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Trieste: immigrata suicida, quattro poliziotti indagati per sequestro

La vicenda è intricata, e ci sono voluti quasi tre anni prima che l’inchiesta sortisse qualche effetto.
il procuratore Carlo Mastelloni ha illustrato poche ore fa alla stampa le conclusioni a cui ha portato il fascicolo da oltre 10.000 pagine di atti, più altri 246 fascicoli personali di altrettanti cittadini stranieri coinvolti nel ruolo di vittime.

Il 16 aprile del 2012, una donna ucraina di 32 anni, Alina Bonar Diachuk, venne trovata senza vita all’interno di una cella del commissariato di polizia di Villa Opicina, una frazione di Trieste. L’immigrata venne ritrovata “impiccata” con un cordone della sua felpa ad un termosifone della camera di sicurezza dove era rinchiusa ormai da due giorni. A parte le strane circostanze della morte a insospettire gli inquirenti il fatto che secondo le prime indagini la donna non avrebbe dovuto essere fermata. Era stata infatti accusata di “favoreggiamento dell’immigrazione” ma aveva patteggiato, ed era stata quindi liberata per essere trasferita teoricamente nel Cie – Centro di Identificazione ed Espulsione – di Bologna. Dove però non è mai arrivata, visto che appena uscita dal tribunale di Trieste fu prelevata da una pattuglia della Polizia e di lei si persero le tracce fino al ritrovamento del suo cadavere due giorni dopo. A destare l’interesse degli investigatori anche il fatto che nessuno, nel commissariato, si accorse per ben 40 minuti che la ragazza stava agonizzando nella cella, nonostante una telecamera a circuito chiuso trasmettesse in diretta le immagini su un monitor di sorveglianza e che la ragazza avesse già tentato il suicidio in carcere e fosse quindi ‘a rischio’.

Ora, a distanza di anni, la Procura della Repubblica di Trieste ha notificato l’avviso di conclusione delle indagini all’allora dirigente dell’Ufficio Immigrazione, accusato di sequestro di persona aggravato, e a tre agenti del Commissariato, accusati invece di “violata consegna” e “morte come conseguenza di altro reato”. Il sequestro di persona è stato notificato non solo al dirigente dell’Ufficio Immigrazione di Trieste, ma anche al suo vice e a quattro suoi collaboratori, in relazione ad altri episodi simili.
Infatti le indagini avrebbero accertato che Alina non fu l’unica immigrata ad essere trattenuta nella cella del commissariato senza che contro di lei fosse stato spiccato alcun provvedimento restrittivo della magistratura e che anzi si trattava di una prassi usuale. Di fatto gli inquirenti non imputano ai quattro l’uccisione della giovane – che temeva ritorsioni da parte di organizzazioni criminali del suo paese – ma di aver concorso al suo suicidio e di aver arrestato illegalmente delle persone attraverso una gestione ‘fai da te’ della legge.

Fulcro della vicenda è Carlo Baffi, a lungo capo di quello che lui definiva “Ufficio Epurazione” con un cartello affisso vicino alla sua scrivania, in bella mostra insieme a una foto di Benito Mussolini e a un fermacarte con il motto fascista “Boia chi molla”. Nel corso di una perquisizione dopo la morte della donna, hanno raccontato i media locali, a casa del dirigente vennero ritrovati libri come Il “Mein Kampf” di Adolf Hitler, “La difesa della razza” di Julius Evola o “Come riconoscere e spiegare l’ebreo” di un certo George Montandon (un antisemita morto nel 1944, probabilmente giustiziato dai partigiani francesi), un busto e vari poster di Mussolini e altri materiali inequivocabili.
Ma l’interesse di Baffi per certi temi venne giustificato da alcuni sindacati di polizia affermando che erano un’eredità di quando il dirigente lavorava per la Digos.
E la solidarietà dei sindacati non è mancata neanche al momento della chiusura delle indagini. Scrive la Segreteria Provinciale Silp Cgil di Trieste: “Desideriamo esprimere piena ed assoluta fiducia nei confronti dell’operato della Magistratura, auspicando che sia fatta piena luce su questa triste vicenda, arrivando al più presto a ricostruire nella loro interezza i fatti accaduti, individuando, qualora ce ne fossero, eventuali responsabilità, che non dovrebbero essere ascritte e ricadere solamente su chi non ha fatto altro che ‘eseguire degli ordini‘. Cogliamo l’occasione – continua il comunicato – per ribadire con forza l’assoluta inidoneità dei locali e degli spazi assegnati ai colleghi che si occupano quotidianamente del ricevimento dei migranti che ogni giorno vengono accompagnati o si presentano autonomamente presso la Questura, sfuggendo da tristi realtà che li costringono ad essere spesso vittime di trafficanti di esseri umani senza scrupoli”.

Luca Fiore da Contropiano