La Corte Europea dei Diritti Umani ha ordinato al Governo italiano l’immediato trasferimento dal CPR di Trapani di una persona trattenuta in condizioni materiali degradanti. Una sentenza che riguarda quanto accaduto al CPR di Milo nell’ultima settimana di gennaio e che riteniamo indispensabile ricostruire e condividere grazie alle voci delle persone trattenute.
Un cittadino tunisino richiedente asilo, insieme a numerose altre persone, a seguito dell’incendio del 22 gennaio, era trattenuto in condizioni degradate e totalmente inadeguate, senza alcuna effettiva possibilità di reclamare il rispetto dei propri diritti. È stato quindi presentato un ricorso d’urgenza alla Corte Europea dei Diritti Umani, che, oggi 6 febbraio 2024, ha ordinato il trasferimento della persona trattenuta in un luogo idoneo e la modifica delle condizioni di accoglienza all’interno del CPR di Trapani, affinché la permanenza degli altri cittadini sia rispettosa dei parametri di cui all’art. 3 della CEDU. La decisione della CEDU è di fondamentale importanza perché per la prima volta valuta la legittimità delle condizioni di trattenimento all’interno di un CPR aprendo così la strada per poter sottoporre al suo vaglio anche altre ipotesi relativamente ad altri CPR. Al fine di questa decisione, è stata fondamentale la ricostruzione delle condizioni materiali del centro di detenzione, grazie alle voci delle persone trattenute e ai sopralluoghi organizzati da una rete di diverse realtà e soggettività.
Si tratta di una ulteriore conferma della violenza e dell’inadeguatezza del sistema detentivo italiano destinato alle persone migranti, e delle condizioni particolarmente gravi in cui ancora sono trattenute le persone all’interno del CPR di Trapani.
Infatti, nel primo pomeriggio del 22.01.2024, era stata avviata un’azione di protesta da parte delle persone trattenute all’interno del CPR di Milo (TP), volta a denunciare le indegne condizioni di reclusione, e l’ingiustizia dei rimpatri forzati. Da quel momento, secondo le testimonianze raccolte anche in occasione di una visita presso il CPR in accompagnamento di una parlamentare, le persone ancora trattenute continuano ad essere invisibilizzate, private della loro libertà personale e costrette in condizioni materiali indegne.
In seguito all’incendio, diverse persone venivano trasferite in altri CPR, tra cui quello di Roma – Ponte Galeria. Proprio in quest’ultimo, Ousmane Sylla un ragazzo guineano di 22 anni proveniente dal CPR di Milo, si è tolto la vita impiccandosi con un lenzuolo.
La detenzione amministrativa: un sistema da abolire e denunciare
Premettendo che la detenzione amministrativa non dovrebbe esistere, che costituisce una violenza di per sé orribile e non giustificabile in alcuna forma, quanto accaduto nei giorni scorsi mette in luce ancora una volta l’inadeguatezza strutturale del sistema di detenzione amministrativa italiano. La privazione sistematica della libertà personale di persone provenienti da paesi di origine politicamente ridefiniti come “sicuri”, per di più in condizioni indegne, nella mancanza di informazioni sulle motivazioni del trattenimento, e in assenza di accesso a qualsivoglia servizio e tutela legale continuerà inevitabilmente a generare proteste, atti di autolesionismo, incendi.
A fronte di una volontà governativa sempre più manifesta di interrompere i contatti delle persone trattenute con l’esterno, e di ostacolarne l’esercizio dei diritti fondamentali, sembra essenziale continuare a monitorare criticamente questi luoghi che sono sempre stati, di fatto, dei buchi neri e soprattutto far emergere le testimonianze e amplificare le voci delle persone trattenute.
Lottare contro l’invisibilizzazione delle persone trattenute, denunciando sistematicamente la violenza del regime confinario e le violazioni di diritto che essa genera, è oggi più che mai essenziale.
Gli atti di ribellione che si sono verificati nell’ultimo anno in molti luoghi di confinamento amministrativo, in ultima istanza a Trapani, richiedono più che mai una risposta forte di sostegno anche dall’esterno.
Scrivono le attiviste tunisine, madri e sorelle delle persone disperse o decedute nel Mediterraneo: “alle autorità italiane e ai governi europei chiediamo di assumersi la responsabilità delle violenze verbali e fisiche, delle privazioni della libertà, contro la legge, i diritti, le religioni e l’umanità” e “alle persone solidali domandiamo di restare assieme, accanto a questi giovani che lottano per la libertà!”
Per questo, diverse realtà e soggettività stanno convergendo per formare una rete che possa costruire una narrazione coesa e contraria al silenzio, e ai racconti distorti istituzionali e mainstream.
Le persone che mettono a rischio la propria incolumità per rivendicare la propria libertà non possono ricevere in cambio idranti, manganellate e procedimenti penali. È il dovere di chi è fuori rispondere a questi scempi con rabbia e indignazione, di amplificare queste rivendicazioni e ribadire ancora una volta che tutti i centri di detenzione amministrativa vanno chiusi, immediatamente.
Una ricostruzione dei fatti
Nel primo pomeriggio del 22.01.2024, è stata avviata un’azione di protesta da parte delle persone trattenute all’interno del CPR di Milo (TP), volta a denunciare le indegne condizioni di reclusione, e l’ingiustizia dei rimpatri forzati. In seguito a un primo incendio, che coinvolgeva circa tre settori comunicanti, le persone che erano ivi rinchiuse venivano trasferite in altri settori. Ciò generava una situazione di ulteriore sovraffollamento, nuove proteste, e lo scoppio di un ulteriore incendio verso sera. Secondo quanto riferito, i vigili del fuoco sarebbero riusciti a sedarlo completamente solamente in tarda serata/notte, emettendo un provvedimento di interdizione all’accesso in quei luoghi.
Nonostante le raccomandazioni dei vigili del fuoco, in CPR le persone continuavano ad essere trattenute, e le proteste proseguivano, e venivano sedate dalla polizia con gas lacrimogeni, idranti e manganelli. Secondo le testimonianze raccolte, le 154 persone trattenute al momento dell’incendio venivano successivamente suddivise nelle diverse sezioni, di cui solo due rimaste “agibili”, e chi è stato ristretto nelle sezioni danneggiate e` stato costretto a rimanere nei cortiletti di ciascuna, senza la possibilità di stare al coperto, se non entrando negli spazi bruciati. Nei giorni successivi, oltre 100 persone dormivano all’addiaccio, su materassi di fortuna e sacchi di spazzatura.
Inoltre, il 24 Gennaio, la polizia ha effettuato il fermo di 3 persone, accusate di aver appiccato l’incendio sulla base delle riprese delle videocamere. Il 25 gennaio un gruppo di persone veniva trasferito presso il CPR di Pian del Lago (CL) – anch’esso scosso dalle proteste delle persone recluse nei giorni precedenti; altre venivano smistate in altri CPR italiani. Il 26 gennaio, diverse persone venivano rimpatriate verso la Tunisia. Altre venivano rilasciate, abbandonate in strada, dopo aver ricevuto un decreto di espulsione. Tra loro anche cittadini di paesi con cui l’Italia non ha accordi di riammissione, provenienti dall’Africa occidentale. La sera del 26, un gruppo di attivist@ si è recato al CPR per esprimere solidarietà ai reclusi.
La condizione del CPR durante la visita di una delegazione: le voci delle persone trattenute
In seguito all’incendio, alcune delle persone recluse riuscivano faticosamente a comunicare con l’esterno, rompendo il silenzio mediatico sull’accaduto. Sollecitata dalla società civile, la parlamentare Giovanna Iacono accedeva alla struttura il 28.01, accompagnata dalla rappresentante del PD locale, Valentina Villabuona. L’accesso ai legali delle persone trattenute – facenti parte delle organizzazioni della società civile che avevano richiesto la visita – veniva contestualmente negato. Dopo alcune negoziazioni, veniva autorizzato l’ingresso di un interprete.
Nonostante fossero trascorsi diversi giorni dall’incendio, durante la visita veniva riscontrata una situazione estremamente grave. “Siamo esasperati” – riferiva una persona trattenuta – “non riusciamo a dormire. Non abbiamo letti, non possiamo fare la doccia, c’è un unico rubinetto dal quale esce solo acqua sporca e fredda. Non abbiamo vestiti puliti da giorni.” In queste condizioni, le persone trattenute hanno continuato a protestare e, secondo quanto riferito, “ogni tentativo di protesta è stato represso dalla polizia con idranti, manganelli e lacrimogeni”.
Diverse delle persone con cui è stato possibile parlare solo attraverso le sbarre erano ancora piene di fuliggine per via dell’incendio. Alcune portavano addosso i segni di violenza: lividi e segni di pestaggi recenti. Altre mostravano, attraverso le sbarre, cicatrici risalenti a violenze subite nei paesi di origine.
Tra i reclusi vi erano anche persone con gravi problemi di salute: una persona costretta a portare un busto per problemi alla schiena, un’altra priva di un occhio con necessità di medicazioni quotidiane.
“Riesco a incontrare un medico solo se mi taglio le braccia”, ha riportato un ragazzo, e prosegue: “per curare una parte del mio corpo, sono obbligato a danneggiarne un’altra”. Sebbene la delegazione non abbia visionato il registro degli “eventi critici”, dove dovrebbero essere annotati tentativi di fuga, tentativi di suicidio, atti di autolesionismo, scioperi della fame ed altre forme di protesta, episodi che hanno causato lesioni alle persone trattenute, molte persone hanno riferito che la detenzione ha un impatto deleterio sulla salute mentale, e che gli atti di autolesionismo sono comuni.
Il suicidio di Ousmane Sylla, avvenuto nel CPR di Ponte Galeria in seguito al trasferimento dal CPR di Trapani, ha messo in luce ancora una volta come il sistema di detenzione amministrativa possa avere conseguenze letali sulla salute psicofisica delle persone trattenute. Nel caso di Ousmane, nonostante in sede di colloquio psicologico fossero state rilevate delle importanti criticità, l’ASP di Trapani ne aveva dichiarato l’idoneità al trattenimento; tale “idoneità”, veniva tragicamente smentita dagli eventi.
“C’erano intorno a me tante persone che non stavano bene. Ma a nessuno importava nulla di noi. Ci avevano messo in questo posto, buttati dentro e buttato le chiavi.. cosa si aspettavano che facessimo se non protestare?” ha raccontato un signore, e ha proseguito “Io non mi sono mai sentito trattare così male. Non so se mi riprenderò mai da come sono stato trattato, e dalla paura che ho provato. Non mi aspettavo che questa fosse l’Italia. Mi avevano raccontato tante cose, ma non mi aspettavo questo.”
Pur avendone diritto, la Parlamentare Iacono non veniva fatta accedere alle due sezioni utilizzate per la reclusione per supposti “motivi di sicurezza”. Attraverso le sbarre era comunque evidente che le oltre 50 persone recluse – per la maggioranza richiedenti asilo – si trovassero confinate in spazi totalmente inadeguati, sovraffollati, in condizioni igienico-sanitarie estremamente gravi. Riferivano la pulizia “in fretta e furia” dello spazio effettuata nei momenti immediatamente precedenti all’accesso della delegazione; sempre secondo quanto riferito, la presenza massiccia di forze di polizia in assetto antisommossa venia ridotta poco prima della visita.
In una delle sezioni erano alloggiate circa 36 persone. La maggioranza dormiva a terra, priva di coperte o materassi, con un unico servizio igienico a disposizione. Alcuni dei materassi disponibili erano parzialmente bruciati, dunque sostituiti con coperte o sacchi di spazzatura. Tutte le persone avevano indosso gli stessi abiti dal momento dell’incendio. Come di consueto, lamentavano la scarsissima qualità e l’insufficienza del cibo.
I diritti fondamentali delle persone trattenute parevano evidentemente violati. Oltre alle condizioni di permanenza, indegne, le persone riferivano difficoltà nell’accesso all’assistenza sanitaria, sociale, psicologica. Anche la soddisfazione dei bisogni primari risultava estremamente compromessa, a causa delle condizioni in cui vertevano i servizi igienici, privi di porte.
“Io non riuscivo neppure a fare i miei bisogni, i bagni facevano schifo ed erano tutti aperti; io non potevo andare in bagno davanti a tutti, mi vergognavo” ha riferito un uomo, “forse pensavano che siamo cani…hanno chiuso tutte le porte, per impedirci di uscire, ma non ci lasciavano chiudere la porta del bagno. Eppure no, noi non siamo cani”.
Nonostante la sua presenza al momento della visita, molte delle persone trattenute riferivano di non aver mai visto un medico durante la loro detenzione mettendo gravemente in discussione l’esercizio imprescindibile del diritto alla salute e l’accesso all’assistenza medica. Inoltre, diverse persone manifestavano la mancanza assoluta di informazioni, che dovrebbero essere assicurate ai sensi della normativa interna, sulla propria situazione giuridica, e sulle ragioni del trattenimento.
“Non importa se sto dormendo a terra, se fa freddo, se non c’è acqua. Posso sopportarlo”, riporta un ragazzo, “quello che non posso sopportare è di essere chiuso qui dentro senza sapere il perché”.
Assolutamente violato il diritto delle persone trattenute di comunicare con l’esterno, a causa dell’inaccessibilità delle cabine telefoniche, e dalla proibizione illecita di utilizzare cellulari o altre forme di comunicazione. Ciò inficiava completamente l’accesso alla tutela legale, già compromesso quando il CPR funzionava a pieno regime, e l’esercizio dell’inviolabile diritto di difesa – già rilevato come gravemente compromesso in molteplici occasioni.
Tutte le persone con cui si è riusciti a comunicare erano terrorizzate dall’eventualità di un rimpatrio che – per molte di loro – potrebbe effettivamente compiersi.
“Io ero qui e l’unica cosa che non volevo era tornare nel mio paese, dove se fossi tornato mi avrebbero ucciso. Dunque ogni notte avevo il terrore, la paura costante di essere rimpatriato” ha riferito uno degli uomini trattenuti a Milo durante l’incendio.
Nella giornata di lunedì, le persone ancora all’interno del CPR riferivano il rimpatrio verso la Tunisia di diverse persone richiedenti asilo, dunque formalmente non rimpatriabili; sembrerebbe inoltre che ad alcune persone sia stata fatta firmare la rinuncia alla richiesta di protezione internazionale, rendendo in questo modo possibile il loro rimpatrio. Sempre secondo quanto riferito, una delle persone rimpatriate si troverebbe attualmente in carcere in Tunisia per reati di opinione: al momento del rimpatrio era in attesa di sospensiva da parte del Tribunale di Palermo.
Secondo le dichiarazioni rilasciate dalla Parlamentare Iacono in seguito alla visita, il centro sarà chiuso per ristrutturazione in seguito al trasferimento di tutte le persone che vi sono ancora (in ogni caso indebitamente) trattenute. Ciò nonostante, ad oggi la struttura è ancora aperta, e le persone si trovano ancora nelle condizioni rilevate nei giorni scorsi.
ARCI
Arci Porco Rosso
Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI)
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