Il rapporto di Human Rights Watch accusa entrambe le fazioni. Per il ricercatore Robin Taylor i gravi abusi accertati sono «crimini di guerra»
di Margherita Cordellini da il manifesto
A 500 giorni dall’inizio di una brutale guerra civile, il Sudan si ritrova sprofondato in un’emergenza umanitaria senza precedenti. Il conflitto, che vede contrapporsi le forze armate sudanesi (Saf) guidate dal generale Abdel Fattah al-Burhan e il gruppo paramilitare delle Forze di supporto rapido (Rsf) comandate dall’ex generale Mohamed Hamdan Degalo (detto “Hemedti”), è all’origine di quella che l’Onu ha più volte definito come «la più grave crisi di sfollamento al mondo», con oltre 10.76 milioni di persone che a oggi si trovano senza casa all’interno del loro paese. Secondo l’inviato speciale degli Stati Uniti in Sudan Tom Perriello, alcune stime del bilancio delle vittime si aggirano attorno ai 150.000 morti. Che, anche a causa delle devastanti inondazioni delle ultime settimane, della successiva epidemia di colera e della carestia dilagante, sono in continuo aumento.
Entrambe le fazioni in guerra sono responsabili di atroci crimini quali esecuzioni di massa, torture, violenze sessuali e ostruzione degli aiuti umanitari. Alcuni di questi sono documentati nel nuovo rapporto di Human rights watch (Hrw) pubblicato giovedì e intitolato Sudan: Le fazioni in guerra giustiziano i detenuti e mutilano i corpi. «Nel rapporto vengono presentate le nostre ricerche sulle esecuzioni, torture e maltrattamenti perpetrati sia dalle Rsf che dalle Saf contro le persone sotto la loro custodia» ci spiega Robin Taylor, intervistato dal manifesto in quanto assistente ricercatore per Hrw nell’ambito Crisi, Conflitti e Armi. «Abbiamo analizzato oltre venti video e una fotografia caricati sui social media fra il 24 agosto 2023 e l’11 luglio 2024 – prosegue Taylor – Questi immortalano quattro episodi distinti di esecuzioni sommarie in cui vengono uccise almeno quaranta persone; torture e abusi di un totale di 18 detenuti e la mutilazione di almeno 8 cadaveri».
«Alcune delle vittime indossavano uniformi militari mentre altre erano in abiti civili» precisa Taylor. Nel rapporto viene sottolineato che in tutti gli episodi i detenuti sembrano essere disarmati e legati, non rappresentando perciò un pericolo per i loro carnefici. In un video caricato sui social media a ottobre 2023 si vede un’esecuzione di tre ragazzi bendati e feriti, possibilmente bambini sotto i 18 anni, commessa da milizie affiliate all’esercito sudanese (Saf) a Omdurman, città da loro controllata in quel periodo.
Sia le Saf che le Rsf si sono riprese mentre sottoponevano i detenuti a diversi tipi di torture come pestaggi e frustate. Nell’inchiesta di Hrw viene analizzato un video pubblicato su X (ex Twitter) ad agosto 2023 che ritrae «sei uomini armati, uno dei quali in mimetica Rsf, mentre costringono nove detenuti, tra cui almeno un uomo anziano, a strisciare o camminare in ginocchio su una strada di ghiaia. Tutti e nove sono in abiti civili e hanno le mani legate dietro la schiena».
Non sono rari i casi in cui le prove di crimini contro l’umanità sono state riprese e rese pubbliche dai carnefici stessi. «In Sudan, le fazioni in guerra si sentono così immuni da qualsiasi tipo di punizione che si sono ripetutamente filmate mentre giustiziavano, torturavano, disumanizzavano i detenuti e ne mutilavano i corpi» dichiara Mohamed Osman, ricercatore sul Sudan per Hrw. Taylor commenta il fatto sostenendo che «ciò dimostra che i persecutori provano un totale disprezzo per la dignità umana: nei video gioiscono e festeggiano mentre causano sofferenza agli altri, li umiliano e li deridono. Inoltre, non temono alcuna punizione per le loro azioni».
In risposta a un report precedente dell’organizzazione per i diritti umani, il gruppo paramilitare guidato da Hemedti aveva inviato all’ong un codice di comportamento in cui, in termini vaghi, veniva proibito il maltrattamento dei detenuti, e aveva assicurato che avrebbe indagato sugli abusi, perseguendo legalmente i responsabili. Tuttavia, nell’inchiesta di Hrw viene sottolineato che le Rsf non hanno fornito alcuna prova di ciò. Da parte loro, le Saf hanno dichiarato che avrebbero investigato gli abusi commessi dalle Rsf, senza però menzionare le violazioni compiute dalle loro milizie.
Gli orrori del conflitto armato sudanese, sebbene spesso dimenticati, sono potenzialmente alla portata degli occhi di tutti. Taylor sottolinea infatti che «alcuni dei video che abbiamo analizzato sono presenti sulle piattaforme online già da un anno e sono stati visualizzati migliaia di volte». I contenuti menzionati nel rapporto dell’ong sono solo una piccola parte delle prove inconfutabili presenti sui social: «Ci siamo imbattuti in almeno 20 casi di violazioni simili che non abbiamo però analizzato a fondo. In più, solo questa settimana stanno circolando nuovi video di torture perpetrate nel nord e sud Darfur».
«Questi abusi – conclude Taylor – dovrebbero essere indagati come crimini di guerra. Chiediamo che vengano condotte indagini internazionali, in particolare da parte della Missione internazionale e indipendente di accertamento dei fatti dell’Onu per il Sudan, che è l’unico organo investigativo indipendente con il mandato di indagare in tutto il Paese sulle violazioni legate al conflitto. Sollecitiamo quindi le Nazioni unite a rinnovare il suo mandato a settembre. Inoltre, l’Unione europea, l’Unione africana e i singoli stati dovrebbero cooperare per imporre sanzioni individuali ai responsabili dei soprusi».
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