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Togliere la sorveglianza speciale a Eddi Marcucci

Maria Edgarda Marcucci, conosciuta ormai da tutti come Eddi, è stata dichiarata il 17 marzo scorso «socialmente pericolosa» dal Tribunale di Torino, il quale ha stabilito per lei una misura di sorveglianza. Le considerazioni della coordinatrice dell’Associazione Antigone

Il motivo è quello di aver combattuto, nel 2017 all’età di 27 anni, insieme a altri volontari italiani e a donne arabe, assiro-cristiane e internazionaliste (Unità di protezione delle donne o Ypj), in Siria contro lo Stato Islamico. Il suo impegno internazionalista viene punito con una norma risalente al fascismo, plasmata da Mussolini nel 1931 e convertita, con modifiche, in norme di pubblica sicurezza nel 1956 e ancora nel 2011, come “sorveglianza speciale”. Per queste ragioni, Eddi è costretta a rincasare ogni sera per obbligo alle 21, a restare a casa fino alle 7 e costretta a comunicare ai commissariati di polizia ogni suo spostamento. Il 27 ottobre rinunciava, per le restrizioni alla libertà di parlare in pubblico che le sono imposte, a essere ascoltata dalla Commissione Segre del Comune di Torino, per testimoniare riguardo alle donne con cui ha collaborato in Siria contro i fondamentalisti nel 2018. Susanna Marietti coordinatrice dell’Associazione Antigone, in un suo articolo sul “Fatto Quotidiano”, denuncia e si interroga su quali siano gli “indizi” per i quali il Tribunale la ritenga “pericolosa”.

È stata convalidata la richiesta di sorveglianza speciale per Eddi, con una “norma” che risulta applicabile, nonostante l’assenza di reato, perché associata alla «mentalità da soldato» che Eddi avrebbe dimostrato, tornata in Italia nelle lotte del movimento No Tav, nelle lotte attiviste di Non Una di Meno e del Centro sociale Askatasuna. Ma soprattutto per aver contestato pubblicamente una trattativa sullo scambio di tecnologie militari tra Italia e Turchia nel novembre 2019. Commentando l’evoluzione di questa vicenda, quanto pesa per uno stato laico, democratico e libero, la perdita di un diritto fondamentale di cui risulta privata Eddi?

Io credo che una democrazia giuridicamente evoluta e avanzata che davvero voglia essere in linea con lo spirito della Convenzione Europea sulla salvaguardia dei diritti umani o con la Corte dei diritti dell’uomo, debba ancorare il proprio diritto penale a fatti commessi e non a ipotesi di reato future. Ne va di un bene costituzionalmente tutelato così importante come la libertà della persona e nel caso della libertà di Eddi, per quanto sia una privazione della libertà di tipo detentivo, è comunque fortemente limitata. Mi fa paura pensare di avere questo precedente nella nostra storia, e pensare a cosa ancora potrebbe accadere.

Come commenta la situazione che, mentre il nostro paese mette a repentaglio la sicurezza di tutti vendendo armi a chi appoggia militarmente l’estremismo religioso più pericoloso (la Turchia in questo caso), tale misura sia applicata a una donna che volontariamente si reca in un paese straniero, mettendo a rischio la propria vita, per combattere i criminali jihadisti in prima persona? Secondo lei c’è una contraddizione da parte dell’istituzione stessa?

Che ci sia una contraddizione nella storia italiana, come nella storia di molti dei paesi europei, a livello geopolitico universale sul ripudio della guerra, che ricordiamo costituzionalmente normato, e che poi ci siano degli interessi economici, che invece vadano in una posizione armata, è qualcosa di risalente e che non risolveremo noi.

Noi come associazione Antigone, siamo parte di molte reti, come la rete “Sbilanciamoci”, che proprio in questi giorni ha fatto uscire, come fa ogni anno, la propria Controfinanziaria, vale a dire una riallocazione delle spese di bilancio secondo criteri etici mostrando numeri alla mano, anche di quanto si risparmierebbe in termini di non acquisto di armi. Sulla questione che la nostra nazione, venda a Stati delle armi, sapendo l’utilizzo che ne fanno, il mio commento è, dal punto di vista etico, chiaro e secco. Nel mio articolo, per esempio, facevo un ragionamento giuridico formale, cioè dello strumento delle misure di prevenzione, di come si tratti di uno strumento viziato da una serie di caratteristiche poco democratiche, poco conformi a costituzione e a altre convenzioni sui diritti umani.

Di tutti i volontari italiani nelle forze curde, precisamente dei cinque attivisti per i quali era partita la richiesta di provvedimento, poi appunto decaduta in diverse fasi del dibattimento giudiziario, Eddi è l’unica a cui sia stata imposta la misura. Colpisce, benché sia stato “giustificato” il motivo dell’accusa, che fosse anche l’unica donna tra i proposti. Lei, da donna e da persona che si occupa di difendere i diritti, crede sia un caso? O che in un certo qual modo si rimandi a una discriminazione di genere?

Non voglio pensare che lo possa essere, sarebbe di sicuro qualcosa di gravissimo, se oltre a essere discriminate nella e dalla società, lo fossimo anche da coloro che devono essere i tutori del diritto, mi auguro quindi che la scelta non si sia basata assolutamente sul genere.

Secondo lei, cosa deve accadere ancora nel nostro paese perché la società rivendichi la propria indipendenza di fronte alle ingiustizie e agli oltraggi di cui lo stato diviene colpevole?

Lo stato è colpevole di tantissime ingiustizie, purtroppo, su moltissimi livelli. Credo che finché noi non avremo un cambiamento globale del modello di approccio alla vita e del modello di produzione e di uso delle risorse del pianeta, non ci potrà essere una vera giustizia sociale diffusa in tutto il mondo. Ma si tratta di discorsi epocali che non si risolveranno oggi e che probabilmente non si risolveranno mai. Antigone, che si occupa della tutela delle garanzie dei diritti umani all’interno del sistema della giustizia penale, sta vedendo in questi termini, piano piano negli anni dei passi avanti. Basta pensare a vicende di abuso di violenza e/o potere da parte delle forze di polizia nei confronti di coloro che sono in custodia. Antigone su questo è in prima linea, ha presentato diversi esposti, lo ha fatto anche per alcune rivolte nelle carceri scoppiate a marzo, a seguito delle misure di lockdown. Situazioni in cui prima c’era di sicuro più omertà, situazioni che cadevano nel vuoto. Non sono certo cose che cambiano gli equilibri mondiali e le ingiustizie, ma piano piano stiamo andando, grazie anche alle lotte della società civili, in contesti piccoli come questi, verso una forma maggiore di tutela del cittadino.

Come spera e pensa possa risolversi questa vicenda? Cosa si aspetta dalla decisione che la corte d’appello di Torino dovrà prendere entro Natale, a proposito del ricorso presentato da Eddi contro la misura della sorveglianza speciale?

Mi auguro, così come tanti altri giuristi che hanno firmato appelli lo scorso anno e come diverse persone che lo hanno fatto nei giorni scorsi, che venga disapplicata la misura della sorveglianza speciale. Purtroppo non dico che lo prevedo, ma lo spero. Nel caso, malauguratamente, non dovesse accadere continueremo a far sentire la nostra voce. Lo faremo usando gli strumenti della democrazia, perché io in quelli continuo a credere, e cercheremo di far presente le ragioni di un diritto più giusto.

«La nostra è una società ingiusta che appare forte con i deboli e debole con i forti», lei scriveva in un commento, perché?

Qui mi riferisco alla giustizia penale italiana. È quello che accade per esempio in carcere, dove c’è una selezione sociale enorme verso gli strati più esclusi e deboli della nostra società. In questo senso la giustizia appare rigida e inflessibile con i deboli, mentre è più disposta a farsi penetrare dai potenti.

intervista a cura Marta Iaquinto per DINAMOPress