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Tante le domande senza risposta sull’omicidio di Moussa Diarra

La difesa dei familiari di Moussa Diarra non ha potuto visionare i video delle telecamere della stazione di Verona, dove il giovane maliano è stato ucciso il 20 ottobre, e ci sono molte incongruenze nelle dichiarazioni ufficiali. Tante le domande senza risposta. Unanime la richiesta di chiarezza e giustizia. Conferenza stampa al Senato per chiedere un processo trasparente

Venerdì mattina in Senato c’è stata una conferenza stampa convocata dalla senatrice di Alleanza Verdi e Sinistra Ilaria Cucchi per annunciare un’interrogazione parlamentare che solleciti un’indagine rigorosa e imparziale sull’omicidio di Moussa Diarra, un giovane maliano di 26 anni ucciso il 20 ottobre da un poliziotto con un colpo di pistola davanti alla stazione Porta Nuova di Verona. Un’interrogazione simile è stata presentata anche da Alleanza Verdi e Sinistra alla Camera.

congerenza stampa moussa

Il modo in cui sono state gestite finora le indagini ha sollevato diverse perplessità tra i movimenti e le associazioni cittadine che seguono il caso e che si stanno riunendo formalmente in un comitato. Ci sono state alcune incongruenze nella comunicazione della procura, cioè chi indaga, e della questura, cioè l’ufficio del poliziotto su cui si sta indagando.

Le avvocate del fratello di Moussa, Djemagan Diarra, non riescono ad avere accesso ad alcune informazioni importanti, come i video delle telecamere: erano stati messi subito al centro dell’indagine perché, secondo procura e questura, avrebbero ripreso il momento dello sparo dando forza alla versione della legittima difesa del poliziotto. Di recente però il procuratore di Verona Raffaele Tito ha detto che la telecamera nel punto dove Diarra è stato colpito non funzionava.

Durante la conferenza stampa le avvocate della famiglia Diarra hanno inoltre citato due testimoni che potrebbero aggiungere nuovi elementi alla ricostruzione dei fatti, che secondo loro non corrisponderebbe a quella diffusa finora.

Per capire bene cosa sta succedendo bisogna tornare ai giorni della morte di Moussa Diarra. La dinamica esatta del momento dello sparo è ancora da chiarire. Quello che si sa è che Diarra è morto per un colpo di pistola al torace sui tre sparati dall’agente ferroviario, il quale è indagato per eccesso colposo di legittima difesa. Secondo la ricostruzione di questura e procura di Verona, l’agente avrebbe sparato perché Diarra lo avrebbe aggredito con un coltello.

Il 20 ottobre, dunque il giorno stesso della morte di Diarra, la procura e la questura avevano diffuso un comunicato stampa congiunto in cui si parlava dell’esistenza di numerosi video registrati dalle telecamere della zona. Pertanto procura e questura scrivevano che l’indagine avrebbe potuto avvalersi «di riscontri oggettivi che saranno fondamentali per una ricostruzione completa ed imparziale di quanto accaduto».

Nelle prime righe dello stesso comunicato veniva descritta una dinamica dei fatti che avalla subito la tesi della legittima difesa. Il giorno dopo, 21 ottobre, la procura di Verona ha diffuso un altro comunicato in cui spiega di ritenere che «l’episodio si inserisca certamente in un contesto di legittima difesa», pur specificando che il poliziotto è indagato per eccesso colposo di legittima difesa, cioè quando si compie un reato sproporzionato alle violenze subite, ma senza l’intenzione piena di causare una certa conseguenza (in questo caso, la morte di Moussa Diarra).

Il 31 ottobre un’emittente tv locale aveva diffuso la notizia secondo cui i video delle telecamere – in teoria inaccessibili, perché sotto segreto istruttorio – avevano ripreso Moussa Diarra intento ad aggredire il poliziotto con un coltello a distanza ravvicinata: secondo questa versione il poliziotto sarebbe stato dunque obbligato a sparare per legittima difesa. Nel servizio tv i video però non venivano mostrati. Nonostante cio, questa versione era stata ripresa velocemente da altre testate nazionali, contribuendo a diffondere l’idea che fosse quella corretta. Era stata anche rilanciata su X dal ministro delle Infrastrutture e leader della Lega Matteo Salvini, che aveva scritto: «Onore al poliziotto».

Finora nessuno, nemmeno le avvocate di parte e i loro periti, oltre all’autorità giudiziaria ha avuto accesso a quei video. E questo nonostante alcuni giornali ne abbiano riferito i contenuti come se fossero stati visti, per una presunta fuga di notizie.

Le avvocate di Djemagan Diarra, Paola Malavolta e Francesca Campostrini, hanno chiesto da subito di poter vedere questi video. La richiesta è stata fatta anche dal Comitato Verità e Giustizia per Moussa, un gruppo che si è costituito spontaneamente dopo l’uccisione del 26enne, durante una conferenza stampa alla stazione Porta Nuova di Verona. Anche Djemagan Diarra aveva chiesto di vedere i video senza successo: «Io penso che non me li abbiano mostrati perché sono nero. Non credo avrebbero detto lo stesso a un bianco», ha detto in Senato.

Il 14 novembre il procuratore di Verona Tito ha detto che la telecamera centrale della stazione di Verona, la più vicina al punto in cui è stato ucciso Moussa Diarra, non funzionava. In più, ha aggiunto che ci sarebbe un altro filmato registrato da una telecamera più lontana, ma di scarsa qualità, che quindi è stato inviato alla scientifica per cercare di migliorare la definizione delle immagini. «Nessuno ci aveva mai detto che quelle telecamere erano spente», hanno commentato le avvocate. Durante la conferenza stampa è stata anche fatta notare la stranezza di un malfunzionamento della telecamera centrale della principale stazione della città, sottoposta a norme antiterrorismo.

Le dichiarazioni di Tito hanno spinto circa cento persone a firmare e inviare una segnalazione anche al Consiglio superiore della magistratura (l’organo di autogoverno della magistratura) per chiedere «garanzie procedurali necessarie» in questa indagine. Anche il Comitato Verità e Giustizia per Moussa ha ribadito i propri dubbi sulla trasparenza di un’indagine «condotta da una polizia che sta indagando su se stessa», e in un comunicato del 19 novembre ha esplicitato il sospetto di un «tentativo di insabbiamento».

Al Senato lunedì mattina l’avvocata Malavolta ha detto che subito lei e Campostrini hanno provato a raccogliere invano alcune informazioni essenziali per ricostruire cosa è successo la mattina del 20 ottobre. «Abbiamo presentato un’istanza al pubblico ministero prima ancora che fosse dato l’incarico al perito balistico, ma ci è stata rigettata. Abbiamo anche chiesto di visionare il vestiario e i filmati, e di avere gli atti dell’indagine in corso». Malavolta e Campostrini hanno anche contattato le diverse società attive nella stazione per avere un elenco dei dipendenti in servizio quella mattina, così da poter chiedere loro se hanno visto qualcosa. Nessuno, a parte la società ferroviaria Italo, ha fornito i nominativi.

Le avvocate hanno inoltre chiesto alla polizia locale di Verona i nomi degli agenti in servizio quel giorno, perché da quanto ricostruito Moussa Diarra avrebbe incontrato alcuni di loro nella vicina via Palladio prima di morire. In quel momento, ha spiegato Malavolta, Diarra «aveva già rotto molte cose» perché stava male. Per questa ragione le due legali hanno chiesto alla prefettura di Verona l’elenco delle chiamate al numero di emergenza 112 di quel giorno, per capire se qualcuno avesse provato a contattare un’ambulanza per Diarra. Finora non sono stati dati né i nomi dei poliziotti in servizio né il registro delle chiamate al 112. La polizia avrebbe risposto che l’elenco dei nomi è sotto segreto istruttorio perché c’è un’indagine in corso.

Si sa però che alle 7 del mattino del 20 ottobre c’erano delle persone nella stazione di Verona e anche nella piazza fuori, dove è morto Moussa Diarra. Le avvocate hanno fatto un appello affinché chi c’era le contatti e racconti ciò che ha visto. «Abbiamo due testimoni, che abbiamo sentito ieri», ha detto Malavolta, che con Campostrini ha chiesto al pubblico ministero di promuovere un incidente probatorio per anticipare la testimonianza di una di queste persone. L’incidente probatorio è il procedimento con cui si anticipa e si acquisisce la formazione di una prova nel corso delle indagini preliminari: serve cioè a “cristallizzare”, come si dice in termini legali, eventuali prove che potrebbero essere utilizzate nel corso di un processo, e che rischiano di andare perse prima della fase di dibattimento (in questo caso per via delle condizioni di vulnerabilità del testimone).

Anche Moussa Diarra si trovava in condizioni di vulnerabilità. Viveva in un contesto di marginalità in cui molte persone migranti si trovano a vivere in Italia. Pochi mesi fa suo padre era morto in Mali: secondo alcuni suoi amici per settimane non era riuscito ad alzarsi dal letto e aveva perso l’appuntamento per il rinnovo del permesso di soggiorno.

Al Senato Youssef Moukrim, un portavoce del Comitato Verità e Giustizia, ha parlato delle sofferenze e del disagio psichico di Moussa Diarra. Come le avvocate, Moukrim si è soffermato sulle ore prima della sua morte, quando attorno alle 5 del mattino Diarra ha danneggiato le vetrine della tabaccheria e della biglietteria della stazione. Ha chiesto Moukrim: «Perché nelle due ore in cui Moussa vagava in stato confusionale non è stata chiamata un’ambulanza?».

Moukrim che ripercorre quanto scritto da Mackda Ghebremariam Tesfaù, su quanti siano i colpi ad aver ucciso il giovane maliano fino a quel giorno: il governo italiano con gli accordi con la Libia, il Decreto sicurezza Salvini che gli ha cancellato l’umanitaria, il Comune di Verona che non ha dato risposta, l’agente della PolFer, la stampa che lo ha descritto come un mostro e la frase di Matteo Salvini.

Infine, le avvocate hanno detto che le perizie hanno confermato che due su tre colpi sparati dal poliziotto erano «ad altezza uomo». Un colpo è stato sparato in aria. Un altro, in teoria di avvertimento, ha sfiorato Moussa Diarra e ha colpito una vetrata alle sue spalle a 1,52 metri metri d’altezza. Un altro lo ha colpito al cuore.

L’interrogazione parlamentare di Ilaria Cucchi, presentata insieme a Peppe De Cristofaro e Tino Magni di Alleanza Verdi e Sinistra, chiede chiarimenti sulle indagini al ministro della Giustizia Carlo Nordio e al ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. Ha detto Cucchi: «Una ricostruzione completa e imparziale è quello che ci aspettiamo».

E, proprio mentre la conferenza stampa sta per concludersi, arriva il colpo di scena finale: Giorgio Brasola del Paratodos, il laboratorio sociale che ha occupato la casa dove il ragazzo viveva, mostra un giubbotto come quello indossato da Moussa il giorno della sua morte. «Potete vedere qua due fori. Uno all’altezza del cappuccio, quel metro e 52 del colpo che poi va a ficcarsi sulla pensilina, l’altro qua, all’altezza del cuore. Lo sparo che ha ucciso Moussa».

A oggi di quei tre spari chi è in sala Caduti di Nassirya sa ben poco, ma nessuna delle persone seduta al tavolo di palazzo Madama finirà di chiedere chiarezza. «Vogliamo che si faccia luce non solo su quel che è accaduto, ma su quel che non sta accadendo»

(fonte il post e Nigriza)

Stefano Bertoldi di Radio Onda d’Urto ha realizzato interviste a Ilaria Cucchi senatrice di Alleanza Verdi Sinistra, Youssef Moukrim del Comitato per Moussa e Alberto Modenese del Laboratorio Paratod@s di Verona. Ascolta o scarica.

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