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Tre storie di ordinaria ingiustizia

Un dna che ci mette mesi per scagionare un rumeno, una foto proibita della mamma, e una strana assoluzione. Ma alla politica interessano?

A suo tempo la storia fece notizia, su giornali e televisioni. La storia era all’inizio. Poi, come tutte le storie si è conclusa. E non ha fatto più notizia. La procura di Brescia archivia l’inchiesta a carico di un romeno 32enne che nell’ottobre 2016 ha trascorso 45 giorni in carcere con l’accusa di violenza sessuale ai danni della vicina di casa di 87 anni. A scagionare l’uomo è stata la prova del Dna, che ha stabilito che le tracce biologiche presenti sulle lenzuola della donna, che aveva sporto denuncia, non appartenevano all’uomo, ma a un vicino di casa con il quale l’anziana intratteneva una relazione. Un mese e mezzo di carcere nel 2016. Gennaio 2018 archiviazione. Sedici mesi per il Dna che scagiona e proscioglie.

Un’altra notizia che non fa notizia. Sequestrata la fotografia della madre, deceduta a un detenuto sottoposto al 41bis. Motivo: superava di 8 centimetri le misure massime consentite. Tommaso Costa, esponente di spicco dell’omonima cosca della ‘ ndrangheta di Siderno, vicino Reggio Calabria, la teneva con sé nella cella del carcere di Viterbo.

La Cassazione ha accolto il suo ricorso, stabilendo che quel provvedimento è contrario ai principi di umanità. Ora ripercorriamo questa vicenda al rallentatore. Un agente di polizia penitenziaria si accorge che la fotografia deborda di ben 8 centimetri. L’avrà misurata. Fa subito rapporto, magari al direttore del carcere.

Scatta il provvedimento di sequestro. Il detenuto ritiene la cosa ingiusta e si rivolge al suo avvocato. Ne nasce un contenzioso, che per arrivare in Cassazione avrà necessariamente visto un primo e un secondo grado. Tutto questo ambaradan per otto centimetri di fotografia…

Non basta violare la legge.

Perché scatti la sanzione occorre l’elemento psicologico del reato. Cosa sia questo elemento non è chiaro. Bisogna chiederlo ai giudici del tribunale di Bologna. Sono loro, con questa motivazione ( mancanza dell’elemento psicologico del reato), che hanno assolto l’ex consigliera PD Rita Moriconi per aver messo a rimborso un sex toy acquistato il 29 novembre 2010. Sarà interessante leggere la sentenza quando verrà resa nota.

Italia, dolce paese, dove chi rompe non paga le spese, e dove chi urla più forte ha ragione. Annota Leonardo Sciascia: «patria del diritto, e del suo rovescio». Il 4 di marzo si andrà a votare per il nuovo Parlamento e per chi ci dovrà governare.

Non ci resta che augurarci buona giornata; e in bocca al lupo.

Valter Vecellio

da il dubbio