Umar l’avevano incontrato in Bosnia in uno dei tanti viaggi verso l’inferno, a portare provviste, vestiti, medicine. Nel maledetto cantone di Una-Sana dove sono ammassati migliaia di migranti in condizioni subumane, Umar camminava scalzo nella strada desolata verso Kazin, piagato dalle percosse della polizia croata che lo aveva fermato mentre tentava l’ennesimo “game” per raggiungere l’Europa.
Si erano divertiti i poliziotti croati, ogni profugo era una occasione per scatenare cattiveria, per scaricare aggressività, per far valere il potere contro gli indifesi. Lo avevano torturato con una spranga arroventata, una gamba era rimasta senza pelle, senza carne. Torture di cui l’Italia è complice nella misura in cui respinge i migranti al confine italo-sloveno, trattandoli come pacchi, consapevole che così comincia una catena di restituzioni che li consegna prima alle violenze dei soldati croati e poi li spinge fuori dall’Unione europea.
Dalla Croazia anche Umar era stato ributtato oltre il confine, senza più nulla, nemmeno le scarpe, senza poter far valere il suo diritto alla protezione internazionale, ma non era stata vinta la sua voglia indomabile di vivere e di andare via da lì.
Umar, con i suoi vent’anni pieni di orrore e speranza aveva ritentato, nonostante tutto, nonostante un dolore indescrivibile perché la sua gamba sanguinava e imputridiva e lo costringeva a trascinarsi, a non riuscire a dormire. Umar aveva ritentato il “game” ancora una volta e dopo 23 giorni di cammino tra le montagne era arrivato a Trieste in febbraio, bora e freddo, non un tetto, non un pasto caldo.
Ma c’era Linea d’Ombra in piazza, si erano riconosciuti dopo cinque mesi da quell’autunno bosniaco e almeno un po’ di cibo l’aveva trovato e anche scarpe nuove e un giubbotto caldo. Ma la sua gamba fragilissima che anche il sole o l’aria riempivano di ulcere, era andata in cancrena e a poco erano valse le medicazioni delle dottoresse de La Strada Si.Cura. Era ricomparso in piazza dopo qualche giorno, spinto da quel dolore che non passava e da quell’odore nauseabondo che lo avvolgeva, ma la sua gamba era straziata, infetta da troppo tempo, la cura sembrava impossibile.
La sua storia, le sue condizioni disperate, erano volate nel passaparola di gente di buona volontà mettendo in moto una indispensabile rete solidale: in Friuli una chirurga plastica aveva detto “io ci sono” e Umar aveva trovato l’accoglienza di cui aveva bisogno. Mesi e mesi di cure, di affetto e vicinanza, tutto gratuitamente, fino alla vittoria: la gamba di Umar è guarita, il suo viaggio, se vorrà, potrà continuare.
“Il male, quello inferto nella sua banalità, non sarà dimenticato ma ora è stato arginato dal bene, da questa speciale umana solidarietà fatta di cura e di un abbraccio talmente bello che la speranza si è instillata in modo luminoso” commenta Lorena Fornasir, presidente di Linea d’Ombra, i suoi splendidi occhi chiari pieni di fiera determinazione e tenerezza.
da il manifesto