È stato rilasciato ad Istanbul il giornalista Deniz Yucel, dopo un anno di carcere preventivo legato a una presunta accusa di propaganda in favore del terrorismo.
Poche ore dopo un’altra corte condannava all’ergastolo aggravato sei tra giornalisti, scrittori e accademici tra cui spiccano i nomi dei fratelli il famoso scrittore Ahmet Altan e il fratello giornalista Mehmet. Un colpo duro al già devastato stato di diritto in Turchia, che ha palesato in poche ore tutti i limiti e le carenze dopo un anno e mezzo di repressione post-golpe.
Il rilascio di Deniz Yucel era atteso dal 27 febbraio 2017, quando è stato arrestato per i suoi reportage dal sud-est turco e le interviste con Cemil Bayak, uno dei leader del Pkk, e con rappresentanti dell’Unione delle comunità curde (Kck). Atteso soprattutto dopo le parole del 15 febbraio scorso del premier turco Yildirim, che ad un giorno dall’udienza si era detto «speranzoso in un rilascio di Yucel», degna svolta di una vicenda che poco ha di giudiziario e molto di politico.
Di dodici mesi in carcere, Yucel ne ha trascorsi oltre dieci in cella d’isolamento. Solo a inizio dicembre il ministro della giustizia tedesco Maas aveva annunciato «progressi» e il trasferimento di Yucel in una cella insieme a un altro prigioniero.
L’aspetto più inquietante è che fino a ieri la procura non aveva mai formalizzato le accuse. «Né io né lei conosciamo le accuse a suo carico – commentava Yildirim in un’intervista – Se ci sostituissimo a giudici e procuratori andremmo contro lo stato di diritto».
Giudici e procuratori hanno procrastinato per un anno, in ossequio a indicazioni che giungevano assai più chiare di una sentenza, quelle di Erdogan: «Yucel non è un giornalista, è un terrorista», aveva detto promettendo che mai sarebbe uscito di prigione.
Poi le parole di Yildirim e le porte del carcere si aprono. Anche se sulla sua testa ora, finalmente formalizzata, pende un’accusa di terrorismo che può costargli fino a 18 anni di carcere. Il fatto che la difesa si sia detta sollevata circa la formalizzazione dell’accusa la dice lunga.
Non è un caso che il ministro degli esteri tedesco Gabriel abbia voluto ringraziare le autorità turche per aver «aiutato a velocizzare le procedure legali» del processo. Come a dire che il governo turco ha dato il via libera dopo oltre un anno di freno a mano tirato.
La sua liberazione è frutto di un accordo politico tra Turchia e Germania, contro cui si era espresso lo stesso Yucel quando ancora era in carcere: «Non voglio rientrare in alcuna sporca trattativa». Quale fosse lo aveva esplicitato ancora il ministro Gabriel: «Il governo tedesco ha bloccato un buon numero di vendite di armi. A meno che il caso Yucel non venga risolto». Alla fine la Germania ha trovato nel mercato militare la chiave per scardinare l’ostinazione di Ankara.
Non hanno avuto alcuna diplomazia alle spalle, tanto meno interessi dell’industria bellica, gli Altan e gli altri quattro imputati che, poche ore dopo la liberazione di Yucel, si sono visti comminare dalla 26a corte penale di Istanbul una condanna pesantissima: ergastolo aggravato, che in Turchia equivale a cella d’isolamento, un’ora d’aria al giorno, dieci minuti di telefono e visita dei familiari stretti ogni due settimane.
Condannati per affiliazione all’organizzazione dell’imam Gülen, considerato dal governo a capo del tentato golpe del 2016, e «sovversione dell’ordine costituzionale». L’attacco alla costituzione sarebbe avvenuto sui giornali su cui scrivevano e dai programmi tv a cui partecipavano, oltre a intercettazioni telefoniche. Per i giudici sono il braccio mediatico capace di sponsorizzare il golpe tramite «messaggi subliminali». Accusa poi scomparsa dalle carte della procura e sostituita da una meno intrigante «voi sapevate».
Si tratta della prima condanna di giornalisti incarcerati dopo il 15 luglio 2016. Con i fratelli Altan, condannati la nota giornalista Nazli Ilicak, Fevzi Yazıcı, Sükrü Tugrul Özsengül e Yakup Simsek.
da il manifesto