Marco Preve, attento giornalista di La Repubblica e autore del libro “Il partito della polizia” scrive spesso articoli sull’Impunità’ dei membri delle forze di polizia responsabili di violenze e torture;non solo impunità ma anche promozione di carriera per chi di fatto ha il diritto di commettere reati. In questo articolo ricorda come nel 2013, 17 deputati di Sel chiesero al ministro se fossero stati sanzionati i condannati: mai ottenuta risposta
Questa è la storia di una figuraccia politica della sinistra. Perdipiù, su un tema assai sensibile per i suoi elettori: il G8 di Genova, le violenze, le torture, gli abusi e le impunità poliziesche.
Si dà il caso che il 17 maggio 2013 – un anno dopo le condanne definitive della Cassazione nei confronti dei funzionari e degli agenti di polizia responsabili della macelleria messicana nella scuola Diaz e poi dei falsi verbali per coprire i responsabili delle torture – ben 17 deputati del partito Sel (Sinistra Ecologia e libertà) presentarono una polemica interrogazione con risposta scritta all’allora ministro dell’Interno Angelino Alfano.
Si dà il caso che il 17 maggio 2013 – un anno dopo le condanne definitive della Cassazione nei confronti dei funzionari e degli agenti di polizia responsabili della macelleria messicana nella scuola Diaz e poi dei falsi verbali per coprire i responsabili delle torture – ben 17 deputati del partito Sel (Sinistra Ecologia e libertà) presentarono una polemica interrogazione con risposta scritta all’allora ministro dell’Interno Angelino Alfano.
I 17 chiedevano conto di un alloggio di servizio ancora pagato all’epoca dal Ministero a Francesco Gratteri, l’imputato numero uno della Diaz, e soprattutto chiedevano di sapere se, e in quale modo, tutti i condannati fossero stati sottoposti a sanzioni disciplinari dal Dipartimento di Pubblica Sicurezza.
Quattro anni e mezzo dopo sul sito della Camera lo “stato iter” dell’interrogazione a risposta scritta riporta la dicitura “In corso”. Né Alfano né il suo successore Marco Minniti si sono degnati di rispondere a 17 rappresentanti del popolo italiano.
Quattro anni e mezzo dopo sul sito della Camera lo “stato iter” dell’interrogazione a risposta scritta riporta la dicitura “In corso”. Né Alfano né il suo successore Marco Minniti si sono degnati di rispondere a 17 rappresentanti del popolo italiano.
Ma va anche detto che i 17 appassionati parlamentari, a parte un sollecito dell’ottobre 2013, si sono poi scordati di quella interrogazione. Fa quasi sorridere notare che molti di loro a ogni promozione dei condannati (in questi giorni i contestatissimi casi di Gilberto Caldarozzi diventato numero 2 della Direzione Investigativa Antimafia e Pietro Troiani, l’uomo delle molotov, fresco dirigente del Centro operativo autostrade del Lazio della Polstrada) diramano alle agenzie durissime accuse contro il governo e annunciano interrogazioni. Mai che a qualcuno venga in mente di chiedere di rispondere a quella del 2013.
E con le Camere ormai sciolte non c’è da aspettarsi un sussulto di orgoglio da parte del manipolo che nel frattempo si è pure dissolto come partito e come linea. Val la pena ricordare i nomi di questo storico flop.
Il primo firmatario è Gennaro Migliore, poi passato al Pd e oggi sottosegretario al ministero della Giustizia (basterebbe che telefonasse al suo pari grado del Viminale per ottenere l’attesa risposta) e a seguire: Nicola Fratoianni, il genovese Stefano Quaranta, Ileana Piazzoni, Erasmo Palazzotto, Fabio Lavagno, Arcangelo Sannicandro, Donatella Duranti, Giovanni Paglia, Luigi Lacquaniti, Michele Piras, Nazzareno Pilozzi, Serena Pellegrino, Annalisa Pannarale, Marisa Nicchi, Arturo Scotto, Celeste Costantino.
Una nuova interrogazione al ministro Minniti è stata nei giorni scorsi annunciata dai deputati Andrea Maestri, e Luca Pastorino, esponenti di Liberi e Uguali.Oggetto del loro intervento, la nomina ai vertici dell’antimafia vicedirettore operativo – di Caldarozzi uno dei dirigenti più alti in grado durante l’irruzione nella scuola Diaz. “Indecente” secondo i due parlamentari la nomina avallata dal ministero.
Una nota del Dipartimento di Ps ha spiegato che non si è trattato di una promozione bensì di un’assegnazione legata alle competenze e al grado di Caldarozzi, rimasto lo stesso di quello che aveva ai tempi della condanna.
Quello che la Polizia non dice è che Caldarozzi negli anni in cui è stato prima indagato, poi imputato, quindi condannato in secondo grado, ha ottenuto – e lui come quasi tutti i suoi colleghi un normale avanzamento di carriera.
E questo in barba alle direttive internazionali, più volte ribadite dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nelle sue sentenze che parlano di sospensione già in fase istruttoria e, addirittura, di radiazione, o comunque di assegnazione a uffici non di primo piano, in caso di condanne.
Nei casi Caldarozzi e Troiani, invece, gli incarichi prestigiosi sono stati vissuti anche a livello interno come una precisa volontà dell’amministrazione. Come se, in Italia, non ci fossero per quei ruoli altri funzionari di polizia degni di ricoprirli ma privi di precedenti penali.
Marco Preve
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