Un 42enne algerino si è tolto la vita dopo dieci minuti dal fermo. Sono stati iscritti nel registro degli indagati due agenti che avevano il compito di vigilare sulle camere dei fermati
Appena entrato nella stanza blindata si è sfilato la maglietta nera, l’ha legata attorno al collo e poi alle grate della porta finestra e si è seduto per terra. Lo hanno mostrato dal primo momento le immagini delle telecamere di videosorveglianza, ma nei dieci minuti in cui si è consumato il suicidio nessuno si è accorto di nulla. Poi l’uomo di origini algerine è rimasto lì fino a mezzogiorno, quando gli agenti non hanno aperto la porta blindata per accompagnarlo a fare il fotosegnalamento. A quel punto però per il 42enne non c’era nulla da fare e i soccorsi del 118, subito allertati, hanno potuto solo constatarne la morte.
Il fatto che non sia stato monitorato ha portato all’iscrizione nel registro degli indagati i nomi di due giovani agenti di polizia. Un atto dovuto a garanzia dei due poliziotti ( uno era in prova) che avevano il compito di vigilare sulle camere dei fermati quando, domenica scorsa, l’uomo si è tolto la vita nella questura milanese di via Fatebenefratelli. . Il fascicolo è stato aperto dal pm Paola Pirotta per omicidio colposo. E il magistrato si è recato di nuovo in via Fatebenefratelli per visionare ancora una volta tutte le immagini raccolte dalle telecamere di sorveglianza della questura, dall’arrivo alla morte del 42enne che, nella tarda mattinata di domenica, era stato trattenuto per essere fotosegnalato dopo un tentativo di furto in zona di Porta Venezia con un complice.
Appena il 42enne è arrivato nella celletta, nei primi dieci minuti si è consumato il tutto. Secondo la procura, i monitor a disposizione dei poliziotti erano piccoli per vedere nitidamente che l’uomo fosse morto. Nel frattempo, anche per stabilire se l’intervento tempestivo degli agenti avrebbe potuto salvarlo, oggi si terrà l’autopsia sul corpo del 42enne, di cui allo stato non si conosce neanche con certezza l’identità. Gli investigatori della squadra mobile, cui sono state affidate le indagini, hanno scritto al Consolato algerino per sapere se le generalità fornite al momento dell’identificazione dal 42enne algerino sono quelle reali e per provare a rintracciare i suoi parenti. A. D., le iniziali rese note, sono quelle dell’ultimo alias, nove in tutto, che ha utilizzato in questi anni in Italia. Non è la prima volta che si consumano questi drammi nelle celle di sicurezza delle questure.
Damiano Aliprandi
da il dubbio