Le tenebre azzurre della seconda mancata qualificazione consecutiva ai Mondiali hanno un impatto economico devastante su un sistema già malato e fallito
di Luca Pisapia
Le tenebre azzurre della seconda mancata qualificazione consecutiva ai Mondiali hanno un impatto economico devastante su un sistema già malato e fallito. Ma come nell’ultima notte sul Titanic i padroni continuano a danzare, facendo finta di nulla. Forse sanno di essersi già schiantati tempo fa, è una nave fantasma.
Nelle previsioni di budget per il 2022 la Figc aveva messo costi per 170,5 milioni e ricavi per 171,5: una manovra al ribasso, in cui la partecipazione al Mondiale non era nemmeno prevista. Probabilmente anche loro sapevano dell’iceberg, poi materializzatosi sotto forma del gol di Aleksandar Trajkovski. Lo sapevano tutti, ma nessuno aveva il coraggio di dirlo, meglio un ultimo triste giro di danza al suono dell’orchestrina.
I numeri federali sono semplici, e non sono così tragici: non andare in Qatar significa rinunciare ai premi (8 milioni di dollari più 2,5 di copertura spese per la sola partecipazione, a salire fino ai 47,5 di chi vince la coppa) e abbassare sponsor e ricavi commerciali (10 milioni in meno circa). Il problema non è nemmeno la Rai, che dopo avere rinunciato per la prima volta nella storia ai Mondiali a Russia 2018 aveva investito molto sui prossimi (si dice 170 milioni) e ora dato che nessuno li guarderà sarà probabilmente costretta a rivenderli al miglior offerente.
E suonano fuorvianti e allarmistiche le previsioni sull’incidenza sul calo del Pil, lo scrisse a chiare lettere Confcommercio nelle sue analisi sulla mancata partecipazione allo scorso Mondiale: bello il calcio per carità, ma non esageriamo, il Pil è una cosa seria. Il problema è un altro. È il deprezzamento di tutto il movimento calcistico italiano devastato da questi dodici anni (2014-2026, se tutto va bene) senza Mondiale, e qui sono cifre che è difficile quantificare ma facile immaginare. Quanto varranno i nostri calciatori e i nostri club, quelli che sulle prime pagine dei giornali spacciamo come fenomeni ma evidentemente non lo sono? E chi avrà voglia adesso di investire sulle famose scuole calcio, sulla formazione di base?
Secondo un’analisi della Bbc in Serie A si impiegano solo 2,7 giovani Under 21 per squadra, che giocano però solo il 4% dei minuti a loro disposizione. Ma non è finita qui, perché l’80% di questi miseri minuti sono giocati dopo il 70mo, il che vuol dire che i giovani non giocano mai, entrano alla fine, a risultato acquisito. E se questi famosi interventi di ricostruzione dal basso non vengono fatti in una fase economica espansiva, è difficile immaginarli in una fase recessiva. Perché a differenza dell’ultimo viaggio del Titanic, l’iceberg che ha affondato il calcio italiano devastato da fallimenti societari, iscrizioni irregolari, riciclaggio di denaro, speculazioni edilizie, falsi in bilancio e plusvalenze fittizie, non è apparso all’improvviso. È stato costruito e messo lì dagli stessi padroni della nave.
da Valori.it