Torture al carcere di Santa Maria Capua Vetere, la procura chiede 107 rinvii a giudizio
La Procura chiede 107 rinvii a giudizio. Molto gravi i capi di imputazione: tortura, lesioni, falso e depistaggio. Per la morte di Hamine Lakimi, avvenuta il 4 maggio mentre era in isolamento dopo aver subito il pestaggio, i pm hanno formulato il reato di omicidio colposo, morte come conseguenza della tortura
di Adriana Pollice
Sei aprile 2020 nel carcere di Santa Maria Capua Vetere ai danni dei detenuti avviene «una orribile mattanza», come l’ha definita negli atti il gip Sergio Enea: si sarebbe trattato di una violenta rappresaglia dopo le proteste scattate a inizio mese, quando si era diffusa la voce che un detenuto addetto allo smistamento dei pacchi era positivo al Covid. Una protesta che non avrebbe dato luogo a reati, tanto da finire in archiviazione per 14 detenuti denunciati dalla penitenziaria. Per quella «mattanza» il pm Alessandro Milita ha chiesto ieri 107 rinvii a giudizio.
La struttura era sovraffollata, impossibile il distanziamento e praticamente assenti i dispositivi di sicurezze individuali, visite con i familiari sospese causa pandemia, era esplosa la rabbia dei reclusi. Il sei aprile, nonostante la protesta fosse rientrata, viene decisa una «perquisizione straordinaria» a cui parteciparono 300 agenti, sia interni che esterni (questi ultimi a volto coperto), dirigenti, commissari, ispettori, agenti del Gruppo di supporto degli Interventi.
Vennero spente le telecamere di sorveglianza ma non tutte. Quelle immagini, poi diffuse dalla stampa, mostrarono quale violenza sia stata scatenata su carcerati inermi: calci, pugni, manganellate persino su un uomo in sedia a rotelle. Alcuni costretti a spogliarsi subendo punizioni degradanti, altri trascinati lungo le scalinate interne, file di uomini in ginocchio, faccia al muro, picchiati da gruppi di agenti. I filmati sono diventati un ulteriore elemento a carico delle persone coinvolte poiché costituiscono la smentita delle ricostruzioni false fornite nei giorni successivi, costruite alterando documenti ufficiali.
Ieri si è tenuta l’udienza preliminare, il pm Milita ha chiesto il rinvio a giudizio per 105 imputati più due richieste di rito abbreviato. Esce dal processo invece Luigi Macari avendo dimostrato di non essere stato in servizio quel giorno. La procura per 32 posizioni, ritenute marginali, ha proposto il patteggiamento per snellire il processo ma nessuno ha accettato. Le udienze andranno avanti fino al 7 giugno.
Molto gravi le accuse: tortura, lesioni gravi, falso, depistaggio, violenza privata e abuso di autorità a carico, a vario titolo, di appartenenti al corpo della Polizia penitenziaria e funzionari del Dap. «Operazione pulizia, non si è salvato nessuno» scrivevano nelle chat dopo i fatti. Ai pm un detenuto ha poi raccontato: «Sono stato urinato addosso dalle guardie, ero in una pozza di sangue e mi hanno urinato addosso, sono stato sputato in bocca e in faccia più volte».
Nel raid venne coinvolto anche un detenuto di 28 anni di origine algerina, Hamine Lakimi: nonostante avesse problemi psicologici, fu messo in isolamento subito dopo il pestaggio e poi trovato morto il 4 maggio. La procura aveva scelto di contestare il reato di «morte come conseguenza di altro reato» ma il gip Enea lo aveva classificato come suicidio.
La decisione è stata però impugnata dalla procura, che ha integrato il quadro accusatorio con l’ipotesi di reato di omicidio colposo, morte come conseguenza del reato di tortura. Per il decesso di Lakimi sono indagati l’allora comandante della Polizia penitenziaria di Santa Maria Capua Vetere, Gaetano Manganelli, l’allora capo del Dap in Campania Antonio Fullone, due medici e gli agenti del reparto di isolamento.
«La richiesta di rinvio a giudizio degli indagati è una conferma della fondatezza delle nostre denunce e della volontà determinata di riaffermare il principio di giustizia» il commento di Samuele Ciambriello, garante dei detenuti della Campania, che con le sue denunce ha contribuito a far partire le indagini.
da il manifesto