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Testimonianze dalla Val Susa: "Hanno fatto il tiro al piccione e la gente ha reagito, altro che black bloc…"

Flavio, ferito valsusino, è un uomo di una cinquantina d’anni, residente a Rivoli, appena fuori Torino, all’imbocco della Val Susa. Ammette candidamente di non essere un militantre No Tav dei più assidui ma di partecipare nelle grandi occasioni in cui sente l’importanza di essere presente per esprimere il proprio dissenso circa la costruzione di un’opera inutile. Certo, non il ritratto di pericoloso Black bloc con cui i Tg e i quotidiani cercano in questi giorni di criminalizzare la protesta valsusina od operare improbabili divisioni tar “buoni” e “cattivi” (che la distinzione non regge se ne sonoa ccorti pure dalle parti di MicromMega!).
Eppure, anche lui è stato fatto bersaglio di un lacrimogeno tirato ad altezza uomo, da una Carabiniere appostato sull’autostrada. Ricorda Flavio: “Stava in alto, 5 metri più alto di noi, ad una 50ina di metri di distanza. L’ho visto bene. Ha prreso la mira ed ha sparato. Non ero da solo. Sapeva di sparare nel mucchio e prendere qualcuno”.
Nonostante la brutta esperienza – che lo obbliga per qualche tempo su una sedia a rotelle – non si dice per nulla intimorito, anzi più determinato a battersi contro l’opera inutile. Sarà più presente di prima alle iniziative del movimento.
A sarà propi dùra!
fonte InfoAut
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Sono tornato da poche ore a casa e quando ho aperto internet per vedere la cronaca della giornata di oggi a cui ho partecipato, non volevo credere ai miei occhi. Una cronaca del tutto distorta degli eventi, la parola black bloc che riemerge da Genova 10 anni dopo per descrivere una situazione e una lotta che non c’entrano niente l’una con l’altra. Ma d’altra parte c’è poco da sorprendersi, quando c’è da difendere qualche appalto e qualche lobby, Repubblica e il Pd sono i primi alfieri della conservazione e del potere. Addirittura ho visto che è stato messo un audio su due persone che parlano in inglese. Oggi ho visto migliaia di persone in corteo e forse ci sarà stato uno straniero ogni 1000 persone a dire tanto. Nesssun balck bloc di genovese memoria, nessuna persona fuori dal contesto.
Sono partito in macchina nella notte di sabato con alcuni amici, ritenendo la lotta No Tav come una continuazione di quella che è la quotidiana difesa dei beni comuni e di un modello di sviluppo diverso e alternativo. Sono arrivato a Venaus alle 7 di mattina dove c’erano centinaia di tende accampate allo storico presidio valsusino. C’era gente, molti giovani, da svariate città italiane e qualche valsusino che distribuiva mappe e dava informazioni circa i vari cortei che sarebbero partiti da diversi punti per accerchiare il cantiere. Uno da sud dalla zone di Chiomonte, uno da est da quella di Giaglione e uno da ovest dalla zona di Ramats.
Alle 9 e 30 abbiamo raggiunto il campo sportivo di Giaglione dove c’era la solita grande atmosfera popolare dei cortei No Tav: gazebo con materiali informativi e gadgets, famiglie, cani, anziani, giovani tutti uniti contro questo grande spreco dal disastroso impatto ambientale. Verso le 10 e 15 parte il corteo verso il cantiere della Maddalena che vede per la prima parte una mezzoretta di strada sterrata percorsa da quasi 5000 persone. Quel sentiero però non può condurci al cantiere perchè ad un certo punto iniziano gli sbarramenti e sarebbe impossibile andare avanti. Ma i valsusini conoscono bene le montagne e sapevano già che ci sarebbe stato da deviare verso un sentiero nel bosco che attraversa il torrente. Molte famiglie con bambini e molti anziani si fermano al bivio sapendo che a quel punto c’è da fare almeno un’altra ora su un sentiero scosceso e motlo duro in mezzo al bosco. Ma prima di abbandonare la compagnia salutano tutti coloro che continuano il percorso e li ringraziano. Dal sentiero di Giaglione si vede già il ponte dell’autostrada dove una macchia blu continua sullo sfondo significa la presenza di decine e decine di camionette della polizia.
Il percorso per gente di mare come me è abbastanza duro con continui saliscendi e sentieri stretti e scoscesi. Ci vorrebbe l’abbigliamento da montagna ma io al massimo in casa avevo le infradito e qualche scarpa da ginnastica. Dopo un paio di pause con annesso riposo e panino, arriviamo alla baita dopo il torrente verso le 12. E’ quello il punto di arrivo e da quel momento serve iniziare l’accerchiamento alle recinzioni del cantiere. Dopo la baita c’è un bivio: verso l’alto si arriva quasi al ponte autostradale dove inizia il cantiere. Verso il basso si va alle recinzioni dei campi circostanti il cantiere. Il popolo No Tav ascolta in silenzio le indicazioni mandate col megafono. Verso il basso vanno coloro che cercheranno di avvicinarsi a questi terreni, verso l’alto chi vorrà cercare di abbattere la barricata ma l’azione verso l’alto è considerata la più pericolosa perchè lì verosimilmente arriveranno decine di lacrimogeni.. Verso il basso si iniziano a muovere i valligiani più anziani, verso l’alto i più giovani ma anche molti altri valligiani over40 ben muniti di occhialini e mascherine per alleviare l’effetto dei gas. Alcune signore sui 45 anni distribuiscono a chi va verso l’alto le pasticche di Malox che se sciolte nell’acqua e versate sugli occhi fanno diminuire il bruciore.
Non appena i due cortei si muovono inizia un lancio impressionante di lacrimogeni (video). Tutta la vallata sotto l’autostrada è una nube continua di lacrimogeni. Anche perchè la polizia è posizionata almeno 20 metri sopra (video) i manifestanti ed è gioco facile seguire ogni movimento e sparare (video). Ma non finisce qui. Il vantaggio di altezza viene trasformato in un tiro al piccione. La polizia dal ponte autostradale mira ad altezza d’uomo (audio)(video) le centinaia di persone che avanzano a piedi. Il primo a farne le spese è un cinquantenne valsusino che cammina qualche metro avanti a me. Colpito pieno alla coscia da un lacrimogeno dovrà essere portato via con l’elisoccorso perche la profonda ferita rischiava di aver preso l’arteria femorale. Dopo di lui saranno molti a cadere sotto i colpi dei cecchini. Ma dopo il suo ferimento si capisce che l’accerchiamento del cantiere non sarà come nel 2005. Questa volta la polizia è pronta a tutto e i manifestanti allora rispondono con gli unici mezzi a disposizione: i sassi. Alcuni giovani per avvininarsi alle recinzioni si inventano una specie di testuggine romana fatta con dei pannelli di legno che coprono l’avanzamento fino alle reti. Con questa tecnica i lacrimogeni rimbalzano sugli “scudi” mentre un paio di manifestanti raccolgono i lacrimogeni e li spengono in una cariola piena d’acqua. Grazie a questa tecnica questi ragazzi sono riusciti a fare un buco nella rete, che non è servito a niente concretamente ma che ha avuto un grosso significato simbolico, salutato da urla e applausi di coloro che erano scesi in basso e da coloro che stavano alla baita.
Leggo ora sui siti web nazionali il consueto e consolidato schema dei buoni e dei cattivi. Niente di più falso. Ogni volta che dall’alto scendeva qualche giovane ferito portato a braccia, le ali di folla si aprivano verso l’infermeria e la gente che era rimasta alla baita applaudiva lo sfortunato giovane. La “battaglia” è andata avanti per alcune ore fino a quando stremati dai lacrimogeni e dalla stanchezza abbiamo iniziato a risalire i sentieri verso Giaglione. Il numero dei poliziotti feriti penso sia in maggior parte una statistica Inail e un pretesto per una ferie estiva che altro, erano talmente posizionati in alto e super attrezzati che penso che difficilmente potessero essere feriti. Sul percorso di ritorno invece si poteva riscontrare la presenza di feriti fra i manifestanti, in particolare alcuni colpiti dai lacrimogeni sparati ad altezza d’uomo.
L’ultima foto di questa giornata valsusina è un ciclista sulla sessantina che, mentre stremati da un’altra ora almeno di sentieri di ritorno, ci ha guardato e ci ha chiesto da dove venivamo. Noi gli abbiamo risposto: “Da Livorno”. Lui ci ha detto: “Grazie”.
Uno che è andato. Uno che ha visto
fonte: Senza Soste

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Io c’ero, io c’ero alla maddalena.

Ho visto, ho visto un poliziotto che era rimasto isolato, ho visto che si è preso delle botte (va beh, lo paghiamo anche per questo) ho visto però che è stato difeso, si è subito formato un cordone per evitare il linciaggio. Ho visto che qualcuno lo insultava ma ho visto che c’erano persone che aiutavano, che gli chiedevano come stava, dove aveva male.
Non esattamente il comportamento subito da Fabiano Di Berardino.
Ho visto che malgrado avessimo comunicato ai poliziotti che avevamo in mano uno di loro ferito e di smetterla con il lancio dei lacrimogeni, questi continuavano a lanciare ed a metterci in difficoltà nelle cure che stavamo dando al loro collega.
Ho visto che gli si era sottratta la pistola. Molto preoccupante…
Una pistola in mano ai black bloc valsusini: cosa succederà adesso…?
Ho visto che abbiamo restituito il poliziotto ai loro colleghi… un pò malconcio:-) ma in buone condizioni.
Ho visto anche, che dopo una trattativa, è stata restituita anche la pistola.
Evviva i black bloc della valsusa, evviva i “violenti” della valsusa. Alcune volte sono fiero di essere italiano… ITALIANI!!!!
Mauro P – via email

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Ci sono momenti in cui è necessario prendere una posizione netta, chiara e non restare indifferenti, chiusi nel proprio giardino, (ops, stalla è forse il termine giusto). Perchè gli uomini e le donne realmente informati sugli accadimenti, le persone che non si lasciano strumentalizzare nè dalle notizie manipolate dalla tv nè dalla solita carta stampata ne dalle parole che vengono usate per creare paura e far si che ci si isoli sempre di più sappiano usare la propria testa e decidano che solo” le stelle stanno a guardare” quindi agiscano. E’ quelle che noi genitori abbiamo insegnato ai nostri figli e siamo orgogliosi di loro ,eravamo insieme sabato e domenica 25/26 luglio alla Maddalena dove abbiamo vissuto momenti irripetibili dove famiglie, uomini e donne di tutte le età, ceti sociali e centri sociali vivevano in armonia condividendo pane acqua pensieri.
Domenica siamo tornati e abbiamo ritrovato le stesse persone per condividere e appoggiare la popolazione della val susa, noi eravamo nel bosco e pacificamente ci siamo avvicinati alla recinzione del cantiere dove siamo stati accolti da una pioggia di lacrimogeni dove è ovvio che le persone si siano coperti volto e testa per proteggersi dai gas lanciati ad altezza uomo dai lanci di altre armi improprie come sassi e bottiglie.
Ora ci chiediamo chi sono i violenti? la polizia o i ragazzi dei centri sociali e valsusini? siete mai andati in un centro sociale con gli occhi ripuliti dai pregiudizi? siete al corrente di tutte le attività a favore della società che ha bisogno di aiuto? siete informati del fatto che spesso mettono i locali a disposizione per chi lo richiede in città dove le amministrazioni e le parrocchie selezionano a proprio piacimento la disponibilità? basta demonizzare i centri sociali noi siamo orgogliosi che nostro figlio li frequenti insieme ad altri ragazzi e ragazze in gamba che con determinazione e coraggio esprimono e vivono le proprie idee.
Famiglia Marzuoli
da notav.info

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Faccio parte del gruppo pace di Condove e sono tendenzialmente nonviolenta, direi, se mi si permette, per natura più che per ideologia. Confesso che anche a me danno fastidio gli insulti gratuiti, sia pure ai poliziotti; per non parlare del fatto che certo non tiro pietre – i son nen bona, come direbbe Perino. E vorrei che nessuno le tirasse.

Domenica però c’ero, alla manifestazione. E devo dire che neanche per un secondo ho avuto dei dubbi su chi fosse l’aggressore e chi fosse l’aggredito. Davanti a me c’era una recinzione con filo spinato degna di un campo di concentramento; uno schieramento di poliziotti mascherati e armati, chiaramente disposti per incutere paura; sopra di me un elicottero girava incessantemente, creando un clima aggressivo e ossessivo.
Sono nonviolenta, ma so che “anche l’odio per l’ingiustizia stravolge il viso”.
Sono nonviolenta, ma, permettetemi una citazione da vecchia professoressa, sono convinta, con il Manzoni che “i provocatori, i soverchiatori, tutti coloro che , in qualunque modo, fanno torto altrui, sono rei, non solo del male che commettono, ma del pervertimento ancora a cui portano gli animi degli offesi.”
Si è cercato, sia pure in modo simbolico, di infrangere le fortificazioni che hanno costruito su luoghi che sono la testimonianza del lavoro secolare dell’uomo. Chi non ha visto i terrazzamenti delle vigne sotto la Ramat non può sapere di che cosa sia capace il lavoro paziente e costante. L’hanno costruito sopra uno dei siti archeologici più antichi del Piemonte, là dove l’uomo migliaia di anni fa onorava i suoi morti.
Non era legittimo cercare di forzare quel blocco, non era autorizzato da nessuno. Vorrei ricordare che neanche la marcia del sale era autorizzata. E’ costata ai seguaci di Gandhi morti, feriti, prigione.
Quel sedicente cantiere alla Maddalena è il simbolo dell’arroganza del potere; è la roccaforte di chi vuole il profitto a qualunque costo ; di chi pensa che lo sviluppo e la velocità siano dei valori; di chi non ha il senso del limite. Quel cantiere è uno sfregio alla valle di Susa, alla natura, alla democrazia. Nel mondo migliore che vorrei non solo per me, ma per i miei figli e i miei nipoti, quel cantiere non c’è.

Eleonora Cane
da notav.info