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Trieste: per il "suicidio" di Alina indagati altri due poliziotti

Nessun provvedimento contro il vicequestore accusato di sequestro di persona e omicidio colposo, che si è messo in ferie. Altri due poliziotti indagati per la morte, in un commissariato di Trieste, della giovane Alina.
Nuovi sviluppi sul caso del vicequestore di Trieste Carlo Baffi, indagato per sequestro di persona e omicidio colposo in relazione alla morte di una ragazza ucraina che si sarebbe suicidata all’interno di una stanza del commissariato di Opicina (una frazione del capoluogo friulano) mentre era in stato di fermo illegale e senza che gli agenti di guardia intervenissero per salvare la 32enne.

Da ieri mattina Carlo Baffi non è più responsabile dell’ufficio immigrazione della Questura di Trieste. Non potrà, almeno per ora, sfoggiare né il busto di Mussolini né la targa ‘Ufficio Epurazioni’ ben visibili finora a chiunque accedesse al suo ufficio.

Ma il dirigente di Pubblica Sicurezza accusato di reati gravissimi e dalle evidenti tendenze fasciste e razziste non è stato rimosso dal suo incarico. No, si è messo in «congedo ordinario», cioè in ferie. Nessun intervento da parte dei suoi superiori, quindi. E paradossalmente sarà lui stesso a decidere quando tornare in servizio. «Baffi ha ritenuto, ed è il minimo che potesse fare, di prendere qualche giorno di riposo» commenta come se nulla fosse il questore di Trieste, Giuseppe Padulano.

Eppure il dirigente non è accusato solo del sequestro di Alina e di omicidio colposo per non aver impedito il suo ‘suicidio’. Ma anche di aver perseguitato altri 49 cittadini stranieri, un numero che si desume dai documenti che sono stati sequestrati a Baffi durante le perquisizioni dei giorni scorsi ma che potrebbero essere anche più alti.

«Il dottor Baffi si trova a casa a Trieste per cercare di definire al meglio la sua linea difensiva. Non lavora. Deve studiare gli atti che lo riguardano in vista delle inevitabili contestazioni da parte della procura», ha dichiarato ai giornali locali il suo difensore Paolo Pacileo dopo che nei giorni scorsi aveva chiesto al Tribunale del riesame di Trieste di annullare il verbale di sequestro dei libri e dell’altro materiale prelevato mercoledì dell’altra settimana a casa di Carlo Baffi. Una prova importante, perché dimostra che l’azione criminale e continuata nel tempo del suo cliente è da considerarsi conseguente alla sua ideologia razzista e xenofoba, formatasi su letture di testi della ‘tradizione’ fascista e nazista e antisemita: da Julius Streicher ad Adolf Hitler a Julius Evola. A casa sua i colleghi hanno trovato una biblioteca assai vasta di testi politici di estrema destra e di libelli razzisti e antisemiti risalenti anche al ventennio e al Terzo Reich. E qualche libro di Marx o Lenin, che secondo il suo legale dimostrerebbe che tutti i testi erano stati raccolti da Baffi esclusivamente per motivi professionali. Una normale collezione per chi ha lavorato nella Digos, come hanno scritto in un comunicato di solidarietà col vicequestore quelli dell’l’Associazione nazionale dei funzionari di polizia.

Un dirigente di Polizia deve conoscere cosa pensano e scrivono gli estremisti di destra e di sinistra…

Ma a quanto pare il vicequestore di Trieste si è premurato di mettere in pratica solo gli ‘insegnamenti’ di chi professa la discriminazione razziale e la persecuzione del diverso, dello straniero. E che la tesi difensiva dei suoi difensori non regga lo dimostrano il ritratto del Duce e la targa con su scritto ‘ufficio epurazione’ di cui sopra. Una chiara identità politica fascista che Baffi si è premurato di riprodurre ampiamente anche nella sua abitazione: addirittura nel suo bagno i finanzieri hanno trovato un manifesto fascista e in una nicchia una copia del libro di Adolf Hitler, il Mein Kampf.

Insomma per ora il vicequestore rimane a piede libero, in ferie. Però nel frattempo l’inchiesta diretta dal pm Massimo De Bortoli si è allargata anche a due poliziotti, in servizio al commissariato di Opicina, incaricati della vigilanza dei monitor a circuito chiuso nelle ore in cui Alina Bonar Diachuk era stata illegalmente imprigionata e decise di togliersi la vita. Nei loro confronti è stato emesso un avviso di garanzia per “violata consegna” e “omicidio colposo”. “Alina – scrive Cinzia Gubbini su ‘Il Manifesto’ – aveva patteggiato una pena il 13 aprile, ed era stata scarcerata il 14, un sabato. Il suo avvocato le aveva spiegato che sarebbe stata lasciata libera anche se avrebbe ricevuto un decreto di espulsione perché nel fine settimana non ci sono i tempi tecnici per la sentenza del giudice di pace e il decreto prefettizio. Invece la ragazza è stata prelevata da una volante della polizia, portata in commissariato, e lì rinchiusa in attesa del lunedì. Uno zelo non richiesto, lesivo della libertà personale poiché per essere detenuti è necessario un vaglio giurisdizionale”. Un sistema ampiamente collaudato e non un episodio a sé.

Finora 3 indagati, e il sospetto che gli altri colleghi sapessero e tollerassero le tremende attività della squadraccia guidata da Baffi. Ma il questore Padulano nega l’evidenza: «Se ci sono profili di illegittimità nella nostra azione, ce ne prenderemo la responsabilità. Ma non si dica che questa è la questura degli orrori, perché non è vero. E lo dimostrano gli attestati di stima che stiamo ricevendo in queste ore difficili». Attestati di stima che però Padulano non elenca e che, casomai, dimostrano quanto siano marci gli apparati giudiziari di questo paese.

E anche in città lo sdegno per quanto accadeva da mesi non ha dilagato. Martedì circa duecento persone – Occupy Trieste, centri sociali, Fiom, Sel, Rifondazione comunista, qualche associazione antirazzista – hanno manifestato in rappresentanza della ‘città degna’, per chiedere verità e giustizia sulla vicenda.

Ma Trieste, si sa, è “terra di frontiera” e, come si è giustificato Padulano, combattere l’immigrazione clandestina con le leggi e gli strumenti a disposizione è complicato…
Marco Santopadre da Contropiano