Si è concluso con 10 condanne il processo in primo grado per il corteo “Mai con Salvini” del 28 Marzo 2015, quando la Torino antirazzista si mobilitò contro la visita del leader leghista. Un corteo attaccato dalla polizia al quale fu permesso sfilare per poche decine di metri in quanto, alla prima curva, fu caricato da celere e digos provocando fermi e feriti tra i manifestanti.
Ed infatti è di 9 mesi l’assurda condanna sentenziata ai 4 ragazzi travolti e fermati in quella giornata (ricordiamo che Daniele è stato processato a parte perché quel fermo fu trasformato in arresto). Di 1 anno e 2 mesi invece è la condanna ai 6 arrestati nei mesi successivi.
Pene non particolarmente esagerate per Torino, sebbene a processo ci fosse chi si è battuto contro i discorsi razzisti, ma anche fascisti, di quella giornata durante la quale in piazza c’era anche Casa Pound a fianco di Salvini.
In ogni caso il Tribunale non ha accolto le richieste della Procura, che aveva avuto l’ardire di chiedere condanne a 4 anni e mezzo.
Zero assoluzioni nonostante gli avvocati abbiano fortemente sbugiardato i teste dell’accusa, tre capi dei reparti mobili ed un funzionario di commissariato riuscendo a ricostruire, tramite filmati e registrazioni delle cosiddette “bodycam” (microcamere date in dotazione ai reparti mobili), come quella carica fosse stata preventivata, puntando direttamente alcuni dei manifestanti con l’intento di fermarli.
Da qui infatti, l’esito inaspettato di questa sentenza, cioè l’aver mandato in Procura gli atti di uno dei 3 celerini, tale Fulcheri, con l’accusa di falsa testimonianza. Interrogato dalla difesa e, dopo aver dichiarato davanti al giudice di non conoscere il manifestante da lui fermato, lo stesso è stato sbugiardato dalla sua stessa bodycam in cui prima della carica, parlando con altri poliziotti, ne cita nome e cognome (con tanto di “quel bastardo”) ed addirittura lo punta, per “vedicarsi” di una manifestazione passata. Addirittura durante il processo, probabilmente perché messo alle strette, il celerino ha messo in mezzo uno dei galoppini della digos, Ferrara, dichiarando che era stato lui a fornirgli le generalità.
Sicuamente non ci interessa la giustizia di questo caso, a prescindere dal fatto che inizi veramente un processo, ma è sempre interessante vedere come, ogni tanto, qualche giudice storca il naso quando le menzogne che spesso i poliziotti forniscono durante le udienze vanno oltre l’eccesso, pur di mandare chi lotta contro le ingiustizie in galera.
Sicuramente avrebbe avuto un altro esito il procedimento processuale se si fosse dato il giusto peso alle parole degli agenti, attraverso le quali la difesa è riuscita a ricostruire quanto quella carica sia stata da loro cercata, e quindi chi sono stati i violenti in quella giornata, con l’ascolto di frasi del tipo “lui è mio”, “attenzione ai paletti”, “stiamo compatti” fino all’esplicita “fate quanti più fermi possibili”.
Il tentativo di mettere la museruola ai poliziotti attraverso la bodycam ogni tanto gli si ritorce contro.
da InfoAut