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Torino: Tenta il suicidio in carcere, messo in isolamento e per bere usa l’acqua del water

Una vicenda raccontata nel XVII Rapporto di Antigone dal quale risulta una media del 27,6% dei detenuti in terapia psichiatrica.

Avrebbe tentato il suicidio in carcere a Torino, per questo sarebbe stato trasferito in una cella liscia, denudato, senza materasso né coperta e con l’acqua chiusa. Per quest’ultimo motivo, si sarebbe trovato nelle condizioni di bere dallo scarico del wc.
La sua situazione peggiora, si agita, e la prassi sarebbe stata quella di frequenti iniezioni intramuscolari per cercare di sedarlo. Parliamo di M., un detenuto in espiazione presso un reparto di osservazione psichiatrica “Il Sestante” della Casa Circondariale di Torino. La vicenda viene narrata da un familiare che si rivolge al Difensore Civico di Antigone preoccupato della situazione particolarmente critica in cui versa il ragazzo che ha tentato il suicidio in carcere.

Sottoposto a vari Tso senza test clinici adeguati – Una vicenda, terribile, ben raccontata nel XVII Rapporto di Antigone sulle condizioni detentive. M. subisce vari trattamenti sanitari obbligatori che da quanto raccontato ad Antigone non rispondono a nessuna perizia psichiatrica.

Viene denunciata infatti l’assenza di test clinici adeguati che possano configurare una corrispondente terapia. M. trascorre nove mesi continuativi nella sezione dedicata a soggetti in acuzie del reparto di osservazione psichiatrica, in cui la permanenza massima prevista dalla legge è invece di trenta giorni. Quella di M. è solo una delle tante storie che arrivano all’ufficio dell’associazione Antigone e che danno l’idea di quanta strada ancora c’è da fare per garantire diritti e protezione a chi vive all’interno delle carceri italiane e per ridurre il numero dei suicidi in carcere.

98 istituti visitati dall’Osservatorio da Antigone nel 2019 – Infatti, come emerso dal rapporto annuale “Oltre il virus”, in 98 istituti visitati dall’Osservatorio da Antigone nel 2019, una media del 27,6% dei detenuti risulta in terapia psichiatrica e il 41 % delle patologie sono disturbi psichici. Secondo i dati del ministero della Giustizia, nel 2019 si sono verificati in totale 53 suicidi, con 8,7 suicidi ogni 10.000 detenuti mediamente presenti, 8,376 atti autolesionistici e 939 tentativi di suicidio.

Il dossier di “Ristretti Orizzonti”: 61 suicidi fino nel 2020 – Secondo i dati raccolti dal Dossier “morire di carcere” di Ristretti Orizzonti, nel 2020 si sono verificati 61 episodi di suicidio in carcere, numero destinato ad aumentare anche come conseguenza del crescente isolamento rispetto al mondo esterno dei soggetti ristretti a seguito della pandemia.

Per Antigone questi dati sono particolarmente preoccupanti soprattutto se paragonati alle stime riportate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, secondo cui nel 2016 in Italia nella popolazione libera si è registrato un tasso di suicidi pari allo 0,82 ogni 10.000 abitanti. “Ancora una volta – si legge nel rapporto – il carcere è il luogo in cui si registra una maggiore incidenza del fenomeno suicidario. In tal senso, il momento dell’ingresso all’interno del sistema carcerario rappresenta un evento traumatico”.

Dall’ingresso alla scarcerazione: tutti i momenti traumatici – Ma il momento dell’ingresso non l’unico momento di criticità che fa insorgere patologie psichiche. Insorgono anche durante tutta la fase detentiva e nella fase prossima alla scarcerazione. Altri disturbi psichici particolarmente frequenti tra la popolazione detenuta – si legge nel rapporto di Antigone – “sono il disturbo dell’adattamento, i disturbi legati all’uso di sostanze stupefacenti, il disturbo del controllo degli impulsi e i disturbi della personalità”.

Ultimo momento definito critico per il soggetto è rappresentato dalla fase prossima alla scarcerazione, durante il quale insorgono una serie di preoccupazioni e ansie legate al reinserimento all’interno della società libera, che per molti può rappresentare un momento di forte difficoltà. “Il tema legato alla tutela della salute mentale in carcere sicuramente rappresenta uno dei nodi più difficili da sciogliere, per la necessità da una parte di garantire cure adeguate che rendano il contesto detentivo quanto meno possibile peggiorativo del disagio psichico, dall’altra per la necessità di assicurare la sicurezza della società libera e all’interno degli istituti stessi”, osserva Antigone.

Damiano Aliprandi

da il dubbio