Dentro i cie si muore, a volte si muore anche dopo esserne usciti, per le cicatrici indelebili lasciate da un luogo in cui regna la violenza
Ha aperto la finestra dal terzo piano della casa in cui era ospitato, si era tagliato le vene con una lametta pochi minuti prima, si è gettato nel vuoto e dopo poco più di un ora la vita lo ha abbandonato. «Era già un morto che camminava – racconta un ragazzo che lo ha conosciuto – ma un tempo non era così, aveva 28 anni». Abdou Said era arrivato in Italia a luglio, egiziano, aveva attraversato la Libia e poi era sbarcato a Lampedusa a cercare fortuna, insieme a suo fratello. Ad agosto era già recluso nel Cie di Ponte Galeria, nei pressi di Roma. Allora aveva tutta la forza della sua giovane età, l’aggressività di chi non accetta di stare in gabbia senza ragione, insieme ad altri aveva tentato la fuga ma era stato ripreso.
Secondo varie testimonianze era stato riportato in cella con evidenti segni di percosse e da quel giorno non era stato più la stessa persona. «Nn ci vedeva da un occhio, aveva problemi di equilibrio ed evidenti danni psichici – racconta l’avvocato Serena Lauri che ne aveva assunto la difesa – gli hanno dovuto dare psicofarmaci sotto indicazione per tentare di farlo riprendere, nel frattempo aveva chiesto protezione umanitaria, al diniego era seguita la sospensione del provvedimento di espulsione ma stava male, veramente male». Tanto male che ne era stato disposto il rilascio con un foglio di via che gli intimava di lasciare entro 7 giorni il territorio nazionale. Non basta, secondo voci non confermate, era finito sotto processo per resistenza a pubblico ufficiale, accusato di aver aggredito un agente, l’ennesimo colpo ad una persona in piena depressione e ancora traumatizzato. Chi doveva curarne il percorso fuori? «A mio avviso doveva essere seguito da personale medico – afferma l’avvocato – L’ente gestore e la Asl potevano rivolgersi ad una delle tante reti di supporto che esistono a Roma, poteva intervenire anche l’ufficio immigrazione. Il responsabile per il centro di solito è molto attento a questo ma stavolta qualcosa è mancato e Abdou è stato lasciato praticamente da solo. Un medico lo ha accompagnato a casa e poi più nulla». Alcuni amici raccontano che era stato raccomandato a chi lo ospitava di non lasciarlo mai da solo ma è bastata un ora per permettere che compisse una scelta così disperata. Ora il fratello, anch’esso rinchiuso nel centro, è stato rilasciato quando ancora non si sapeva della morte e sta seguendo le pratiche tristi insieme al consolato. Si cerca di rimandare in patria la salma ma in questi casi sarà necessario procedere ad un esame autoptico per capire se possibile le condizioni in cui era Abdou al momento della morte. Oggi è stata giornata di tensione nel centro. Rimpatri in massa attuati per bloccare la rivolta scoppiata fra i detenuti nell’apprendere la notizia. Molti sono in sciopero della fame e si minacciano altre azioni di protesta. Il centro è presidiato e molti fra i magrebini hanno iniziato lo sciopero della fame. Le notizie filtrano rare, altro che trasparenza nei centri, intanto la detenzione ha fatto un’altra vittima. Torneremo presto su questa vicenda per tenere informati sullo sviluppo, se ce ne saranno, delle indagini.
Stefano Galieni da controlacrisi
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