L’ultima vittima della repressione delle proteste in Iraq è il proprietario di un piccolo market nel quartiere Al-Amiriya a Baghdad. Ieri è stato accoltellato a morte da uomini armati. La sua colpa, secondo l’agenzia stampa irachena Shafaq, era donare denaro e altri beni di prima necessità al presidio di piazza Tahrir.
Un’uccisione per mano di sconosciuti che segue alle tante sparizioni che ormai costellano la lunga mobilitazione irachena (giovani attivisti, giornalisti, fotografi) e agli omicidi compiuti da miliziani sciiti filo-iraniani nelle piazze del paese. Che però continua la sua protesta.
Ieri, per il terzo giorno consecutivo i manifestanti hanno tenuto chiuso il Dipartimento ministeriale dell’energia nella provincia di Wasit, impedendo ai dipendenti di entrare. E a Baghdad piazza Tahrir resta occupata, mentre nella blindatissima Zona Verde i partiti non riescono a trovare un accordo sul nome del nuovo premier, a oltre 15 giorni dalle dimissioni di Abdul Mahdi.
Due settimane di vuoto è il massimo concesso dalla Costituzione, ma non si vede alcuna luce in fondo al tunnel: ogni partito prova a salvarsi dalle proteste, a partire da Sairoon, la coalizione guidata dal leader religioso Al-Sadr che prova a mostrarsi duro e puro per non venir spazzato via.
A mettere sul banco degli imputati l’intera classe dirigente irachena sono i fatti, i massacri per mano ufficialmente anonima ma di cui i manifestanti conoscono bene l’identità. Nero su bianco la denuncia è di Human Rights Watch, che lunedì ha pubblicato un rapporto in cui accusa lo Stato iracheno di complicità nelle stragi compiute da uomini armati (probabilmente miliziani filo-Teheran), a partire dall’uccisione di decine di persone nella notte tra il 5 e il 6 dicembre a Baghdad: il taglio dell’elettricità durante il massacro e il ritiro dalla zona di esercito e polizia sono la dimostrazione, scrive Hrw, di connivenza.
«C’è la prova, forte, che le autorità irachene hanno appaltato il lavoro sporco, ritirandosi quando il massacro è iniziato e tornando per completarlo con gli arresti», dice Sarah Leah Whitson, direttrice di Hrw per il Medio Oriente.
A fronte di 511 uccisi dal primo ottobre scorso, però, le preoccupazioni di uno dei principali alleati di Baghdad, gli Stati uniti, vanno solo a se stessi. Lunedì Washington ha chiesto al governo iracheno di «prendere misure» per proteggere gli interessi americani nel paese: «Gli Usa hanno il diritto di difendersi», ha detto il segretario alla Difesa Mark Esper. Nelle scorse settimane Washington ha rafforzato le difese dell’ambasciata nella Zona Verde con mezzi e truppe.
Chiara Cruciati
da il manifesto