Stefano Cucchi morì per edema polmonare connesso a trauma
- aprile 12, 2010
- in carcere, vittime della fini-giovanardi
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Nessun dubbio per i periti di parte civile sulle cause del decesso di Stefano Cucchi: il giovane morì per “un edema polmonare acuto da insufficienza cardiaca” in un quadro di “brachicardia giunzionale intimamente correlata” al trauma subito e all’immobilizzazione cui fu sottoposto all’ospedale “Sandro Pertini”. È quanto si legge nella sintesi della perizia presentata oggi dai consulenti della famiglia Cucchi Vittorio Fineschi e Cristoforo Pomara, nel corso di una conferenza stampa a Montecitorio. Si è trattato, ha spiegato Fineschi, “di un cedimento progressivo” del fisico di Cucchi dopo i traumi subiti, e in particolare la frattura della vertebra lombare L3 che è stata “acuta”, vale a dire recentissima visto “che non sono stati rilevati segni di callo osseo” negli esami effettuati. Il ragazzo, ha assicurato, era sì “gracile”, ma “sano, senza patologie rilevabili”. Dunque, se fosse stato adeguatamente curato “non sarebbe morto”, ha dichiarato il professore.
Puntigliosa la ricostruzione degli eventi fatta da Fineschi insieme con l’altro perito di parte, Cristoforo Pomara, alla presenza della sorella di Stefano Cucchi, Ilaria, di Luigi Manconi e dell’avvocato Fabio Anselmo. Il 16 ottobre del 2009 Cucchi fu visitato, alle 14.05, nell’ambulatorio del tribunale e riferì dolori ed ecchimosi nella zona sacrale, le ultime vertebre della schiena. Alle 16.45 il ragazzo fu visitato nell’ambulatorio del carcere “Regina Coeli” e il medico del carcere ne richiese l’immediato trasferimento all’ospedale “Fatebenefratelli” in ambulanza dopo avere constatato ecchimosi sacrale-coccigea, tumefazione del volto bilaterale e dolore nella deambulazione. Alle 20.11 Cucchi fu ricoverato al pronto soccorso del “Fatebenefratelli”. Nel referto i medici di turno parlano di impossibilità per il giovane di stare in piedi e di camminare, e spiegano che Cucchi riferisce che i sintomi sono iniziati 3-6 ore prima, vale a dire alle 14 quando sarebbe stato picchiato. Tre sono per i periti le lesioni “oggettive” che il ragazzo presentava. “Al volto, per un trauma diretto”, ha spiegato Fineschi, “alla vetrebra lombare L3, alla prima vetrebra del coccige”, ha riferito Fineschi. Ma a provocare la morte di Cucchi sarebbe stata solo la gravissima lesione alla vertebra lombare. Da radiografie, Tac e risonanza magnetica è risultata “una frattura recente sulla L3, con il netto cedimento di un frammento che sporgendo nel canale spinale è andato a comprimere il sacco durale”, ha spiegato il professor Guglielmi. Sarebbe stato proprio quel frammento a innescare “la catena degli eventi”, ha insistito Fineschi, perché “non c’è stata nessuna interruzione fra il trauma e la morte di Stefano”, con “un meccanismo nervoso che ha provocato la compromissione cardiaca”. Le lesioni midollari, si legge nella perizia, hanno alto rischio di provocare disfunzioni cardiache. E gli esperti hanno insistito, a fronte di chi avanza il dubbio che la lesione alla vertebra fosse pregressa o ipotizza una caduta, che è stato un trauma subito il 16 ottobre – probabilmente un calcio – a provocare la frattura.
Dunque, rientra nel quadro il risultato dell’elettrocardiogramma cui Cucchi fu sottoposto il 17 ottobre, al suo arrivo al Sandro Pertini. La macchina rilevò “una marcata brachicardia sinusale”, con 49 battiti al minuto contro i 60-90 di una persona in condizioni normali. Non solo. L’autopsia ha rilevato che la vescica di Cucchi era piena e occupava 2-3 dell’addome. Vi era dunque stata una paralisi dell’apparato, compatibile con la lesione midollare, ha sottolineato Pomara. Sulle differenti letture dell’esito degli esami, i periti di parte civile non hanno voluto polemizzare. Di certo, ha spiegato Fineschi, «non si può interpretare un dato a sè stante», come per esempio quello istologico, «ma bisogna calarlo nel contesto». Di certo se Cucchi, sottopeso con i sui 52 chilogrammi per 168 centimetri di altezza, fosse stato adeguatamente curato al “Pertini”, se la sarebbe cavata. «Stefano era un ragazzo sano, non sono state trovate alterazioni di organi o patologie», ha assicurato Fineschi, «si è spento perché gracile e non adeguatamente seguito». Manconi, per parte sua, ha tenuto a invitare a un’analisi complessiva di quanto accaduto. Perché se all’inizio si è molto insistito e indagato sulle violenze che Cucchi avrebbe subito, poi «c’è stata un’attività di disinformazione, di ridimensionamento, e ci si è concentrati anche nelle indagini sull’abbandono terapeutico al Pertini». Ora «la perizia porta uno straordinario contributo di verità», ha aggiunto. Ma questo non porta sollievo alla famiglia Cucchi. Anzi. «Ciò che fa più male è sapere quanto Stefano debba avere sofferto», ha spiegato la sorella Ilaria, «quanto sia stato abbandonato, e il fatto che abbia pensato che anche noi lo avevamo abbandonato». E un ringraziamento ai pubblici ministeri che seguono il fascicolo è arrivato dall’avvocato Anselmo: «Bisogna riconoscere ai sostituti procuratori un impegno ammirevole nell’accertamento della verità», ha detto, «cosa assolutamente non facile nè scontata».
Puntigliosa la ricostruzione degli eventi fatta da Fineschi insieme con l’altro perito di parte, Cristoforo Pomara, alla presenza della sorella di Stefano Cucchi, Ilaria, di Luigi Manconi e dell’avvocato Fabio Anselmo. Il 16 ottobre del 2009 Cucchi fu visitato, alle 14.05, nell’ambulatorio del tribunale e riferì dolori ed ecchimosi nella zona sacrale, le ultime vertebre della schiena. Alle 16.45 il ragazzo fu visitato nell’ambulatorio del carcere “Regina Coeli” e il medico del carcere ne richiese l’immediato trasferimento all’ospedale “Fatebenefratelli” in ambulanza dopo avere constatato ecchimosi sacrale-coccigea, tumefazione del volto bilaterale e dolore nella deambulazione. Alle 20.11 Cucchi fu ricoverato al pronto soccorso del “Fatebenefratelli”. Nel referto i medici di turno parlano di impossibilità per il giovane di stare in piedi e di camminare, e spiegano che Cucchi riferisce che i sintomi sono iniziati 3-6 ore prima, vale a dire alle 14 quando sarebbe stato picchiato. Tre sono per i periti le lesioni “oggettive” che il ragazzo presentava. “Al volto, per un trauma diretto”, ha spiegato Fineschi, “alla vetrebra lombare L3, alla prima vetrebra del coccige”, ha riferito Fineschi. Ma a provocare la morte di Cucchi sarebbe stata solo la gravissima lesione alla vertebra lombare. Da radiografie, Tac e risonanza magnetica è risultata “una frattura recente sulla L3, con il netto cedimento di un frammento che sporgendo nel canale spinale è andato a comprimere il sacco durale”, ha spiegato il professor Guglielmi. Sarebbe stato proprio quel frammento a innescare “la catena degli eventi”, ha insistito Fineschi, perché “non c’è stata nessuna interruzione fra il trauma e la morte di Stefano”, con “un meccanismo nervoso che ha provocato la compromissione cardiaca”. Le lesioni midollari, si legge nella perizia, hanno alto rischio di provocare disfunzioni cardiache. E gli esperti hanno insistito, a fronte di chi avanza il dubbio che la lesione alla vertebra fosse pregressa o ipotizza una caduta, che è stato un trauma subito il 16 ottobre – probabilmente un calcio – a provocare la frattura.
Dunque, rientra nel quadro il risultato dell’elettrocardiogramma cui Cucchi fu sottoposto il 17 ottobre, al suo arrivo al Sandro Pertini. La macchina rilevò “una marcata brachicardia sinusale”, con 49 battiti al minuto contro i 60-90 di una persona in condizioni normali. Non solo. L’autopsia ha rilevato che la vescica di Cucchi era piena e occupava 2-3 dell’addome. Vi era dunque stata una paralisi dell’apparato, compatibile con la lesione midollare, ha sottolineato Pomara. Sulle differenti letture dell’esito degli esami, i periti di parte civile non hanno voluto polemizzare. Di certo, ha spiegato Fineschi, «non si può interpretare un dato a sè stante», come per esempio quello istologico, «ma bisogna calarlo nel contesto». Di certo se Cucchi, sottopeso con i sui 52 chilogrammi per 168 centimetri di altezza, fosse stato adeguatamente curato al “Pertini”, se la sarebbe cavata. «Stefano era un ragazzo sano, non sono state trovate alterazioni di organi o patologie», ha assicurato Fineschi, «si è spento perché gracile e non adeguatamente seguito». Manconi, per parte sua, ha tenuto a invitare a un’analisi complessiva di quanto accaduto. Perché se all’inizio si è molto insistito e indagato sulle violenze che Cucchi avrebbe subito, poi «c’è stata un’attività di disinformazione, di ridimensionamento, e ci si è concentrati anche nelle indagini sull’abbandono terapeutico al Pertini». Ora «la perizia porta uno straordinario contributo di verità», ha aggiunto. Ma questo non porta sollievo alla famiglia Cucchi. Anzi. «Ciò che fa più male è sapere quanto Stefano debba avere sofferto», ha spiegato la sorella Ilaria, «quanto sia stato abbandonato, e il fatto che abbia pensato che anche noi lo avevamo abbandonato». E un ringraziamento ai pubblici ministeri che seguono il fascicolo è arrivato dall’avvocato Anselmo: «Bisogna riconoscere ai sostituti procuratori un impegno ammirevole nell’accertamento della verità», ha detto, «cosa assolutamente non facile nè scontata».
fonte: Liberazione
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