Torino: detenuta si lascia morire di fame nel carcere delle Vallette
Ha rifiutato acqua e cibo in carcere dal 22 luglio, detenuta si è lasciata morire per disperazione. La garante Gallo: “Nessuno mi ha informata”.
Una detenuta si è lasciata morire di fame in carcere a Torino. La donna è morta nella notte nella sezione del penitenziario dove era detenuta e dove era tenuta sotto osservazione dai medici. Il suo caso aveva sollevato grande preoccupazione in carcere ma la donna dal 22 luglio – da quando era entrata in carcere – aveva rifiutato acqua e cibo, non acconsentendo a nessuna terapia. Di recente era stato chiamato il 118 per un ricovero d’urgenza ma la donna aveva rifiutato anche quello.
Sono in corso gli accertamenti anche sulle ragioni della scelta da cui nessuno era riuscita a distoglierla. Susan John, questo il suo nome, aveva da poco ricevuto una condanna a oltre dieci anni di carcere per tratta e aveva un figlio piccolo che aveva dovuto lasciare a casa con il marito.
Come era già accaduto per Alfredo Cospito nei giorni della sua protesta, non è stato possibile sottoporla forzatamente a qualche terapia dal momento che la sua scelta è sempre stata espressa con estrema lucidità. Il fatto che la donna rifiutasse anche l’acqua ha accelerato il processo che l’ha portata alla morte.
Il pubblico ministero titolare del fascicolo Delia Boschetto ha disposto che sia fatta l’autopsia e forse sarà eseguita già oggi. La donna si professava innocente, avrebbe finto di scontare la sua pena nell’ottobre 2030 anche se non aveva mai annunciato uno sciopero della fame rivendicando qualche richiesta, da quando era entrata in carcere si era rifiutata di mangiare, bere e sottoporsi a valutazioni mediche. Era rinchiusa nella sezione dedicata ai malati psichiatrici. La sera prima della morte aveva rifiutato il trasferimento. Gli agenti di polizia penitenziaria l’hanno trovata intorno alle 3 di notte in cella, accanto a lei aveva lasciato un biglietto: “Se mi succede qualcosa chiamate il mio avvocato”.
Sul caso è intervenuta anche la garante cittadina dei detenuti Monica Gallo. “Sono rammaricata, ma dal carcere non ci sono mai giunte segnalazioni relative al caso di questa persona. I nostri contatti sono regolari – afferma – eppure nessuno ci aveva informato. Probabilmente non sarebbe cambiato nulla. Però, almeno, avremmo potuto attivare le nostre procedure e tentare qualcosa“. Provo rammarico – conclude Gallo – perché le informazioni, in chiave preventiva, andrebbero scambiate. Credo che sia il minimo. Si tratta di salvare delle vite“.
Anche la sorella di Stefano Cucchi, la senatrice Ilaria Cucchi ha commentato: “ Questa è una tragedia che non può essere tollerata in un Paese che si professa civile e democratico. Una morte di cui comunque è responsabile lo Stato che aveva in custodia la vita della vittima. Non capisco cosa c’entrano in questo i sindacati degli agenti. Chiedo venga fatta chiarezza anche per questo“.
Sull’accaduto si son espressi anche i sindacati di polizia. “Quello del malfunzionamento del carcere in Italia si appresta a diventare l’esempio più eclatante delle contraddizioni, a discapito dei più deboli, che contraddistinguono la pubblica amministrazione”, commenta Leo Beneduci, segretario generale Osapp.
Stando a quanto rivelato dall’ultimo rapporto dell’associazione Antigone il 2022 è “passato alla storia come l’anno con più suicidi in carcere di sempre”, con 85 persone che si sono tolte la vita all’interno di un penitenziario. Cinque sono stati i suicidi avvenuti nel solo carcere di Foggia. La maggior parte di queste persone (50, ossia quasi il 60%) si sono tolte la vita nei primi sei mesi di detenzione, osserva Antigone, sottolineando in particolare che 21 casi sono avvenuti nei primi tre mesi di detenzione, 16 nei primi dieci giorni e 10 entro le prime 24 ore dall’arrivo in carcere. Nel suo rapporto, l’associazione ha ricordato anche i casi dei due detenuti morti nel carcere di Augusta dopo 41 e 60 giorni di sciopero della fame. Ogni giorno – si legge nel dossier – sono circa 30 i detenuti in sciopero della fame, in assoluto la più utilizzata delle forme di protesta in carcere, cui talvolta si aggiunge anche lo sciopero della terapia.
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