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Storia minima dello sgombero di San Nicola Varco: un’operazione feroce tra razzismo e denaro

Li aspettavamo di notte, sono arrivati alle 8 del mattino. Oltre 60 mezzi blindati e 650 uomini (in tre turni..) tra poliziotti, carabinieri, finanzieri e perfino la forestale (?) per procedere allo sgombero coatto dell’insediamento di immigrati marocchini a San Nicola Varco, una traversa anonima della Statale 18 a dieci kilometri da Eboli.
Vive qui il polmone contadino della Valle del Sele, quasi millecento braccianti tra i venti e i quarant’anni che faticano dodici ore al giorno per venticinque euro meno i tre che trattiene il caporale. La “colpa” di questa comunità è di sopravvivere da oltre dieci anni in una struttura di proprietà regionale costata miliardi di vecchie lire. Un mercato ortofrutticolo mai inaugurato e una favela di lamiere e baracche sorte come funghi intorno alle carcasse di silos ed edifici. Pochissimi i bagni, ancor meno le docce, San Nicola Varco è una straordinaria fotografia dello sfruttamento: di fronte al ghetto si estendono infatti a perdita d’occhio i campi e le serre delle multinazionali dell’agroalimentare che su questa manodopera guadagnano milioni.
Sarà per questo che le voci dello sgombero si rincorrono sin da ieri nel primo pomeriggio. E’ sembrato quasi che la Questura di Salerno suggerisse la dispersione dei braccianti nel territorio. Non voleva la retata di quel 60% di immigrati irregolari che dormiva a San Nicola. Ma non per umanità. Perché c’è da lavorare! Senza la manodopera del Maghreb si ferma l’agroindustria del Sele: ora è il tempo dei carciofi e c’è da tirar su quelle serre che ormai garantiscono raccolti a ciclo continuo, senza bisogno delle stagioni.
Sono proprio indispensabili questi lavoratori marocchini, tanto che in genere non arrivano sui barconi, ma con un regolare visto d’ingresso. In realtà vengono prima truffati e poi “clandestinizzati” in loco… E’ la stessa legge Bossi-Fini a suggerire la strada: l’unico modo per avere un visto d’ingresso è la chiamata nominale in Marocco da parte delle aziende del settore. Che ovviamente non può che avvenire tramite intermediatori (caporali) della stessa nazionalità dei migranti. Paghi 5-6000 euro da spartire tra committente e caporale. Quando poi arrivi ed hai otto giorni per convertire il visto, l’azienda scompare. Le conviene di più riassumerti dopo, clandestino e in nero. E’ una truffa che attraversa tutta l’Italia: lo scorso anno su 8000 domande verificate dalle prefetture, migliaia si riferivano a società fittizie che non avevano nessuna possibilità di assumere.
Per l’irruzione di oggi erano stati comunque “prenotati” centocinquanta posti nei CIE di Lamezia e Crotone. Il ministero dell’Interno voleva probabilmente il suo pacchetto di espulsi da esibire. Alla fine le persone che la polizia trova nel campo sono circa duecento. Quaranta vengono deportate in questura per accertamenti sui documenti di soggiorno. Sono accompagnati dagli avvocati della rete antirazzista, qualche sindacalista della Cgil, gli attivisti di Radio Vostok e InsuTv.. molti avranno il processo per direttissima per “inottemperanza all’obbligo di espulsione”, ma al momento non si sa ancora nulla sulla loro sorte.
Tanto tuonò che piovve…
E’ oltre un anno che si parla di sgombero del ghetto. Da quando il potentissimo (ex) assessore alle attività produttive, Andrea Cozzolino, ha reperito i finanziamenti per la realizzazione di un nuovo polo dell’agro-alimentare proprio in quella struttura. Un affare a molti zeri. Solo per stilare il piano esecutivo la regione Campania ha stanziato 300.000 euro nell’ottobre scorso. Da oltre un anno si parla pure di progetti per ridislocare questa comunità che è diventata un caso simbolo, attraversata e raccontata da tv e giornali. Mille volte delusa. Sarà per questo che ieri, nel caos e nella tensione della sera, i braccianti marocchini si compattavano solo nella diffidenza verso ogni telecamera che spuntava all’orizzonte…
Mentre si rincorrono le voci di un imminente irruzione della polizia, il sindaco di Sicignano, Alfonso Amato, è tra i pochi amministratori a farsi vivo per offrire strutture di accoglienza, sia pure temporanee, per i futuri sfollati. Ma gli abitanti di San Nicola Varco tentennano, sono confusi, non sanno se fidarsi, non sanno se sta arrivando davvero la polizia. Discutono, litigano anche. Ci si mettono pure i caporali, che temono di perdere la propria fonte di ricchezza “se te ne vai non sarai più pagato”. Così la maggior parte rimane a San Nicola, sbandata e dispersa nei campi coltivati, per vedere cosa succede.
Non doveva andare così! Per mesi la regione Campania ha parlato di soluzioni di accoglienza, infrastrutture, dignità… e poi se l’è cavata con una cinquantina di rimpatri “volontari” accompagnati da 1200 euro di rimborso per la gioventù appassita nei campi. Infine è arrivato questo sgombero che in realtà nasce da un provvedimento dell’autorità giudiziaria: un sequestro preventivo per “ragioni di igiene e di tutela della salute”. Dopo oltre un decennio!
Un’iniziativa evidentemente “provvidenziale” e probabilmente teleguidata. Un alibi che tira fuori l’amministrazione regionale dalle sue contraddizioni, dai suoi interventi mai realizzati, senza doversi assumere l’onere dell’accoglienza o la responsabilità dell’espulsione. Ma questa scena triste e pesante fotografa tutto il suo fallimento!
E poi ci sono altri attori che avevano cominciato a fare pressione sul ghetto di San Nicola: proprio lì a fianco è spuntata d’improvviso la cantierizzazione per realizzare un enorme Outlet commerciale, uno dei più grandi del mezzogiorno: il “Cilento Village”… Centinaia di migliaia di metri quadri e un investimento immobiliare da oltre 80 milioni di euro, per una struttura che promette un fatturato di circa 60 milioni l’anno e lavoro per 500 persone. Questi sono i numeri sciorinati nella presentazione all’Hotel Bulgari di Milano. Lavoro per gli italiani, si è preferito precisare… Un’operazione in grande stile, anche nelle zone d’ombra: il piano particolareggiato per la destinazione dell’area non si è mai visto, il PUA (piano urbanistico attuativo di quello regolatore) è spuntato improvviso come un fungo, le procedure di individuazione degli aggiudicatari sono misteriose. Ma sono le biografie a destare i maggiori sospetti: a realizzare l’outlet sono la “Promos” del Bresciano Carlo Maffioli (specializzato nella costruzione di outlet ma già coinvolto in tangentopoli) e soprattutto l’immobiliare “Irgenre” del napoletano Paolo Negri. Un nome noto quello dei fratelli Negri, legati a doppio filo attraverso un fitto castello di imprese (Gen.Im, So.Gest; Adroma Costruzioni; Adroma Immobiliare; ProomHotel) e scambi di incarichi amministraivi a Sebastiano Sicigliano, commercialista ampiamente citato dalle relazioni dell’antimafia nella proposta di soggiorno obbligato e sequestro dei beni di Domenico Barbato, che la stessa commissione definisce “organicamente legato al (ex) clan Alfieri- Cesarano”.
Nomi che ricorrono in operazioni simili e sinistre come la famosa costruzione all’inizio degli anni ’90 di città Mercato a Pompei (poi centro Auchan) in cui gli stessi fratelli Negri sono condannati per concorso in estorsione per l’ingerenza e le spartizioni camorristiche. E che ricorrono ancora per la realizzazione dell’Ikea di Afragola. Un operazione esemplare in cui un bene confiscato dall’antimafia al clan perdente (dei Magliulo), viene rilevato da attori economici vicini al clan vincente (dei Moccia), rimesso a posto dal punto di vista dei permessi amministrativi grazie agli appoggi della politica e poi ceduto a Ikea, realizzando una cospicua speculazione.
A San Nicola tutto è cominciato tre anni fà, quando “Innovazione Commerciale srl”, con sede a S.Maria la Strada in provincia di Caserta e poi trasferita a Mugnano, inizia uno studio per realizzare un grande centro commerciale nella zona. E’ l’avvio per l’ambizioso outlet che vede in prima fila i fratelli Negri.
Il regno del consumo e quello dell’indigenza: difficile immaginarli a lungo fianco a fianco.
Sarà ovviamente un caso ma da quando è nato il progetto dell’Outlet si sono moltiplicati anche i guai del ghetto, con un incendio dopo l’altro in pochi mesi…
Mentre la mattinata si chiude e lo sgombero si compie, arriva il turno delle Istituzioni: l’assessore regionale De Felice con le lacrime agli occhi (…!), mentre il sindaco bassoliniano di Eboli, Martino Melchionda, parla di una “necessaria opera di bonifica per tutelare il benessere dei cittadini”. E anche quello della cognata immaginiamo, visto che secondo i dati del catasto risultava tra i proprietari dei terreni coinvolti nell’outlet…
Si avvicina un giovane marocchino che dice di essere l’imam del ghetto. Ci chiede perché li stanno cacciando via, se lavorano tanto e prendono così poco.E’ una domanda retorica ovviamente. E furibonda. Dice “non abbiamo occhi, non abbiamo orecchie come te? Ma il tuo è un paese di merda”. E’ difficile rispondere qualsiasi cosa.

Fonte: InsuTv

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