Stefano Cucchi rifiutava il cibo perchè voleva l’avvocato
- novembre 08, 2009
- in carcere, vittime della fini-giovanardi
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Le foto, le ultime di suo fratello vivo, Ilaria le ha viste ieri, su un giornale ben agganciato con la commissione parlamentare sul servizio sanitario nazionale: inequivocabili i segni delle botte sul viso e sulla nuca di Stefano Cucchi che poche ore prima, all’udienza di convalida dell’arresto, s’era visto negare i domiciliari ed era stato costretto ad accettare un avvocato d’ufficio al posto del legale indicato la notte prima ai carabinieri. Stefano quei segni in faccia ce li aveva già. Era una faccia gonfia di schiaffi che fece inorridire suo padre ma che non parve nulla di speciale al legale d’ufficio e alla giudice che lo sbatte a Regina Coeli. Il medico della Città giudiziaria, tuttavia, vede le stesse cose che ha visto il padre: gli occhi neri e la difficoltà a camminare. Ma anche per lui è nulla che il carcere non possa curare. Ma a Regina Coeli, appena scattate quelle foto della matricola, decideranno di spedirlo al pronto soccorso del Fatebenefratelli dove le lastre riveleranno le due vertebre spezzate in fondo alla schiena. Ma i medici del penitenziario sospettavano anche un trauma cranico o addominale quel pomeriggio del 16 ottobre. Venerdi 5 novembre, in tre, sono stati sentiti dalla commissione d’inchiesta sul Ssn, presieduta dal noto medico del Pd, Ignazio Marino, che è sulle tracce di eventuali lacune delle prestazioni mediche ma i cui sconfinamenti nell’indagine per omicidio avrebbero innervosito il pm Barba. Stefano accusava nausea e i medici del carcere sospettavano che fosse l’evidenza di un danno nervoso centrale. Così lo spedirono dal centro diagnostico interno al vicino ospedale dell’Isola Tiberina senza nemmeno fargli una visita psicologica. Apparentemente Cucchi avrebbe rifiutato di fare la tac. Marino e la sua commissione cercheranno di risolvere questo giallo scrutando negli affari del Fatebenefratelli. Però, uno sguardo al diario infermieristico – stilato nelle giornate di ricovero al Pertini – getta un’ombra sulla gestione del paziente. Già sappiamo che Cucchi era immobilizzato da quando era uscito sulla sedia a rotelle da Regina Coeli. Al Pertini verrà cateterizzato. La scheda del 118 – relativa alla notte dell’arresto – è piuttosto avara: si parla di un malore schizzofrenico , le due z sono testuali e di un paziente disteso nel letto della camera di sicurezza dei carabinieri di Tor Sapienza. Nel diario infermieristico non ci sarebbero tracce dei succhi di frutta che Alfano ha raccontato riferendo per la seconda volta a Palazzo Madama. Il guardasigilli ha recitato un canovaccio basato soprattutto sulla relazione stilata una decinda di giorni dopo la morte dal reparto protetto dell’ospedale. Poi ha tirato fuori a sorpresa la carta firmata da Cucchi, si direbbe, alla polizia penitenziaria e che non avrebbe autorizzato i sanitari a rilasciare informazioni alla sua famiglia. Padre e madre di Stefano, però, di quella carta non ne avevano sentito parlare nelle loro lunghe anticamere davanti ai secondini del repartino. Ogni giorno lo stesso ritornello: per parlare coi dottori serve un permesso, tornate domani. Intanto, a pochi metri, dietro le sbarre del bunker il paziente Cucchi, peso piuma di 31 anni, paralizzato a letto veniva descritto come «polemico e poco collaborativo» da chi compilò il diario. E di atteggiamento oppositivo si legge anche nella lettera mai spedita. Quella che il Pertini sostiene di aver scritto al giudice il giorno prima che Stefano morisse. Ma perché Stefano rifiutava alcune terapie, certi esami clinici e perfino acqua e cibo? La svolta è segnata sul diario. Data 21 ottobre: «Visti gli esami ematochimici (allora qualche esame l’ha fatto!, ndr) si propone nuovamente la reidratazione endovenosa ma il paziente rifiuta perché vuol parlare prima con il suo avvocato e con l’assistente del Ceis (la comunità terapeutica in cui era stato nel 2007, ndr). Rifiuta anche di alimentarsi come sta facendo fin dall’ingresso per lo stesso motivo». Per lo stesso motivo. Parlare con qualcuno di cui si potesse fidare. Spiegare le cause della schiena spezzata e di quel viso bruciato dalle botte. Lo stesso chiese alla volontaria che lo stette ad ascoltare: chiedeva di parlare con suo cognato. Aveva paura, non si fidava. E come avrebbe potuto? Anche un suo compagno di cella ha detto al pm che sarebbe stato picchiato da qualcuno in divisa. Carabinieri o polizia penitenziaria? Tutt’e due? E Alfano aveva letto questo diario prima di riferire al parlamento? E La Russa che parla di tutto meno che del caso Cucchi dopo l’assoluzione al buio della quarta forza armata? E il suo legale d’ufficio? Avrebbe detto alla famiglia che anche a lui non dicevano nulla. L’impressione è che nei quattro giorni al Pertini Stefano non ebbe il diritto alla difesa. E tutti sapevano che voleva parlare con qualcuno di cui si sarebbe potuto fidare. Il 3 agosto stava bene, ripete la sua famiglia, c’è un certificato che lo attesta. I suoi saranno ascoltati martedì prossimo dalla commissione di Marino che ieri ha sentito anche Mauro Mariani, direttore di Regina Coeli. Per lui non ci sarebbero «punti oscuri». «La situazione d’arrivo di Cucchi in carcere è oggettivamente documentata dal certificato medico del tribunale, dalla visita di primo ingresso effettuata tra le 15.45 e le 16.30 del 16 ottobre e anche dalle foto». Resta da chiarire, però, le ragioni che riportarono un ragazo quasi paralizzato a rifiutare il primo ricovero e tornare in cella.
fonte: Liberazione
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