Tra attacchi jihadisti, colpi di Stato e interventi della Wagner, per i tuareg si profilano tempi bui. Soprattutto in Mali.
di Gianni Sartori
Lo ammetto. Interpretare quanto sta avvenendo in Niger, Mali e Burkina Faso (tra golpe, mini-golpe e ribellioni variamente intese) come la nuova decolonizzazione del XXI potrà apparire semplicistico, “troppo facile”. In particolare parlando della Wagner, non è certo agevole attribuirvi funzioni di emancipazione per le ex colonie africane ancora in qualche modo “sotto tutela” (in particolare da parte della Francia). Così come non è semplice decifrare la reale portata della complessiva presenza russa nel Continente.
A complicare ulteriormente il quadro, la permanenza, deleteria, di gruppi jihadisti sempre più aggressivi e quella delle potenziali vittime designate di turno (il solito”vaso di coccio”): i tuareg.
In luglio lo scenario sembrava in qualche modo essersi tragicamente semplificato. Mentre il Gruppo di sostegno all’Islam e ai musulmani (Gsim/Jnim), una succursale di Al Qaeda nel Maghreb islamico (AQMI), rivendicava l’abbattimento di un elicottero della Wagner in Mali (dove la giunta golpista di Assimi Goita è al potere dal maggio 2021 con il sostegno di un migliaio di mercenari della organizzazione di Prigozhin impiegati contro le milizie jihadiste), i tuareg, firmatari degli accordi di Algeri (2015) di riconciliazione con il governo di Bamako, scoprivano di ritrovarsi praticamente abbandonati dalla missione onusiana (Minusma) in procinto di ritirarsi (come richiesto dal governo maliano).
Al punto di doversi rivolgere alla Russia. O almeno così sembrava dopo l’incontro tra il Coordinamento dei movimenti dell’Azawad (Cma) con l’ambasciatore russo Igor Gromyko che avrebbe dovuto garantire il sostegno di Mosca contro gli attacchi jihadisti. Ovviamente la situazione si era complicata dopo la “crisi interna”, la fallita ribellione di giugno del capo della Wagner contro il presidente russo.
A far precipitare la situazione – stando alle dichiarazioni di un portavocedel CMA (Coordinamento del Movimento dell’Azawad) – l’attacco congiunto di esercito maliamo e Wagner contro i tuareg a Ber (a seguito dell’evacuazione dei caschi blu) nella regione di Timbuctu.
In proposito ci sarebbero notizie contraddittorie. Mentre l’esercito maliano affermava di “aver preso possesso del campo di Ber”,il CNA dichiarava di “tenere sotto controllo la situazione”.
Ovviamente dopo questo episodio andavano ulteriormente deteriorandosi le relazioni tra il governo e i tuareg. Tanto che il CMA chiedeva ai suo rappresentanti di lasciare Bamako motivando tale richiesta con la “mancanza di dialogo e di interlocutori sulle questioni di fondo”.
Probabilmente il sanguinoso attacco della settimana scorsa (una brutale violazione del “cessate il fuoco” concordato ancora nel 2014) costituisce la classica goccia che ha fatto traboccare un vaso già colpo di suo. Soprattutto per la prevista definitiva sostituzione di Minusma con le truppe maliane (FAMA) e con i mercenari della Wagner. Ufficialmente in chiave anti jihadista, ma- è il legittimo timore del CMA – anche a spese degli accordi di Algeri (di cui la giunta ora al potere sembra non voler tener conto) e quindi contro i tuareg.
Il popolo nomade tuareg (i kel tamasheq, “quelli che parlano il tamasheq”, ben oltre un milione di persone), oltre a vaste aree sia del Mali che del Niger, abita, percorre anche alcune zone di Algeria, Burkina Faso e Libia.
E – volenti o nolenti – i “Curdi dell’Africa” (https://ogzero.org/il-deserto-diventa-pantano-in-libia/) costituiscono un elemento imprescindibile per qualsiasi progetto politico .nella regione del Sahel.
Nel frattempo il 13 agosto i tagliagole del “Gruppo di sostegno all’Islam e ai musulmani” hanno rivendicato altri due attacchi, sempre a Ber, contro Minusma, quasi a volerne accelerare l’annunciata e avviata smobilitazione.
Un bel casino.
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