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Sul “carcere sicuro” del ministro Nordio

Le misure nel decreto “carcere sicuro” del ministro della giustizia Nordio per combattere il sovraffollamento carcerario sono pressoché inesistenti.

di Quarticcolo Ribelle

È notizia di pochi giorni fa la conversione in legge del decreto “carcere sicuro” del ministro della giustizia Nordio.

Di fronte alla situazione gravissima del sovraffollamento e del numero enorme di suicidi in carcere, e dopo l’appello di Mattarella e dei garanti dei detenuti, il governo Meloni si è trovato costretto a dare pubblicamente un segnale sul tema.

Ma dietro al nome di questo decreto non c’è nessun “carcere sicuro”, ossimoro che di fronte alla strage in corso suona come una provocazione.

Il solo intervento sostanziale è l’assunzione di 1000 agenti di polizia penitenziaria. Questo non ci stupisce, dato che le uniche voci ascoltate, e a cui viene dato spazio dai media sulla situazione dei penitenziari, sono quelle dei sindacati di polizia. Gli agenti della penitenziaria puntualmente sono rappresentati come le  vittime del sistema detentivo.

Inoltre nelle carceri c’è una carenza enorme di psicologi e operatori, tanto che le attività alternative per i detenuti spesso non sono garantite. In termini numerici, c’è una sproporzione già preoccupante fra i sorveglianti e queste figure. Questo decreto non fa che aumentarla.

Le misure per combattere il sovraffollamento sono pressoché inesistenti. Viene soltanto stilato un albo delle comunità che potranno ospitare alcuni detenuti: con residuo di pena basso, persone con dipendenze e per alcuni tipi di reati minori.

Se non bastasse, si rende ancora più duro il regime del 41bis, scesa l’attenzione sul tema dopo il lungo sciopero della fame di Alfredo Cospito, e le conseguenti prese di parola e mobilitazione da parte di diversi pezzi della società sul tema.

Siamo a 65 suicidi nelle carceri a partire da inizio anno (70 in tutto il 2023). Le cifre sul sovraffollamento sono spaventose, con 14.000 detenuti in più di quelli che i penitenziari potrebbero regolarmente contenere.
Dal carcere di Regina Coeli al Mammagialla, da Poggioreale a Vercelli, dal minorile di Roma a quello di Milano, solo per citarne alcuni, la popolazione carceraria con coraggio e dignità sta protestando contro le condizioni disumane in cui è costretta a vivere.

Un altro tema caldo è la custodia cautelare: per alcuni membri del governo la goccia che ha fatto traboccare il vaso è stato il caso di Giovanni Toti, ex presidente della Regione Liguria finito sotto inchiesta per gli affari legati al porto di Genova, piuttosto che l’enorme numero di persone detenute nelle carceri in attesa di processo.

Giorgia Meloni afferma: «Non voglio sentir parlare di svuota carceri, la ricetta è sempre la stessa: costruire nuovi centri penitenziari e stringere accordi per far scontare la pena nei Paesi d’origine dei detenuti».

Intanto si discute il DDL 1660, l’ennesimo decreto sicurezza, che minaccia di inasprire le pene verso chi protesta e lotta nelle carceri e fuori e che, insieme ai precedenti pacchetti sicurezza, al Decreto Caivano e Cutro, riempirebbe fino a scoppiare carceri minorili e non, così come i CPR, i centri di detenzione per le persone migranti.

Di fronte a questa barbarie, oltre a continuare a dichiarare la nostra vicinanza a chi vive in condizioni di detenzione disumane, crediamo sia importante discutere e attivarsi per costruire una società che del carcere non abbia bisogno.

Perché di carcere non si deve morire, perché di carcere non si può vivere!

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