Proseguono le manifestazioni di piazza, nonostante i divieti; ieri centinaia di migliaia di persone sono scese in strada a Istanbul, ma anche a Smirne, Ankara e in tutto il sudest a maggioranza curda. Si sono registrati scontri con la polizia in diverse città. La polizia ha effettuato decine di arresti, anche di giornalisti. Dal 19 marzo, data d’inizio delle manifestazioni di massa in corso, sono state arrestate almeno 1.133 persone in tutto il paese.
di Murat Cinar da il manifesto
Ekrem Imamoglu, il sindaco di Istanbul, è stato ufficialmente arrestato la notte del 22 marzo. Dopo tre giorni di detenzione provvisoria presso il commissariato di Vatan, Imamoglu è stato trasferito al carcere speciale di Silivri.
Trentasei procuratori si sono blindati dentro il Palazzo di Giustizia di Caglayan a Istanbul. Fuori c’era un esercito di poliziotti, blindati e idranti che impedivano a chiunque di avvicinarsi al tribunale, tra cui anche centinaia di avvocati presenti alla protesta. La polizia ha bloccato anche i corridoi del palazzo con le transenne e ha impedito persino ai parlamentari di circolare liberamente all’interno.
MENTRE SI ATTENDEVA la decisione sul futuro del sindaco, davanti al Palazzo di città, come succede ormai da giorni, centinaia di migliaia di persone si sono radunate per protestare e chiedere le dimissioni del Presidente della repubblica Erdogan. Verso mezzanotte è arrivata la notizia dell’arresto di Imamoglu con l’accusa di «aver fondato un’organizzazione criminale finalizzata alla corruzione». Subito dopo, dalle piazze sono arrivati segnali di rabbia e determinazione.
Il 23 marzo si sono svolte, come previsto da tempo, le primarie del Partito popolare della Repubblica (Chp) per le elezioni presidenziali del 2028. Il sindaco di Istanbul, unico candidato, è stato eletto con 15 milioni di voti, un successo di grande valore politico. La giornata si è conclusa con una manifestazione imponente a Istanbul e in altre ventidue città della Turchia. Dal palco, il leader del Chp, Özgür Özel, ha promesso lotta e resistenza, invitando i cittadini a non cedere alle provocazioni. Tuttavia, la polizia aveva già iniziato a intervenire.
A Bursa, Hatay, Konya, Rize, Izmir, Ankara e Istanbul gli agenti hanno aggredito i manifestanti con candelotti per sparare lacrimogeni e idranti. Durante la notte, sui social circolavano le immagini delle donne trascinate a terra per i capelli da numerosi poliziotti. Vari manifestanti sono stati presi a calci e manganellate – per minuti interminabili, mentre erano già a terra – da agenti privi di numeri di identificazione, mentre erano a terra, per minuti e minuti. E sono statipicchiati numerosi giornalisti che cercavano di immortalare gli avvenimenti. Alla giornalista Ebru Çelik, del quotidiano BirGün, i poliziotti hanno strappato il badge identificativo, tolto la maschera e sparato direttamente sugli occhi il gas al peperoncino. Secondo il sindacato dei giornalisti turchi, ci sono almeno nove reporter ricoverati in ospedale, e a cui sono state distrutte le attrezzature.
IL GIORNO DOPO, la Turchia si è svegliata con nuove operazioni di polizia. Alle sei di mattina, nove giornalisti – Yasin Akgül, Ali Onur Tosun, Barıs Ince, Zeynep Kuray, Kurtulus Arı, Hayri Tunç, Murat Kocabas, Gökhan Kam e Zisan Gür sono stati posti in detenzione provvisoria.
Le operazioni hanno colpito anche i semplici cittadini. Secondo i dati ufficiali del ministero degli Interni, dal 19 al 24 marzo sono state poste in detenzione provvisoria 1.133 persone per aver partecipato alle manifestazioni. La repressione procede anche in rete: 45 persone sono state arrestate per i loro sui social. Il “Team degli affari governativi globali” di X (ex Twitter) ha comunicato che il governo turco ha chiesto di bloccare oltre 700 account di portali di notizie.
Il 24 marzo è stato anche il primo giorno del boicottaggio accademico e commerciale. A Besiktas, Izmir, Ankara ed Eskisehir, migliaia di studenti universitari hanno invitato tutti gli atenei del paese a interrompere le lezioni e sostenere le proteste. Lo stesso giorno, alcune attività commerciali, legate ai media di regime o alla famiglia del Presidente, sono state simbolicamente prese di mira dagli studenti, che hanno affisso striscioni all’ingresso dei negozi invitando le persone a non entrare.
ANCHE FUORI dalla Turchia sono state organizzate mobilitazioni in solidarietà con i manifestanti. In diverse città italiane come Torino, Roma, Milano, Genova, Firenze e Bologna, lo scorso weekend si sono tenuti presidi di sostegno, come in altre città di tutto il mondo.
Da Ankara è arrivato un messaggio che ha ricordato molto i vecchi tempi: esattamente come fece nel 2013, durante la rivolta di Gezi Park,Erdogan ha accusato i manifestanti di essere dei «saccheggiatori, terroristi e vandali» e di aver mancato di rispetto alle moschee perché avrebbero bevuto alcolici nei loro cortili.
Nel frattempo, il leader dell’opposizione Özgür Özel ha dato appuntamento alla cittadinanza sempre a Saraçhane, davanti al Palazzo di Città a Istanbul, per manifestare il dissenso e dimostrare solidarietà con il sindaco di Istanbul Ekrem Imamoglu.
Ai microfoni di Radio Onda d’Urto Murat Cinar, giornalista turco che vive in Italia. Ascolta o scarica
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