Menu

Tutelare prescrizione, diritto all’oblio degli esuli politici in Francia

Rispondendo a una richiesta urgente dello Stato italiano, il Presidente della Repubblica Emmanuel Macron ha avviato procedure di estradizione nei confronti di una decina di esuli politici italiani, che da anni vivono in Francia, a causa del loro presunto coinvolgimento in atti violenti dell’estrema sinistra tra i fine anni ’60 e inizio anni ’80 Un gruppo di scrittori si oppone a quella che definiscono una “implacabilità” nei confronti di questi individui: tra questi, Éric Vuillard, autore di un testo che riportiamo integralmente di seguito.

Per vent’anni, dal 1968 al 1982, l’Italia ha vissuto un clima di rivolta di estrema sinistra, un susseguirsi senza precedenti di attentati, rapimenti, un tentativo di colpo di stato e una fortissima attività di estrema destra, le manipolazioni di alcuni servizi statali, l’interferenza permanente americana, il fragilità delle istituzioni, e l’agitazione della minaccia comunista. Oggi, questa atmosfera caotica è diventata in parte inimmaginabile.

I principali attori, le coordinate politiche e sociali, dei cosiddetti “anni di piombo” sono tutti scomparsi: la Guerra Fredda, l’Unione Sovietica, il Partito Comunista Italiano, i gruppi di estrema sinistra, la Democrazia Cristiana, tutto questo non è più esiste. Nessuno sarà in grado di ricostruire il quadro preciso delle lotte violente, di stabilire sufficientemente i fatti, tutto è immerso in un’atmosfera carica, dove la politica gioca un ruolo ormai a noi estraneo.

Sbaglia dunque l’esecutivo ad amalgamare frettolosamente gli anni di piombo con i recenti attentati, è una strategia retorica inammissibile. In realtà bisogna porre fine agli anni di piombo, il tempo è passato, la Guerra Fredda è finita da più di quarant’anni, la vita politica che è stata teatro e occasione delle lotte ora appartiene alla Storia, alla nuova le generazioni non riescono nemmeno a immaginare com’era l’atmosfera della Guerra Fredda, viviamo in un contesto così radicalmente diverso, completamente estraneo a questo violento antagonismo, a questa minaccia costante, in cui due campi inconciliabili e potenti si sono scontrati.

Rispetto per la persona umana

La Corte d’Appello di Parigi ha recentemente rifiutato l’estradizione dei dieci esuli politici italiani richiesta dal presidente Macron. La Corte ha basato la sua decisione sugli articoli 6 e 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, ritenendo che la legge italiana non garantisce un nuovo processo a un condannato in contumacia e che, anche se lo garantisse, le parti interessate lo farebbero essere esposto alla natura irragionevole della durata del procedimento.

Infine, data l’età dei fatti, e la comprovata integrazione dei profughi italiani, l’estradizione inciderebbe in maniera sproporzionata sul rispetto della vita privata e familiare.

Vediamo che, nei suoi due rami, il giudizio della Corte insiste sul tempo, sul tempo trascorso: “la durata del procedimento”, “l’età dei fatti”, “la comprovata integrazione”. Ma non si tratta solo di tempo vissuto, il rapporto con il tempo è anche rapporto di diritto, rapporto fondante di un rapporto con il diritto.

Il codice penale francese del 1791 abolì la tortura e annotava dopo ogni frase: “Questa sentenza non può in nessun caso essere perpetua. Così, con la Rivoluzione francese, qualsiasi attività criminale divenne prescritta.

Il diritto democratico si sviluppò dunque in opposizione a una legge, quella dell’Antico Regime, che si situava, dal canto suo, nell’eternità: il marchio, il marchio, le torture che si iscrivono nel corpo, la condanna a morte. Un diritto democratico, laico, è un diritto che è regolato quaggiù, che inizia e finisce quaggiù, che non può abbracciare l’intero corso della vita umana.

Facendo leva sull’irragionevolezza della durata del procedimento, sull’età dei fatti e sull’integrazione dei profughi, la Corte d’Appello di Parigi ricorda questa concezione democratica del diritto, di un diritto che trova un fondamento razionale, concreto e limite secolare, nello scorrere del tempo.

L’atteggiamento dell’esecutivo esprime dunque una concezione retrograda del diritto, una concezione dove il tempo non passerebbe, dove i fatti sarebbero giudicati in una specie di eternità, dove si potrebbe essere definitivamente espulsi dalla vita sociale, proscritti, segnati; ma anche l’esecutivo manifesta una implacabilità, e questa implacabilità è anche conseguenza di questa concezione non laica del diritto, perché anche questa implacabilità vorrebbe che la condanna, la pena, tutto questo durasse per sempre, che fossimo perseguitati per sempre .

È sullo sfondo dell’eternità che si esercita l’implacabilità, è nel lungo periodo che questa flagrante asimmetria tra gli individui e lo Stato può dispiegarsi. Ai rappresentanti dello Stato non costa nulla insistere caparbiamente contro questo e tale, i pubblici ministeri si alternano, le segreterie fanno il lavoro, le cancellerie sono organizzate, un’amministrazione non conosce ansia né fatica.

Le ragioni del più forte…

Certo, l’esistenza di rimedi è una garanzia reciproca, ma quando tanta forza è da una parte, possiamo davvero vedere solo una garanzia? Lo sappiamo bene, gli States, le grandi aziende non si arrendono, sono testarde, hanno tempo per loro. Ecco due concezioni del tempo: il tempo dell’oblio, quello della prescrizione, e il tempo processuale, quello del raggiungimento dei propri fini.

Così, il ricorso in cassazione è stato preannunciato dal Presidente della Repubblica al vertice di Madrid, come formalità: «Spetterà a noi nelle prossime ore vedere se è possibile ricorrere in cassazione, in qualsiasi caso, se ci sono ancora vie giurisdizionali che ci consentano di andare oltre. »

Non si tratta di sapere se le sentenze pronunciate dalla Corte d’Appello presentino un errore di diritto, si tratta solo di sapere, in modo meramente formale, «se esistono ancora mezzi giurisdizionali che consentano di andare oltre. Possiamo vedere chiaramente che non è la legge, non è la giustizia che conta, è “andare oltre”. Questo è un uso improprio dei mezzi di ricorso, è mettere i mezzi di ricorso, la loro mera esistenza formale, al servizio di un’opinione, di un potere.

Nella stessa filippica, rievocando il passato, il presidente Macron parla di “crimini di sangue” e si concede il bel ruolo a poco prezzo. Lo soppesa con il passare del tempo, come se la prescrizione penale fosse invalidata dalla violenza, come se le procedure italiane fossero allora indiscutibili.

Ma i fatti che evoca sono, per i più recenti, quarant’anni. Quarant’anni, bisogna capire che questo rappresenta il doppio del periodo di prescrizione penale in Francia, rappresenta già una vita, quaranta anni. E allora ? Non dovremmo mai dimenticare? Senza fine? Ci allineeremo finalmente con gli Stati Uniti dove possiamo condannare qualcuno a condanne che rientrano nell’Inferno di Dante?

La prescrizione è autorizzata da un’altra concezione, una concezione dove cambia l’uomo, dove cambia il mondo. Un concetto in cui ci definiamo giorno dopo giorno, e non una volta per tutte. L’implacabilità nei confronti dei profughi italiani deve cessare, la prescrizione va tutelata, il diritto all’oblio, che è alla base di una concezione rasserenante e realistica dell’uomo.

N.B. Questo testo di Éric Vuillard è stato letto dall’autore durante una conferenza stampa nei locali della casa editrice Actes Sud. Un collettivo di scrittori, che riunisce in particolare Pierre Lemaître, Annie Ernaux, Michèle Riot-Sarcey, Jean-Paul Chagnollaud o anche Éric Vuillard, ha quindi segnato in questa occasione la sua opposizione alla decisione di Emmanuel Macron di fronte ai rifugiati politici italiani.

da actualitte.com