Sono passati due anni da quando le carceri italiane sono state attraversate da un’ondata di proteste e di rivolte, innescate dalla paura dei contagi di Covid-19 e dalle misure che per decreto appesantivano insopportabilmente le condizioni di prigionia, come il blocco dei colloqui con i familiari, del lavoro esterno, delle attività scolastiche e formative.
di Alexik
Condizioni di prigionia già insopportabili da prima, per il sovraffollamento, la mancanza di assistenza sanitaria, la negazione di diritti basilari e la violenza insita nell’istituzione carceraria.
Le rivolte del marzo 2020 hanno lasciato sul campo 13 detenuti morti, a Bologna, a Rieti e soprattutto al Sant’Anna di Modena.
Su otto di loro il Tribunale di Modena ha steso il sudario dell’archiviazione, rendendo impossibile un dibattimento che potesse approfondire le circostanze e le cause della loro fine, collegandole anche alle denunce sulle violenze da “macelleria messicana” subite dai detenuti ed alle testimonianze in merito al mancato soccorso di persone in overdose.
Ma anche se i tribunali archiviano, non riescono a fermare il progressivo sgretolamento della versione di comodo che assolve lo Stato e i suoi apparati, su cui crescono crepe sempre più evidenti.
Proviamo ad esaminarle, queste crepe, incrociando le informazioni emerse grazie alla denunce dei detenuti ed al lavoro di controinchiesta svolto in questi due anni da compagn*, giornalist* e avvocati, ricostruendo le ultime ore di vita di Hafedh Chouchane, Ghazi Hadidi, Bilel Methani, Slim Agrebi, Ali Bakili, Lofti Ben Mesmia, Artur Iuzu, Abdellha Rouan, Salvatore Cuono Piscitelli.
Storia di Hafedh
Hafedh Chouchane nasce in Tunisia il 9/01/84. Muore nel carcere Sant’Anna di Modena l’otto marzo 2020, il giorno della rivolta, due settimane prima di uscire di prigione.
Hafedh è il primo a morire dei 9 del Sant’Anna.
Il suo decesso viene certificato alle 20,20 dell’8 marzo da Giuseppe Conserva, il medico del 118 che presta soccorso ai detenuti nel “punto medico avanzato” allestito nella parte esterna del carcere.
Il dottore dice che il corpo senza vita gli è stato portato su una rete da letto, quasi nudo, in mutande.
Ma perché Hafedh era nudo? Possibile che girasse in mutande, in carcere, durante una rivolta?
Vincenzo, un compagno di prigionia, dice che Hafedh quel giorno aveva preso delle sostanze e stava male, e che anche Slim Agrebi era nelle stesse condizioni. Dice che lui ed altri detenuti li avevano trasportati nel pomeriggio dell’8 marzo fino alla rotonda per consegnarli agli agenti, in modo che potessero essere soccorsi.
Ma su due verbali firmati dal comandante della polizia penitenziaria le versioni sul punto di consegna di Hafedh si moltiplicano e si contraddicono fra loro: un verbale dice che è stato lasciato in prossimità del passo carraio, un altro al piano terra delle scale.
Il comandante scrive che Hafedh è stato preso in consegna dagli agenti alle 19,30.
Se fosse vero, sarebbe arrivato davanti a un medico 50 minuti dopo, troppi per una persona in fin di vita.
E a Slim Agrebi, che i detenuti dicono di aver trasportato insieme ad Hafedh, sarebbe andata ancora peggio, perché il suo corpo senza vita viene sottoposto a visita medica alle dieci di sera.
Cosa è successo nel frattempo, dalla consegna alla visita ?
Un detenuto anonimo racconta: “Io ero lì. Io l’ho preso in braccio, l’ho portato giù perché stava in gravi condizioni. L’ho portato per aiutare a portarlo in ambulanza a quelli, a portarlo in ospedale. Ma appena l’ho portato giù io, li ho visti con i miei occhi come lo picchiavano. Non volevano sapere se lui c’entrava o non c’entrava con la rivolta”.
Altri reclusi denunciano di essere stati spogliati nudi, e giù schiaffi, pugni calci, manganelli.
“Era pieno di assistenti tutti incappucciati, erano da tutte e due le parti e tu dovevi entrare nel mezzo, fare 10 o 15 metri, così dritto, poi spogliarti nudo praticamente per farsi controllare. Quello ci stava a controllarmi nudo … Ho detto va bene, va. Fin qui ci sta, qualche schiaffo. Poi da lì non ho capito più niente. Non ho capito come hanno fatto loro ad essere così crudeli”.
Anche Hafedh era nudo. Lo afferma Giuseppe Conserva, il dottore del 118, e dice che se lo ricorda bene, perché era il primo morto che gli arrivava quel giorno: “Era nudo, era senza calzini, in mutande!”.
Perché era nudo? E’ stato sottoposto anche lui alla perquisizione e al “trattamento” successivo ?
La cosa più stupefacente di tutta questa storia, però, è come abbia fatto poi il suo cadavere a rivestirsi da solo.
Infatti, quando arriva all’Istituto di Medicina Legale di Modena, il corpo di Hafedh risulta vestito di tutto punto, con felpa e calzoni, e con le tasche piene di psicofarmaci: Xanax, Quietapina, Trittico, Trazone Cloridrato.
Eppure il dott. Conserva, che ne ha visitato per primo il cadavere, non aveva trovato farmaci su di lui, tantomeno nelle sue tasche. Era in mutande, e non aveva tasche.
Mesi dopo, la Procura di Modena ha scritto che quelle medicine nelle tasche e nella cella di Hafed (perquisita dieci giorni dopo la rivolta) erano la prova della sua partecipazione diretta all’assalto della farmacia del carcere.
All’Istituto di Medicina Legale l’esame esterno del corpo di Hafedh ha evidenziato “escoriazioni e ecchimosi in regione dorsale, all’arto superiore destro (avambraccio e mano), all’arto superiore sinistro e all’arto inferiore di destra … lesività ritenuta ininfluente ai fini del decesso ed etiopatologicamente compatibile con azioni di natura contusiva presumibilmente verificatesi durante la rivolta”.
Nessuno in Procura si chiede quand’è che tali azioni di natura contusiva si siano abbattute sul corpo di Hafedh, e se sia stata questa la modalità del “soccorso” mentre stava morendo.
E in ogni caso all’esame del corpo il perito della famiglia Chouchane non ha potuto assistere.
Il 9 marzo la squadra mobile di Modena dichiara che per Hafedh Chouchane non ci sono familiari reperibili.
Ma invece i familiari ci sono. Sono in Tunisia.
Il carcere e la Procura non hanno mai comunicato ai genitori né l’avvenuto decesso né gli avvisi di legge (tra cui quello degli accertamenti tecnici non ripetibili), sebbene l’amministrazione del Sant’Anna avesse il loro numero, che Hafedh era autorizzato a contattare.
Solo l’avvocato di Hafedh, dopo faticosa ricerca presso il DAP, il consolato e il carcere, è riuscito a rintracciarli e dar loro la notizia, ormai troppo tardi per compiere i passaggi necessari per far assistere un perito di parte all’esame esterno del cadavere.
Hafedh Chouchane veniva da Mahadia, piccola città di mare, dove vivono i genitori e il fratello Ahmed.
Sua madre aspetta ancora il rientro del corpo, sepolto al cimitero di Ganaceto, una frazione di Modena. Aspetta di poterlo seppellire nel cimitero del quartiere, e di pregare per lui dalla terrazza di casa.
Storia di Ghazi
Ghazi Hadidi, nasce in Tunisia il 7/03/84.
La notte fra l’8 e il 9 marzo 2020, dopo la rivolta del carcere Sant’Anna di Modena, viene fatto salire su un furgone blindato per il trasferimento a Trento. La sua morte, a 36 anni, viene certificata la mattina del 9 marzo davanti al carcere di Verona, dove il trasporto aveva fatto tappa.
Ghazi ha una madre in Tunisia, e un fratello, Mohamed, in Italia.
Mohamed ha le foto del suo corpo. Dice che “si vedono un bel po’ di segni. Lividi. Aveva lividi in tutto il corpo. Aveva tutta la bocca nera di dentro, come se era col sangue.”
Una testimonianza dice che fra i detenuti picchiati a Modena ci sono anche Methnani Bilel, e un certo Hedidi, forse Ghazi Hadidi.
“Hedidi ha detto alle guardie che non stava tanto bene. Loro lo hanno preso per i capelli e picchiando lo spostarono in una altra cella. Dopo ho sentito che il ragazzo è morto di overdose, ma non sappiamo se è vero ciò che hanno detto”.
Una ex detenuta, trasferita assieme a Ghazi, ricorda che a Verona “continuavano ad intimare di scendere. Qualcuno credo che l’abbia preso per mano, per dire “adesso vieni giù”. Questa persona non era in vita, perché è rotolata giù, si è accasciato su se stesso. L’hanno sdraiato usando i piedi e non le mani.
Si vedeva chiaramente che era già morto, o comunque era livido”.
Il furgone blindato era partito da Modena alle due di notte e si era fermato a Verona più o meno alle quattro e mezza. All’arrivo il medico del carcere di Verona trova Ghazi in coma irreversibile e, dopo aver tentato la rianimazione assieme agli operatori del 118, alle cinque e dieci del 9 marzo constata il decesso.
“Non evidenti segni esterni di violenza”, scrive nel referto.
Ma i segni esterni di violenza verranno rilevati il 26 marzo, quando il medico legale – nominato dalla Procura di Verona – visita il cadavere.
Gli esami tossicologici risulteranno positivi a metadone e altri farmaci, in concentrazioni idonee a cagionare il decesso. Ma in bocca c’è sangue e mancano due denti.
“In corso di ispezione esterna del cadavere sono state riscontrate multiple e diffuse escoriazioni a livello dell’addome e dei quattro arti, nonché avulsione degli elementi dentari 2.2 e 2.3. Tali lesioni sono da ricondurre ad azione lesiva di un corpo contundente”.
Nonostante l’evidenza delle lesioni, all’obitorio non si procede all’autopsia. La procura di Verona ha deciso di non disporla, e di limitare gli esami peritali a una ricognizione esterna della salma ed alle analisi tossicologiche.
Che l’autopsia ci volesse lo sostiene l’anatomopatologa Cristina Cattaneo, consulente dell’avvocato del Garante dei detenuti. “E’ dunque palese che Hadidi poco prima di morire aveva subito un trauma contusivo al volto di non scarsa entità vista l’avulsione di ben due elementi dentari. Risulta fondamentale chiedersi se non vi fosse stato anche un trauma encefalico. Un trauma al volto – è la motivazione addotta dalla specialista – può condurre ad una commozione cerebrale o peggio ad un’emorragia cerebrale, che a sua volta può portare al decesso in un arco di tempo anche di ore, con sintomi e segni confondibili, ad occhi non esperti, con quelli dell’intossicazione”.
Successivamente la Procura di Modena delega gli accertamenti sulle circostanze della morte di Ghazi alla Squadra Mobile di Modena, che si prodiga per raccogliere testimonianze sulle patologie dentarie del detenuto per giustificare i denti rotti, e sulla sua partecipazione attiva ai danneggiamenti del carcere per giustificare le lesioni sul corpo.
Fra le testimonianze raccolte, quella di una dottoressa e di un agente che affermano di aver visto Ghazi Hadidi la notte dell’8 marzo presso la tenda della protezione civile allestita all’esterno del carcere di Modena, dove – dicono – sarebbe stato visitato, anche se non c’è un referto che lo attesti.
Secondo l’agente, “il detenuto Hadidi non presentava alcun problema in viso, nessuna contusione o tracce che potessero farmi pensare ad una collutazione nella quale potesse essere rimasto coinvolto, anzi, mi sembrava molto tranquillo visto che, come ben ricordo, addirittura fumava tranquillamente. L’unica cosa strana che ho potuto riscontrare è che l’uomo sembrava barcollare, circostanza che ho desunto potesse dipendere dall’assunzione di farmaci durante le fasi della rivolta. In tarda serata ricordo che l’uomo fu visitato nuovamente dai sanitari perché in procinto di essere trasferito”. Anche se barcollava.
In sintesi, seguendo le ricostruzioni della Squadra Mobile, Ghazi Hadidi si sarebbe procurato i segni sul corpo partecipando ai disordini del pomeriggio, ma questi segni – ed anche quelli sul viso e i denti rotti – non vengono notati la sera stessa né dalla dottoressa né dall’agente interrogato. Non verranno notati nemmeno dal medico del carcere di Verona. Risulteranno poi evidenti solo all’esame del medico legale.
L’autopsia si farà al ritorno del corpo in Tunisia due mesi più tardi. Lì vengono rilevati anche due ematomi nello strato profondo del cuoio capelluto, che comunque “non possono aver provocato il decesso”.
Ma – dice il fratello –“se non l’hai ammazzato con le botte, l’hai ammazzato con la mancanza di soccorso”. (Continua)
Fonti:
Procura della Repubblica presso il Tribunale di Modena, Richiesta di archiviazione N. 1030/2020 R.G. Notizie di reato/Mod.44.
Giulia Bondi, Maria Elena Scandaliato, Raffaella Cosentino, Anatomia di una rivolta. Inchiesta sui 9 morti nel carcere Sant’Anna di Modena, RaiNews – Spotlight, Prima parte (1° dicembre 2021) e seconda parte (18 dicembre 2021).
Bernardo Iovene, Il carcere al tempo del virus, Rai3, Report, 18 Gennaio 2021.
Lorenza Pleuteri, Rivolta nel carcere di Modena: dubbi e contraddizioni sulle morti dell’8 marzo/2, Osservatorio Diritti, 4 Giugno 2021.
Disegni di Asparago.
da Carmilla
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