio, per chiedere l’intervento della polizia e lo sgombero della scuola.
Al Mamiani, poi, la preside si era accordata con la digos che aspettava fuori per intervenire in caso l’occupazione fosse riuscita; ci hanno pensato professori, studenti (evidentemente ben catechizzati prima dai genitori informati delle richieste prefettizie) e professori ad impedire l’occupazione.
A Firenze il questore della città ha dichiarato che «dopo l’esperienza dell’occupazione all’altro liceo di Porta Romana abbiamo deciso di non frapporre indugi per riportare la situazione alla normalità. Nei giorni scorsi la dirigente del liceo sgomberato, pur non avendo chiesto formalmente lo sgombero, aveva presentato denuncia alla questura segnalando l’occupazione in atto. L’occupazione è un reato, che ci dà una certa discrezionalità a seconda delle circostanze, del momento, delle condizioni di ordine pubblico, si decide come e quando intervenire».
Da quando una occupazione scolastica è un problema di ordine pubblico? Da quando il prefetto di Roma da indicazioni ai dirigenti scolastici di non permettere “proteste fuori controllo?” come se una occupazione scolastica fosse qualcosa “fuori controllo”.
Ma il nemico non era l’ISIS? Quando e come, invece, gli studenti sono diventati il nemico?
Quel che sta accadendo è abbastanza evidente: “l’emergenza terrorismo” ha prodotto un alibi per tutte le politiche repressive: viviamo in uno stato d’emergenza “reale” non dichiarato. Se in una città come Roma, unica capitale europea praticamente governata dal ministero dell’interno, aggiungiamo l’emergenza terrorismo al giubileo allora forse conviene alzare subito le mani e arrendersi.
Del resto i movimenti denunciano questo già da almeno qualche anno, soprattutto in quest’ultimo di anno, quando qualsiasi conflitto sociale, che fosse emergenza abitativa o altro, trovava come interlocutori non gli amministatori cittadini bensì la prefettura e i reparti della celere.
In Italia, a differenza della Francia, non è stato dichiarato lo stato d’emergenza. In Francia sono state vietate tutte le manifestazioni fino al 25 febbraio prossimo, tanto che la prevista manifestazione di domenica 29 contro il vertice di COP21 si è chiusa con le violente cariche della polizia francese e il fermo di oltre 200 manifestanti. Numeri impressionanti che denotano un clima impazzito, una arroganza del potere che usa a proprio consumo un momento delicato.
In Italia non c’è stato nessun attentato, non dovrebbe esserci la stessa tensione ma i segnali dicono l’esatto contrario. Il clima di terrore che viene creato ad arte è speculare alle politiche repressive. Si nutre di quelle paure per poter attuare tutta una serie di dispositivi di controllo o di repressione di ogni conlitto sociale.
“Sicurezza e libertà” è la parola d’ordine del partito democratico, dove dietro la parola “sicurezza” si nasconde solo l’abdicare la politica alle polizie. Lo slogan, peraltro, presenta un’assonanza allarmante con il grido osceno “Repressione è civiltà” urlato a squarciagola dal poliziotto protagonista del film “un cittadino al di sopra di ogni sospetto”: un’assonanza che testimonia una situazione di fatto.
Prefetti candidati sindaci, prefetti che fanno i sindaci, da Expo al Giubileo commissari straordinari con pieni poteri e pochi vincoli diventano amministatori e sceriffi, neanche fossimo nell’era dei podestà.
Del resto che la polizia avesse assunto una autonomia politica era già palese e il governo Renzi ha soltanto che confermato questa sensazione.
Il problema è che in un paese in cui l’impegno politico è delegato ai like o al culto del leader — che si chiami Berlusconi o Renzi cambia poco — chi si accorge di questa cappa repressiva sono solo quelli che politica la fanno sui territori, suoi luoghi di lavoro, ecc.
Per tutti gli altri queste sono solo le “conseguenze necessarie per salvare la nostra libertà”. Del resto proprio pochi giorni fa, come già a Milano per Expo, Tronca ha firmato un’ordinanza per limitare gli scioperi durante il Giubileo, iniziando proprio dal trasporto pubblico. Tutto questo mentre i lavoratori TPL, linee periferiche appaltate ai privati, stanno scioperando da giorni perché senza stipendio da mesi. Eppure, anche in piena sindrome da emergenza, uno sciopero periferico non sembra rappresentare lo stesso pericolo per i vari Tronca e Gabrielli, così come per i media locali si tratta di notizie marginali. La distanza tra periferia e centro, che sia un centro metropolitano o di classe, è sempre più profonda.
@zeropregi da il manifesto