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Trieste 9 marzo 1985: Pedro Greco “giustiziato” dalla Stato

Nel corso dell’operazione di polizia, viene ucciso,  benché disarmato e senza abbia opposto resistenza, il militante di autonomia operaia Pietro Maria Greco. Il Questore della città è Antonino Allegra, già capo dell’ufficio politico milanese al tempo del ‘suicidio’ di Giuseppe Pinelli.

– Pietro Maria Walter Greco nasce a Mileto Porto (RC) il 4 marzo 1947
– si trasferisce in Veneto alla fine degli anni sessanta
– nel ’79 si trasferisce a Padova e si iscrive a statistica, dove si laurea
– lavora come insegnante di matematica in una scuola media di Padova
– viene inquisito e prosciolto per i Collettivi Politici Veneti nell’inchiesta contro l’autonomia veneta nella primavera ’80
– nel 1982 viene nuovamente inquisito
– va in esilio a Parigi
– viene ucciso dalla polizia a Trieste il 9 marzo 1985

[Pedro esce di casa, dall’appartamento al terzo piano; una volta giù decide di rientrare.
Appostati all’esterno ci sono 4 sicari dello Stato italiano. Sono Nunzio Maurizio Romano, agente del Sisde (che ha il compito di riconoscerlo); Giuseppe Guidi, viceispettore della Digos; Maurizio Bensa e Mario Passanisi, agenti della Digos di Trieste. Il Romano, il Guidi e il Passanisi entrano nello stabile e si mettono in agguato nel sottoscala.
Quando Pedro discende le scale il Romano gli si para davanti e spara due colpi calibro 38 a meno di mezzo metro di distanza che lo colpiscono ai polmoni. Immediato il fuoco incrociato degli altri due poliziotti killer che colpiscono Pedro con pallottole calibro 9 alla spalla e alla gamba. Nel piccolo atrio si conteranno successivamente i segni di almeno una dozzina di colpi.

Pedro fa appello per l’ultima volta alla sua straordinaria forza di volontà, uscendo in strada e impedendo così che tutto si svolga senza testimoni. Esce, ferito mortalmente, parecchi passanti lo sentono gridare “mi vogliono ammazzare mi vogliono ammazzare”. Il Bensa, rimasto all’esterno dello stabile, appena vede Pedro gli spara, alle spalle. Pedro si accascia sanguinante dopo pochi metri. Il Passanisi lo ammanetta.
Trasportato in ospedale con notevole ritardo, muore verso le 11.50] *non è tratta dal libro

Documenti prodotti da organizzazioni armate per la persone o per l’evento in cui ha incontrato la morte
– Franco Fortini, “A Mino Martinazzoli”, in Lettere da Lontano, L’Espresso 16 novembre 1986
“L’assoluzione -tale è la sentenza di Trieste- di chi ha ucciso Greco non è sorprendente; né l’indifferenza dei partiti politici, da quelli che difendono “la vita” a quelli non contrari al terrorismo in uniforme (tornava in Francia, emigrato politico; agenti in borghese vanno a prelevarlo; fugge, sparano, lo ammazzano. “Sembrava avere un’arma” dicono. Era disarmato. Due condanne a 8 mesi, condizionale e non iscrizione). Quando leggo di sentenze come quelle non penso ai criteri dei giudici ( lei, ex ministro di giustizia ne sa più di me). Prima di tutto perché dei fatti so solo quel che se ne lesse.
E poi perché ho paura e sto molto attento a non violare il Codice penale. (Quello della calunnia, non ho più l’età per temerlo).
Purtroppo o fortunatamente è vero però che i responsabili dei quali mi interesso – e dunque non delle uccisioni né della sentenza ma del loro significato – non sono coloro che hanno sparato né coloro che 2ne hanno benedette le mani con un sorriso”, come tanti anni fa ebbi a scrivere per l’uccisione di Serantini; sono i politici e i loro portavoce ossia i giornalisti e gli operatori della comunicazione che quei significati conferiscono o lasciano conferire. Lei, caro Martinazzoli, è di buone letture. Mi permetta di rammentarle due versi di Baudelaire. Il “tu” invocato è Satana ma, per un cristiano, potrebbe essere il Sommo Bene: “Tu che al proscritto dai lo sguardo calmo e nobile / che intorno a un patibolo danna un popolo intero”.
Non so se l’ucciso fosse colpevole alcunché; proscritto senza dubbia, se tornava da una sua emigrazione politica. Condannato a morte da alcuni specialisti fra dipendenti di due o tre ministri con i quali, fino a poco tempo fa, lei sedeva per il bene della Repubblica, Greco non era su un palco in attesa della lama o della corda.
Non aveva “le regarde calm et haut”. Gridava: “mi vogliono ammazzare, aiuto!”
Ma il popolo intero che la sua morte condanna e danna, quello sì, c’era. Mi basta scendere per la via per incontrarlo. E’ il nostro popolo, la gente che amiamo e stimiamo apparentemente inseparabile da quella che, forse insieme ai più, detesto, e , debbo pur dirlo, odio e vorrei veder ridotta non alla ragione (che è impossibile ormai) né al pentimento (che non è in mio potere) ma all’impotenza almeno. E’ il popolo che ascolta distratto o ignora cronache come quella di Trieste; e si danna così.
Non credo alla giustizia della storia, che è di invendicati. Né che l’accumulo di sopraffazioni, latrocini, corruttele, oppressioni dei deboli e beffe della giustizia, debba finire, prima o poi, col muovere le pietre e la gente. Tutt’altro. Chi non guarda più i telegiornali, se proprio non si trova sulla traiettoria dei proiettili della Digos, avrà altre cose cui pensare invece della intenzionale o preterintenzionale trasformazione, grazie a quei piombi, di un giovanotto in un fantoccio da obitorio.
Oggi, voglio dire, Nemesi sceglie vie invisibili, come nelle viscere del fall-out atomico. Il giusto ne è punito quanto il peccatore, a riprova che in ognuno dei due c’è una quota dell’altro. Lentamente, giorno dopo giorno, una impercettibile diminuzione dell’ossigeno morale annichilisce cellule, rabbercia circuiti vivari e precari. Come certe specie di anfibi adatti alle spelonche, che hanno ancora occhi ma senza uso o bisogno di vista, così intere generazioni possono convivere con una crescita di tossico storico negli alveoli. 
E’ quel che chiamiamo decadenza; di popolo o di continente: solo vera punizione attribuibile al Tribunale della Storia di cui parlò Hegel. Grazie a quest’ultimo, non dimentico che essa va di pari passo col suo contrario. Scopro, pieno di ammirazione, prove di vitalità, qualità, coraggio, severità di cui questa nazione è ricca e capace; e poi, quando tali forze positive siano, come oggi, offese e sprezzate, se ne cerchi allora al di là dei confini la amicizia vittoriosa… La “denuncia” di quella cosa che non oso neanche definire, dico la sentenza di Trieste, mi parrebbe stolta eloquenza senza seguito di azioni, foss’anche minime, com’è di scriverle questa lettera. Perché leri, caro Martinazzoli, ha poteri che io non ho. Mi creda, con ogni rispetto, suo Franco Fortini”.

(…) Cosa dire di un compagno per noi indispensabile?
Pedro lo ricordiamo sempre accanto a noi  dalle lotte degli universitari, a partire dal ’68, alle lotte in mensa come lavoratore dell’Opera, a quelle dei precari della scuola. Per questo, per la sua internità alle istituzioni di movimento, a quelle stesse lotte che ci hanno unito e che tuttora ci uniscono, Pedro ha subito varie inquisizioni da parte di Kaloegero (inquisizioni suffragate solo dalle parole dei pentiti, puntualmente crollate).
Ancora una volta in prima fila, al primo posto, pronto a pagare di persona, duramente, con ulteriori anni di latitanza, sospensione dal lavoro, riduzione del proprio reddito strappato con le unghie a questa società di merda, per creare migliore qualità della vita.
Pedro, 38 anni, Pedro accanto ai giovani del centro sociale “Nuvola rossa”, accanto a quella che era la sua classe di appartenenza, quella degli sfruttati, dei senza-casa, dei senza reddito, di chi non si lascia sconfiggere, di chi continua comunque a lottare.
Lo ricordiamo durante le lotte del censimento con noi proletari disoccupati, con noi per la solidarietà, per internità, perché Pedro era così. E così lo vogliamo vivere, nelle nostre lotte, non come un ricordo ma come una presenza sempre viva, in mezzo a noi, indispensabile fino in fondo, ricordando anche il suo sforzo estremo.
Ci piace immaginarlo così: che corre fuori dall’atrio di quel condominio-tomba di via Giulia a denunciare con voce forte, ancora una volta, purtroppo l’ultima per lui, che lo Stato uccide ma che questa volta non sarà possibile mistificare, non sarà possibile creare la montatura, il “mostro” (…)
Grazie compagno Pedro per quello che ci hai saputo dare, grazie compagno per la forza che ancora ci tiene vivi, incazzati e mai arresi, insieme a te e adesso anche per te.
A pugno chiuso compagno nostro, col sangue agli occhi, tu ci mancherai molto perchè tu sei per noi tutti uno degli indispensabili”.

-Claudio Latino, carcere Due Palazzi, 13 marzo 1985
“Parlare di Pedro, della sua vita, della sua figura di compagno a questo punto è struggente. Molti lo hanno conosciuto e ancora di più ne avranno sentito parlare. Senza retorica si può dire che pochi hanno la sua capacità di comunicare e socializzare, la sua carica e la sua determinazione, la sua intelligenza e la sua coerenza”.

Tratto da “Sguardi Ritrovati”, vol. 2 del Progetto Memoria. Edizione Sensibili alle Foglie
da baruda.net

Controinchiesta sull’uccisione di Pietro “Pedro” Greco