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Trieste: Disabile muore come Aldrovandi ma il pm chiede l’archiviazione

Dopo la colluttazione Rasman sanguinava. Era ferito al volto e alla testa. Fu ammanettato con le mani dietro la schiena e gli furono legate le caviglie con il fil di ferro. Quattro agenti gli premevano sulla schiena e lo lasciarono prono per alcuni minuti. Rasman iniziò a respirare affannosamente. Così forte che i vicini lo sentirono rantolare. Quando smise diventò cianotico. Solo allora lo voltarono. Quando giunsero, gli uomini del 118 non poterono far altro che constatare la sua morte. Il racconto di Haidi Giuliani, senatrice del Prc che a tal proposito interroga il ministro degli Interni, non lascia molto all’immaginazione. Riccardo Rasman sembra essere morto come Federico Aldrovandi, il diciottenne ferrarese morto in un violentissimo, e ancora per molti versi misterioso, “controllo” di polizia. Oggi, a Trieste, sarà celebrata davanti al Gip l’udienza preliminare che dovrà decidere sulla richiesta di archiviazione.I punti di contatto con la vicenda Aldrovandi non si fermano alle dinamiche della morte, alla scena riscontrata dal personale del pronto soccorso. Le indagini sui fatti – era il 27 ottobre del 2005, 32 giorni dopo il “controllo” all’ippodromo di Ferrara – vennero effettuate, su delega del pubblico ministero, dagli stessi poliziotti coinvolti nella colluttazione. Proprio come a Ferrara dove però, solo dopo una lunghissima controinchiesta dei legali della famiglia Aldrovandi, è iniziato un processo per omicidio colposo lo scorso ottobre. A Trieste, invece, il pm Mortone ha chiesto l’archiviazione ritenendo che i quattro agenti abbiano agito nell’adempimento di un dovere, quindi con pieno diritto, pur essendo stato accertato dalla perizia medico legale disposta dallo stesso pm che Rasma sia morto per «asfissia posturale» causata dall’azione dei quattro agenti. Anche qui sembra di leggere uno dei capitoli della perizia sulla morte dell’Aldro, così era soprannominato il diciottenne ferrarese, pacifico e incensurato che tornava a casa all’alba una domenica mattina dopo una nottata con gli amici in un centro sociale di Bologna. Il suo solo torto, probabilmente, essere uscito senza documenti, di essersi sentito male, forse, o di sembrare «uno dei centri sociali» in un parchetto dove sarebbe stato rintracciato un motorino rubato, oppure somigliare a uno dei migranti che frequentano la chiesa di Viale Krasnodar. Riccardo Rasman era più grande di lui. Era nato il 5 agosto del ’92. A vent’anni, mentre faceva il militare, subì la “normale” violenza del nonnismo. Da allora non si riprese, iniziò a manifestare una sindrome schizofrenica paranoide. Solo undici anni dopo, dopo un ricorso della Corte dei conti contro il ministero della Difesa, si vedrà riconoscere l’infermità dipendente da causa di servizio. Lavorava ogni giorno nel campo dei suoi. Gli infermieri del centro di salute mentale di Domio lo ricordano «gentile, metodico, disponibile». Da quando aveva ottenuto il monolocale nelle case popolari di Borgo S.Sergio stava vivendo un buon periodo. Quel 27 ottobre era un giovedì ed erano passate da poco le otto di sera. Rasman era da solo in casa. Ma quella sera era agitato. Con la radiolina accesa, con la musica “a palla”, uscì nudo in balcone e da lì lanciò due petardi uno dei quali cadde vicino ai piedi della figlia del portiere dello stabile, abbastanza vicino da avvertire il 113. Quando la polizia arrivò Rasman era già rivestito, steso sul letto, spaventato. Non voleva aprire quella porta. I vicini diranno che ormai era calmo, s’era seduto sul letto. Gli agenti chiamarono i vigili del fuoco per entrare. La porta fu sfondata, scoppiò la colluttazione. Rasman era alto 1 metro e 85, pesava 120 chili ma i poliziotti lo riuscirono a immobilizzare. Come sia andata a finire si sa già.Perché utilizzare metodi tanto brutali contro un invalido psichico? Perché la polizia ha indagato sulla polizia in una città, Trieste, dove non mancano certo altri corpi di polizia giudiziaria? Sono le domande che Haidi Gaggio (la mamma di Carlo Giuliani, la cui uccisione a Genova nel 2001 da parte di un carabiniere è stata archiviata come legittima difesa nonostante agli atti esista un filmato che mostra il ragazzo chinarsi sull’estintore solo dopo aver visto la pistola impugnata), rivolge al ministro Amato proprio nel giorno in cui il governo nomina come vice di Manganelli il questore di Napoli che gestì le prove generali del G8 quando i manganelli divennero tonfa e furono sequestrati e torturati alcuni manifestanti in una caserma della polizia. Circostanza che rende vana la terza domanda della senatrice su come intenda il ministro fare chiarezza su certi episodi che sfociano in tragedia. A osservare il dopo G8 si evince che, in genere, se ne promuovono i protagonisti. E i Manganelli diventano Tonfa.