Tortura in Italia, anche il 2014 è trascorso nel segno della impunità
“L’inadempienza dell’Italia nell’adeguarsi agli obblighi della Convenzione Onu crea una situazione paradossale in cui un reato come la tortura che a determinate condizioni può configurare anche un crimine contro l’umanità, per l’ordinamento italiano non è un reato specifico. È quindi necessaria una legge che traduca il divieto internazionale di tortura in una fattispecie di reato, definendone i contenuti e stabilendo la pena, che potrà determinare anche il regime temporale della prescrizione.
Pertanto, nella attuale situazione normativa non può invocarsi, così come fa parte ricorrente, l’imprescrittibilità della tortura, cioè di un reato che non c’è”. Così ha scritto nero su bianco la Corte di Cassazione in una sentenza del 17 luglio del 2014 resa pubblica poche settimane fa. Nella sentenza si certifica l’impossibilità di estradare in Argentina il sacerdote Franco Reverberi, accusato dai magistrati sudamericani di avere partecipato nella sua veste di cappellano militare ai “tormenti” dei torturati ai tempi di Videla.
In assenza del delitto di tortura nei confronti del sacerdote possono essere previste ipotesi di reato che hanno tempi di prescrizione ben più brevi. Invece la tortura, crimine contro l’umanità al pari del genocidio, dovrebbe essere imprescrittibile o quanto meno avere tempi molto lunghi di prescrizione.
Il 17 luglio del 1998, ovvero sedici anni prima rispetto alla sentenza della Cassazione nel caso Reverberi, l’Italia aveva organizzato solennemente a Roma in Campidoglio la conferenza istitutiva della Corte Penale Internazionale competente in materia di crimini contro l’umanità. La Corte è nata, seppur stentatamente. L’Italia non si è mai adeguata fino in fondo allo Statuto della Corte voluta dall’Onu. Tra i crimini che la Corte è deputata a giudicare vi è la tortura. Non essendovi il delitto nel nostro codice penale sarà ben difficile arrestare quel militare o dittatore che si è macchiato di questo crimine all’estero e viene a trovare rifugio in Italia. I torturatori di tutto il mondo possono scegliere di venire in Italia come se fosse un paradiso criminale.
Tre anni dopo la conferenza di Campidoglio, nel luglio del 2001, ovvero tredici anni prima della sentenza della Cassazione, c’è stata la tragedia genovese. Un pezzo dell’apparato di Stato organizza e commette violenze brutali contro chi manifestava contro il G8. Partono i processi. Un certo numero tra poliziotti e funzionari viene messo sotto inchiesta. La condanna interviene ma per reati lievi. Manca infatti il delitto di tortura.
A uno dei torturati di Bolzaneto gli agenti della polizia penitenziaria, dopo essersi vantati di essere nazisti e di provare piacere a picchiare un “omosessuale, comunista, merdoso”, dopo averlo offeso dicendogli “frocio ed ebreo”, lo hanno portato fuori dall’infermeria e gli hanno strizzato i testicoli, come nella tradizione tragica della tortura a Villa Triste o a Villa Grimaldi. “Entro stasera vi scoperemo tutte”.
Machismo e fascismo, come sempre insieme appassionatamente. Tra il 2001 e il 2014 ci sono stati casi che hanno scosso le coscienze di questo paese. Un giudice ad Asti nel gennaio del 2012 ha certificato che la tortura commessa da alcuni poliziotti penitenziari non era da lui punibile in assenza del delitto nel codice. Siamo alla fine del 2014 e il Parlamento resta ancora in silenzio. Antigone, insieme ad Amnesty International, Arci, Cittadinanza Attiva, Cild e decine di altre organizzazioni ha organizzato un minuto di silenzio in Parlamento lo scorso 10 dicembre 2014 sperando di mettere i deputati davanti alle loro responsabilità e volendo stigmatizzare il silenzio colpevole delle istituzioni.
L’esito della discussione parlamentare è quanto meno mortificante: è stata rinviata a dopo le vacanze. L’Italia, va ricordato, aveva preso formalmente questo impegno internazionale nel 1988. Nella scorsa primavera il Senato ha approvato un testo non conforme a quanto previsto nella Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura: si usa il plurale per le violenze (un’unica violenza non determinerebbe tortura) e si configura il delitto come delitto generico ovvero non tipico di chi ha obblighi legali di custodia.
La Camera sta ragionando – lentamente, molto lentamente, troppo lentamente – intorno a possibili miglioramenti. Questa è buona cosa ma lo fa senza verificare cosa potrebbe accadere in Senato nel caso di un nuovo cambio di testo. Infatti, fino a quando resiste il bicameralismo, ad ogni cambiamento il testo torna all’altra Camera.
In Senato non vi sono garanzie che ci siano i numeri per far passare la legge. Ci sono gruppi dello stesso partito che hanno votato o preso posizioni molto diverse, se non opposte, alla Camera e in Senato. A Palazzo Madama il Ncd ha dato il peggio di sé. Gli emendamenti peggiorativi del testo sono tutti suoi. “Accogliamo con grande favore l’introduzione del nuovo reato, che è uno strumento in più per perseguire le violazioni alla tutela dei diritti dell’uomo. L’unica perplessità è nella fase applicativa, non certo in termini di principio.
Ci sono alcune criticità nel testo”. Così il capo della Polizia Alessandro Pansa audito in Commissione Giustizia alla Camera. Le sue dichiarazioni costituiscono un passo in avanti importante. Dunque ci rivolgiamo a tutti i parlamentari del campo democratico, liberale, cattolico, progressista: se siete contro la codificazione del delitto di tortura abbiate il coraggio di dirlo pubblicamente (alle Nazioni Unite, ai nostri lettori e alle nostre associazioni); se invece siete favorevoli scrivete la migliore legge possibile a approvatela definitivamente nel giro di un mese.
Patrizio Gonnella (Presidente dell’Associazione Antigone) da Il Manifesto