Dopo le manganellate dello scorso 7 luglio contro gli aquilani, ieri sono arrivate le prime denunce da parte della Digos. In una prima informativa consegnata agli inquirenti contenente la ricostruzione dei fatti avvenuti durante la manifestazione indetta dai Comitati del cratere aquilano, dalla Questura di Roma fanno sapere che due manifestanti sono stati denunciati e ben 27 identificati per gli scontri avvenuti, a inizio manifestazione, tra via del Corso e piazza Venezia e, nel primo pomeriggio, lungo via del Plebiscito, a pochi metri da Palazzo Grazioli, blindatissima residenza del premier Berlusconi.
I due denunciati sono M.E., 39 anni, membro del Pd di Roma, e C.G., 26 anni, attivista romano del centro sociale La Strada. Il primo, in qualità di promotore della manifestazione «per inosservanza dei provvedimenti di pubblica sicurezza» si legge nell’informativa «in quanto l’iniziativa si è svolta senza tener conto delle modalità concordate». Tradotto: il corteo non ha rispettato il percorso autorizzato. Il secondo, definito «noto antagonista» nell’informativa della digos, è stato invece segnalato per violenza e resistenza a pubblico ufficiale. Con loro, cinque attivisti sono stati identificati durante i primi scontri tra piazza Venezia e via del Corso mentre altre 22 persone sono state riconosciute durante il fronteggiamento con le forze dell’ordine lungo via del Plebiscito.
Così, dopo i tre manifestanti feriti mercoledì scorso durante le cariche indiscriminate che hanno coinvolto anche il sindaco aquilano Cialente e il deputato Giovanni Lolli (Pd), le forze dell’ordine presentano il conto.
Eppure, poche ora prima, nel pomeriggio di domenica, l’Assemblea dei cittadini del presidio aquilano di Piazza Duomo, vera promotrice della manifestazione del 7 luglio, ha scritto una lettera al ministro degli Interni, Roberto Maroni, in risposta a quanti, dal capo della Digos al Questore di Roma fino ad arrivare al capo della Polizia, Antonio Manganelli, hanno evocato la presenza al corteo di elementi esterni, “infiltrati”, che avrebbero agito da provocatori. «La informiamo» scrive l’assemblea al ministro Maroni «che di quel che è accaduto gli unici responsabili siamo noi, cittadini aquilani, e di questo ci assumiamo, tutti uniti, piena e unica responsabilità».
Altro che infiltrati: «noi eravamo in piazza con gli aquilani» spiegano dai movimenti di lotta per l’abitare di Roma «perché abbiamo risposto alla chiamata di un intero territorio che rischia di sparire. Abbiamo aderito pubblicamente all’appello “L’Aquila chiama Italia” e siamo scesi in piazza, a volto scoperto e mani alzate, non solo per rivendicare diritti e dignità per il popolo aquilano, ma anche per protestare contro un’idea di città e di democrazia, quella del manganello, che non ci appartiene».
In fondo, ci sono i filmati a dimostrare come, lo scorso 7 luglio, a difendere il diritto di far sentire la propria voce, pacificamente, «c’era un intero popolo, con i nostri sindaci e i nostri gonfaloni». Un popolo che ha continuato il suo cammino verso gli scudi delle forze dell’ordine «sempre con le mani alzate, con i volti ben visibili e armati solamente della bandiera neroverde della nostra città». Bandiere rigorosamente, è bene precisare, con aste di plastica leggera.
E a chi fa riferimento a provocazioni nei confronti degli agenti da parte di membri dell’area antagonista romana, gli aquilani rispondono duramente: «chi parla di provocatori o è male informato o, molto probabilmente, agita inesistenti spettri per coprire i propri errori». In entrambi i casi «riteniamo che incarichi così delicati non possano più essere ricoperti da persone che mentono per coprire le proprie responsabilità, screditando le istituzioni che rappresentano».
I due denunciati sono M.E., 39 anni, membro del Pd di Roma, e C.G., 26 anni, attivista romano del centro sociale La Strada. Il primo, in qualità di promotore della manifestazione «per inosservanza dei provvedimenti di pubblica sicurezza» si legge nell’informativa «in quanto l’iniziativa si è svolta senza tener conto delle modalità concordate». Tradotto: il corteo non ha rispettato il percorso autorizzato. Il secondo, definito «noto antagonista» nell’informativa della digos, è stato invece segnalato per violenza e resistenza a pubblico ufficiale. Con loro, cinque attivisti sono stati identificati durante i primi scontri tra piazza Venezia e via del Corso mentre altre 22 persone sono state riconosciute durante il fronteggiamento con le forze dell’ordine lungo via del Plebiscito.
Così, dopo i tre manifestanti feriti mercoledì scorso durante le cariche indiscriminate che hanno coinvolto anche il sindaco aquilano Cialente e il deputato Giovanni Lolli (Pd), le forze dell’ordine presentano il conto.
Eppure, poche ora prima, nel pomeriggio di domenica, l’Assemblea dei cittadini del presidio aquilano di Piazza Duomo, vera promotrice della manifestazione del 7 luglio, ha scritto una lettera al ministro degli Interni, Roberto Maroni, in risposta a quanti, dal capo della Digos al Questore di Roma fino ad arrivare al capo della Polizia, Antonio Manganelli, hanno evocato la presenza al corteo di elementi esterni, “infiltrati”, che avrebbero agito da provocatori. «La informiamo» scrive l’assemblea al ministro Maroni «che di quel che è accaduto gli unici responsabili siamo noi, cittadini aquilani, e di questo ci assumiamo, tutti uniti, piena e unica responsabilità».
Altro che infiltrati: «noi eravamo in piazza con gli aquilani» spiegano dai movimenti di lotta per l’abitare di Roma «perché abbiamo risposto alla chiamata di un intero territorio che rischia di sparire. Abbiamo aderito pubblicamente all’appello “L’Aquila chiama Italia” e siamo scesi in piazza, a volto scoperto e mani alzate, non solo per rivendicare diritti e dignità per il popolo aquilano, ma anche per protestare contro un’idea di città e di democrazia, quella del manganello, che non ci appartiene».
In fondo, ci sono i filmati a dimostrare come, lo scorso 7 luglio, a difendere il diritto di far sentire la propria voce, pacificamente, «c’era un intero popolo, con i nostri sindaci e i nostri gonfaloni». Un popolo che ha continuato il suo cammino verso gli scudi delle forze dell’ordine «sempre con le mani alzate, con i volti ben visibili e armati solamente della bandiera neroverde della nostra città». Bandiere rigorosamente, è bene precisare, con aste di plastica leggera.
E a chi fa riferimento a provocazioni nei confronti degli agenti da parte di membri dell’area antagonista romana, gli aquilani rispondono duramente: «chi parla di provocatori o è male informato o, molto probabilmente, agita inesistenti spettri per coprire i propri errori». In entrambi i casi «riteniamo che incarichi così delicati non possano più essere ricoperti da persone che mentono per coprire le proprie responsabilità, screditando le istituzioni che rappresentano».
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