A Tunisi la polizia ha risposto violentemente alle proteste indette da diversi movimenti di opposizione contro il colpo di forza del presidente della Repubblica Kais Saied imposto il 25 luglio scorso. Idranti, manganelli, bastoni e colpi di arma da fuoco sparati in aria sono stati usati per impedire ai manifestanti di accedere ad avenue Bourguiba
Il clima in Tunisia è radicalmente cambiato. Nell’anniversario della cacciata del despota Zine El-Abidine Ben Ali nel 2011, a Tunisi la polizia ha risposto violentemente alle proteste indette da diversi movimenti di opposizione contro il colpo di forza del presidente della Repubblica Kais Saied imposto il 25 luglio scorso.
Idranti, manganelli, bastoni e colpi di arma da fuoco sparati in aria sono stati usati per impedire ai manifestanti di accedere ad avenue Bourguiba, l’epicentro della giornata di ieri.
A questi gesti palesi sono seguiti diversi arresti il cui numero è difficile da quantificare: «Della Coalizione dei partiti socialdemocratici sono almeno quattro i fermati – commenta al manifesto Majdi Karbai, deputato tunisino eletto in Italia con la Courant Démocrate e rientrato per la prima volta in Tunisia una settimana fa – Quello che è successo è preoccupante, la situazione è degenerata e non c’è più la libertà di manifestare».
Le proteste contro il colpo di mano di Saied andavano avanti da settimane con un tasso di partecipazione non elevato. Ieri le persone scese per strada sono rimaste le stesse, ad aumentare è stato il grado di tensione e di repressione utilizzato dalle forze dell’ordine.
Mercoledì 12 gennaio il governo ha annunciato un coprifuoco nazionale e il divieto di eventi negli spazi pubblici per due settimane nel tentativo di frenare la nuova ondata epidemica.
Una misura che da un lato non ha frenato la quotidianità della capitale e, dall’altro, non ha impedito la manifestazione indetta dal movimento Cittadini contro il colpo di Stato, appoggiato dal partito di ispirazione islamica Ennahda, il Partito dei lavoratori e la Coalizione dei partiti socialdemocratici.
Sarebbe stata la prima vera protesta politica post colpo di mano presidenziale. Non è stato così: «Il 25 luglio, con la stessa situazione pandemica, le persone sono uscite lo stesso ma non è successo nulla. C’è stata una violenza gratuita da parte delle forze dell’ordine, la Tunisia sta tornando indietro a uno stato poliziesco», conclude Karbai.
Da sei mesi il paese sta vivendo una delicatissima fase interna. Sulla scia di un’intensa crisi economica e sociale il presidente Saied ha congelato il parlamento, sciolto il governo e cominciato di fatto a governare con pieni poteri. Una scelta che lo ha portato a dettare l’agenda istituzionale e politica dei prossimi mesi limitando il più possibile il dialogo con partiti politici e società civile.
La Tunisia è chiamata a esprimersi su un nuovo referendum costituzionale il prossimo 25 luglio e recarsi alle urne a dicembre per votare, non si sa ancora su che cosa. La direzione presa è verso un regime presidenziale e la sensazione è che gli spazi di espressione si stiano piano piano riducendo.
Lunedì scorso il presidente del Sindacato nazionale dei giornalisti tunisini (Snjt) Mehdi Jelassi ha denunciato il comportamento della televisione nazionale: «Sta agendo secondo le direttive della presidenza della Repubblica e non vengono più invitati i rappresentanti dei partiti».
Il giorno dopo è stato il turno dell’Alto commissariato delle Nazioni unite per i diritti umani che ha pubblicato un comunicato manifestando inquietudine e preoccupazione per la situazione del paese.
Nel frattempo Saied ha continuato a incassare il sostegno di diversi partner internazionali. In primis dell’Unione europea e dell’Italia con la visita del ministro degli Esteri Luigi Di Maio lo scorso 28 dicembre, quando ha espresso soddisfazione e vicinanza per gli sviluppi istituzionali interni presi dalla Tunisia.
«Ai miei interlocutori ho confermato che l’Italia guarda con interesse all’avvio di un percorso di riforme e scadenze politiche e costituzionali che dovrebbe auspicabilmente culminare in nuove elezioni legislative. Nel ribadire come la Tunisia sia un partner privilegiato anche grazie alla presenza di circa 800 imprese italiane, ho espresso l’auspicio che si possa ulteriormente rafforzare questo partenariato», le parole del titolare della Farnesina a margine dell’incontro con Saied.
«Undici anni fa abbiamo fatto la Rivoluzione e ora ci picchiano», è stato invece il commento di un manifestante impegnato a proteggere la figlia poco più che maggiorenne dalla repressione della polizia.
Ieri un giornalista straniero impegnato a filmare un arresto è stato portato dietro una camionetta e picchiato dalle forze dell’ordine. A nulla sono servite le grida per fare capire la situazione.
Al di là dei tentativi di impedire la raccolta di materiale da parte della stampa, la sintesi della situazione di oggi l’ha fornita in maniera molto efficace un poliziotto: «Le cose sono cambiate».
da il manifesto