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Tunisino morto in caserma, la destra difende i Carabinieri

Ennesima inaccettabile strumentalizzazione di quanto accaduto in una caserma di Sanremo all’inizio di giugno da parte dei soliti esponenti della destra italiana, i senatori del Pdl Maurizio Gasparri e Carlo Giovanardi.

Il Parlamento determini per legge che le Forze dell’ordine non possono immobilizzare, dopo una colluttazione, chi si oppone con la forza all’arresto, per evitare che scatti automaticamente a loro carico una denuncia per omicidio colposo nel caso di improvviso ed imprevisto decesso dell’arrestato in fragranza di reato. I capi di polizia e carabinieri indichino poi chiaramente nei manuali operativi, fermo restando naturalmente il divieto di usare le armi, con quali tecniche e con quali metodi é lecito operare per contrastare la violenza. Quello che é francamente inaccettabile è leggere di Procuratori che decidono la colpevolezza dei carabinieri prima ancora di accertare la dinamica dei fatti diffondendo in tutto il mondo una immagine devastante del nostro Paese“. 
E’ l’ennesima inaccettabile strumentalizzazione di quanto accaduto in una caserma di Sanremo all’inizio di giugno da parte dei soliti esponenti della destra italiana, i senatori del Pdl Maurizio Gasparri e Carlo Giovanardi. Da sempre attivi nella difesa dell’operato delle ‘forze dell’ordine’ anche in casi di abusi nei confronti di fermati e arrestati tanto eclatanti da costringere i magistrati di turno a comminare qualche seppur lieve condanna. E non poteva quindi mancare una loro difesa d’ufficio nei confronti dei tre carabinieri indagati per la morte, dovuta secondo l’esame autoptico, ad una asfissia, del cittadino tunisino Bohli Kayes all’interno della caserma dove era stato condotto dopo esser stato fermato per spaccio.  

”Io non ho mai picchiato nessuno e in tutte le operazioni ho rispettato le procedure, la forma, la persona” ha detto nell’ambito di un’intervista pubblicata oggi da La Stampa uno dei carabinieri indagati per omicidio colposo. ”Sono un servitore leale dello Stato. Ho sempre fatto il mio dovere nell’Arma, dove sono entrato che non ne avevo neppure venti. Mai un procedimento disciplinare, mai un’ombra” si difende il militare che ha voluto mantenere l’anonimato. In questo caso c’era da fare un arresto, spiega, ”e noi l’abbiamo fatto, come ne avevamo fatti tanti altri. Lo sappiamo fare. E’ il nostro mestiere. Lui scalciava, scalpitava”, ma, ribadisce ”io non ho mai picchiato nessuno”. E aggiunge: ”Mi spiace per quello che e’ accaduto, la vita umana é sacra. E mi spiace per quella famiglia”.

Anche la vedova della vittima oggi ha concesso alcune dichiarazioni alla stampa. “Sono scioccata, ma ho fiducia nella giustizia” ha detto Sonia Alberti, 38 anni, commentando l’esito dell’autopsia, secondo cui il marito sarebbe stato stroncato da un “arresto cardiocircolatorio neurogenico secondario ad asfissia violenta da inibizione dell’espansione della gabbia toracica”. Morte che potrebbe essere stata provocata dalle maniere “troppo forti” con cui i tre carabinieri hanno proceduto al suo arresto. “Dalla sera, quando mio marito è deceduto – racconta la donna – sono stata informata il mattino successivo della disgrazia. Verso le 7.45 mi ha chiamato il comandante della caserma dei carabinieri di Santo Stefano al mare, il quale mi ha detto che Bohli era deceduto, dopo il fermo”. Aggiunge Sonia: “Mi sento sollevata dall’esito dell’autopsia. Sono convinta del buon lavoro della magistratura”. L’avvocato Luigi Burlo, che assiste la vedova di Kaies, ha già chiesto copia della consulenza medica.

Anche il procuratore preso di mira da Giovanardi e Gasparri è intervenuto di nuovo sulla vicenda, avvisando che “se ognuno continuerà a mantenere questa posizione di silenzio, andremo incontro a uno scontro di perizie durante il processo”. Roberto Cavallone è chiaro nel denunciare il pericolo che l’omertà da parte degli indagati e dei loro colleghi possa allungare i tempi dell’indagine e condurre a un nulla di fatto. I militari indagati infatti, sottoposti a un primo interrogatorio, si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. Una strategia che a detta del procuratore preparerebbe il terreno a un “brutto processo”.

La vicenda di Sanremo richiama alla mente altri episodi di persone morte mentre erano sotto la custodia delle forze dell’ordine. ”Fatti del genere … discreditano indifferentemente tutte le istituzioni e i principi del vivere democratico e vanno quindi perseguiti e condannati con fermezza assoluta, nell’interesse anche delle stesse Forze dell’Ordine, che devono avere la forza di isolare i responsabili” ha scritto Lino Aldrovandi sulla pagina di Facebook dedicata al figlio Federico, morto nel 2005 a causa delle percosse ricevute da alcuni agenti di polizia che lo avevano fermato all’alba, mentre tornava a casa, a Ferrara. ”Sanremo, Varese, Roma, Genova, Ferrara… Senza cadere nella generalizzazione – chiede Lino Aldrovandi – accertatene le responsabilità, l’auspicio é che il senso di responsabilità verso il proprio ruolo abbia la meglio rispetto al desiderio di impunità ed al corporativismo”.
Luca Fiore da Contropiano