Il capitano ventenne del Villaretto rischia di perdere la vista a un occhio: si era schierato con il compagno di origini senengalesi. Dall’ospedale racconta: all’uscita sono stato affrontato da un avversario e dai genitori
Gianluca Cigna è il capitano della squadra di calcio Atletico Villaretto, militante in terza categoria. Si gioca in provincia di Torino, campetti in erba sintetica e grande passione: l’avversario è la Mappanese. Ben presto la domenica pomeriggio si trasforma in un duello rusticano, la cui violenza appare perfino incredibile.
L’esatta dinamica è ancora misteriosa, sono in corso indagini di polizia, ma la ricostruzione portata da Gianluca Cigna racconta un mondo sportivo molto lontano dalle luci della ribalta, e il calcio diviene sempre più valvola di sfogo di una rabbia repressa.
Durante la partita i giocatori della Mappanese avrebbero insultato un giocatore di origine senegalese del Villaretto, Mbaye Mamadou, pronunciando epiteti volgari e razzisti.
A seguito di una fase di gioco concitata Mamadou viene espulso, volano altri insulti razzisti – «negro di merda» – e promesse di regolamenti di conti. In soccorso del giocatore senegalese accorre il compagno di squadra e capitano Gianluca Cigna, appunto: si alzano ulteriori parole grosse e viene avvertita la polizia che la situazione sta degenerando. Quindi, par di capire, si tratterebbe di una partita violenta, come mille altre, aggravata dagli insulti razzisti rivolti al giovane giocatore senegalese.
Mamadou racconta: «È iniziato tutto durante la partita: un giocatore della Mappanese ha cominciato a provocarmi. A un certo punto, in un’azione, siamo saltati insieme. Ho allargato il braccio e l’arbitro ha giudicato il mio intervento falloso. Così ha estratto il cartellino giallo, per me era il secondo, e sono stato espulso. Proprio in quel momento un giocatore della squadra avversaria mi ha urlato: ’Vaffanculo negro di merda’. Una frase che hanno sentito anche gli altri: invece l’arbitro, africano come me, quando gliene ho chiesto conto mi ha detto di non avere udito nulla. Gianlu, da capitano, mi ha subito difeso. Dopo la partita i giocatori della Mappanese mi hanno chiesto scusa. Dopo è arrivata la polizia che mi ha chiesto di raccontare cosa fosse successo. Mi hanno sentito e detto di allontanarmi. Ho obbedito. Sono stati i miei compagni a chiamarmi per avvisarmi di quello che era successo: Gianlu era in ospedale, l’avevano picchiato…».
La doccia non raffredda gli animi e all’uscita degli spogliatoi Gianluca Cigna viene raggiunto da un avversario che lo affronta. I due si separano per un istante, ma quando si ritrovano nuovamente a muso duro Cigna lancia un bicchiere di plastica ricolmo di birra: la situazione degenera e scoppia una rissa molto violenta nel parcheggio dello stadio. Gianluca Cigna, il giocatore che aveva difeso Mbaye Mamdou, finisce in ospedale con l’orbita oculare sfondata e rischio della cecità parziale. Dopo un’intervento chirurgico, i medici infatti non sanno se riuscirà a recuperare la vista dall’occhio sinistro.
I dirigenti della Mappanese smentiscono tale ricostruzione: «E’ stato il giocatore senegalese a cominciare. Per tutta la partita ha menato come un fabbro e alla fine è stato espulso per una gomitata a uno dei nostri. Non è vero che la squadra della Mappanese ha fatto un agguato a un giocatore del Villaretto. Siamo stati noi ad essere attaccati».
da il manifesto
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Xenofobi in campo, meno squalifiche e più formazione
L’approccio puramente punitivo della federazione italiana non tiene conto delle implicazioni di una squalifica di dieci giornate comminata senza alcun percorso educativo che possa aiutare l’autore dell’insulto, soprattutto se si tratta di un minorenne, a capire la portata del suo gesto
Il razzismo è parte dell’esperienza quotidiana di molti ragazzi di origine immigrata e il calcio non fa differenza. Uno spazio che dovrebbe essere di socializzazione e divertimento si trasforma spesso in un’esperienza traumatica per tutti quelli che vi sono coinvolti.
Tra settembre 2013 ad oggi circa 40 calciatori dilettanti e dei campionati giovanili della Figc hanno ricevuto una squalifica di dieci giornate per «comportamento discriminatorio». Circa la metà dei casi è riferito a giocatori minorenni, alcuni poco più che bambini, come un undicenne di Prato che, nell’ottobre 2014, durante una partita della categoria esordienti, trovandosi quel giorno tra le riserve, aveva ripetutamente rivolto offese razziste all’arbitro, un adolescente di origine immigrata.
Il regolamento prevede che quando il comportamento discriminatorio viene inserito nel referto scatta una squalifica di «almeno dieci giornate». Talvolta i destinatari dell’insulto sono gli stessi arbitri, visto che circa il 6% del corpo arbitrale è formato da «immigrati», cifra che tuttavia non tiene conto di coloro che hanno acquisito la cittadinanza italiana. Se il colpevole è un dirigente viene attivata «l’inibizione o la squalifica non inferiore a quattro mesi». Queste norme riflettono una sollecitazione emersa al congresso generale della Fifa nel maggio 2013. Nel giugno dello stesso anno, la Figc modificò l’articolo 11 del suo Codice di Giustizia Sportiva introducendo le norme attuali.
Purtroppo la Federazione italiana non conserva i dati su questi tipi di squalifiche, quindi è difficile sapere esattamente quante volte la norma è stata applicata.
I dati qui presentati sono approssimativi e sono stati raccolti consultando i rapporti dei comitati regionali e la stampa locale. Nemmeno l’Associazione Italiana Arbitri, che pur si è dotata di un «Osservatorio per gli episodi di violenza nei confronti degli arbitri», raccoglie statistiche in merito agli episodi di razzismo verso i suoi membri. Probabilmente non vengono considerati «violenza».
Questa mancanza di attenzione da parte delle istituzioni sportive è indicativa di un atteggiamento generale, che vede nella squalifica l’unico strumento per affrontare il problema. E’ un approccio che fa notizia ma non contribuisce a cambiare la cultura del movimento calcistico. A dire il vero, è anche un approccio che disattende o ignora le espresse indicazioni della Uefa in merito alle azioni anti-discriminatorie.
La Uefa (la federazione europea del calcio), ha adottato una serie di norme che prevedono tre tipi di azione coordinate: disciplinare (la squalifica); monitoraggio (le statistiche) e l’aspetto forse più importante, l’educazione. Ancor più interessante è osservare che la Uefa indica una squalifica di «almeno cinque giornate», invece delle dieci della Fifa e della Figc. Alcune tra le maggiori federazioni calcistiche europee, come quella tedesca e quella inglese, prevedono squalifiche di cinque giornate combinate con azioni educative.
L’approccio puramente punitivo della federazione italiana non tiene conto delle implicazioni di una squalifica di dieci giornate comminata senza alcun percorso educativo che possa aiutare l’autore dell’insulto, soprattutto se si tratta di un minorenne, a capire la portata del suo gesto. L’esperienza diretta di un arbitro di origine immigrata aiuta a comprendere meglio la situazione. «Il problema è serio a tutti i livelli – dice Ahmed, che arbitra da alcuni anni in una regione del nord Italia – ed è certamente sottovalutato. I giocatori sono vittime di insulti razzisti e pure gli arbitri, non è nulla di nuovo, ma solo gli episodi inclusi nel referto vengono puniti. In molti casi l’arbitro non sente quello che avviene o preferisce sorvolare. Però c’è un altro aspetto da considerare. Dieci giornate sono una punizione molto severa per i ragazzi, e sanzioni sono spesso previste per le loro società, che magari fanno i salti mortali per sopravvivere. Prima di includere episodi di questo tipo nel referto uno si fa anche degli scrupoli. Io, soprattutto quando i protagonisti sono dei ragazzi, cerco di dialogare, di far capire ai più giovani la gravità di quello che hanno fatto».
Questa testimonianza, rilasciata con un nome di finzione per non incappare negli strali della federazione, pone il problema del ruolo educativo che la pratica sportiva dovrebbe svolgere tra i più giovani. Molti autori di insulti e aggressioni razziste non capiscono o non vogliono cogliere la gravità della discriminazione per motivi di razza, colore, religione, lingua, sesso, nazionalità, origine etnica.
Spesso sono gli stessi adulti – allenatori, dirigenti, genitori – a creare ulteriore confusione difendendo gli autori dell’insulto. Il lavoro educativo deve coinvolgere tutti gli attori del sistema calcio. Magari la Figc, che ha speso 107.000 euro per distribuire 20.000 copie di un fantomatico libro per bambini scritto dal suo presidente, ha fondi a disposizione per attivare percorsi educativi sull’interculturalismo e sulle pratiche anti-discriminatorie?
da il manifesto